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L'annuncio dell'accordo con Holger Rune – con l'ormai consueto periodo di prova – non arriva troppo a sorpresa, considerato che il 55enne di Las Vegas non è mai davvero uscito dal suo mondo
di Cristian Sonzogni | 22 luglio 2025
Pensando a quando giocava, tutto anticipo e istinto, onestamente non lo si sarebbe mai detto. E invece è andata a finire che Andre Agassi – il campione che odiava il tennis – è diventato un coach. O meglio, un super coach, come va di moda dire oggi senza che sia ben chiara la differenza pratica tra questa specie di eroe dei cartoons e un allenatore normale.
L'annuncio dell'accordo con Holger Rune – in realtà non sarebbe una collaborazione già ufficiale e stabile, bensì l'ormai consueto periodo di prova – non arriva troppo a sorpresa, considerato che il 55enne di Las Vegas non è mai davvero uscito da quel mondo che, mentre giocava, considerava una sorta di inferno sulla terra.
Tra una partita e l'altra di pickleball – il suo nuovo amore, condiviso con Steffi Graf – Agassi ha trovato il modo di dare una mano ad alcuni pro che si trovavano in momenti complicati. E su tutti, ovviamente, spicca la collaborazione con Novak Djokovic, iniziata prima di Parigi 2017 e terminata nella primavera dell'anno successivo. Fu il periodo peggiore per Nole, in termini di risultati. Nel 2017 il serbo mise in fila un secondo turno a Melbourne, i quarti al Roland Garros e a Wimbledon, poi un forfait a New York; nel 2018, iniziò ugualmente molto male, con gli ottavi in Australia e i quarti a Parigi.
Andre lasciò il suo incarico in aprile e tra i due grandi il feeling non scattò mai. Al punto che pure le parole seguite al divorzio – solitamente improntate alla diplomazia – finirono per essere abbastanza chiare e severe: “Troppo spesso non eravamo d'accordo”, il commento freddo di Agassi, che condivise quella panchina con Radek Stepanek, senza tuttavia lasciare il segno. Quando peraltro Novak non era più un bambino, visto che già aveva superato la soglia dei 30 anni.
Subito dopo la conclusione del rapporto con Nole, ad Agassi arrivò un'altra telefonata: era Grigor Dimitrov, bello e imperfetto, che voleva cercare di trovare una chiave per rendere efficace tanto talento. Era l'ottobre del 2018, Andre accettò e – pur senza una presenza costante – andò avanti a lungo a fornire consigli al bulgaro, con risultati altalenanti: il migliore fu la semifinale agli Us Open del 2019.
Piano piano il rapporto diventò meno continuo, con Grigor che provava vari coach al suo fianco e l'americano che rimaneva dietro le quinte come una sorta di mentore. Un po' quello che, in seguito, Agassi avrebbe fatto anche con altri due pro, i connazionali Sebastian Korda e Marcos Giron. Non dunque una persona presente sul campo negli allenamenti day by day, e nemmeno quella che ti segue e viaggia con te durante la stagione. No, Agassi per tutti loro è stato più un consigliere, da chiamare al telefono quando se ne sentiva il bisogno. Difficile, dunque, dare una reale valutazione sull'operato del 'Kid' nel ruolo. Onestamente i risultati non sono stati eccezionali, ma pure la profondità dell'impegno non è stata tale da consentire un'analisi così accurata del lavoro.
La nuova avventura con Holger Rune, in fondo, potrebbe essere anche questo: un modo per capire quanto vale davvero il coach Andre Agassi. E se ha fatto tesoro delle precedenti collaborazioni, in particolare da quella non certo fortunata (ma molto discussa e pubblicizzata) con Djokovic. All'epoca l'americano disse che in fondo bisognava imparare, per fare bene in quella posizione. E aggiunse: “Non lo faccio certo per guadagnare, ma per capire se posso davvero dare una mano”.
Intanto, dal 2024 l'ex numero 1 del mondo siede sulla panchina come capitano del Team World nella Laver Cup (che quest'anno andrà in scena a San Francisco), ma quel compito non è esattamente paragonabile al lavoro di un coach. Un mestiere che, per trovare il successo, non necessariamente si lega alla statura dell'ex giocatore: “Quando a qualcuno, sul campo, viene tutto semplice – disse una volta lo stesso Agassi – può essere difficile completare il passaggio delle informazioni a qualcun altro. Anche se c'è un'eccezione: vedrei bene Roger Federer nel ruolo di coach, vista la sua straordinaria intelligenza tennistica”. Chissà se era un modo per far capire che nemmeno lui era così certo della propria efficacia.
Il miglior manifesto dell'Agassi allenatore è dato però dalle dichiarazioni rilasciate subito dopo aver abbandonato il progetto Djokovic, ormai 7 anni fa: “L'esperienza – disse l'attuale promesso super coach di Rune – mi ha insegnato che non solo c'è molto da imparare nell'allenamento, ma che ci sono anche alcune cose che bisogna accettare: per esempio, che ognuno agirà secondo il proprio ritmo. Pensavo che un piccolo aiuto potesse fare la differenza e speravo di aver imparato qualcosa, ma alla fine ci siamo ritrovati entrambi a volere tenere le mani strette sul volante un po' troppo forte. Se potessi essere d'aiuto, mi piacerebbe insegnare agli altri in 10 minuti le cose che io ho imparato in 10 anni, soprattutto se questi altri sono disposti ad allenarsi e ansiosi di sentirsi dare consigli. Non esiterei mai a rispondere a una chiamata o a trovare nuovi modi per rimanere in contatto con questo mondo”.
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