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Berrettini e l'erba, una storia di successo: perché è la sua superficie

Da una decina di anni la chiamano erba battuta, perché il tennis più fisico e gli scambi lunghi hanno fatto emergere il rallentamento della superficie. Ma l’erba resta sempre terreno di caccia di chi gioca colpi pesanti e offensivi, esattamente come Matteo

11 giugno 2024

Che Matteo Berrettini fosse uno specialista dell’erba, superficie dove tanti suoi colleghi non riescono proprio ad adattarsi, ce ne eravamo accorti nel 2019, l’anno della sua esplosione definitiva, in cui chiuse da numero 8 del mondo e vinse due tornei, fra cui Stoccarda (in finale contro Auger-Aliassime).

Difficile trovare un giocatore così a proprio agio su una superficie particolare, sulla quale si gioca raramente (un mesetto in tutta la stagione) e dove pochissimi campioni del passato hanno subito fatto faville. A parte Roger Federer, che ha trattato Wimbledon come il giardino di casa, per arrivare a vincere i Championships Djokovic e Nadal hanno impiegato anni di adattamento all’erba. 

Un bel primo piano di Matteo Berrettini (foto Getty Images)

E’ vero, oggi (e già da una decina di anni) la chiamano erba battuta, perché il tennis più fisico e gli scambi lunghi hanno fatto emergere il rallentamento della superficie, ma l’erba resta sempre terreno di caccia di chi gioca colpi pesanti, offensivi e magari (all'occorrenza) di taglio, esattamente come Matteo. Che già dal servizio mette in chiaro le cose: sui prati, la battuta è la chiave di ogni risultato. Il dritto di Berrettini, che è già un colpo definitivo sulle altre superfici, qui può trovare ancora maggiore efficacia, con angoli ed effetti particolari, soprattutto quello stretto e corto. Una giocata così efficace che gli permette di mascherare anche alcune incertezze del rovescio, che Berrettini qui può giocare in slice. L’erba fa schizzare la palla e il back di Matteo diventa insidioso su una superficie così veloce. Fu il dritto, tuttavia il colpo su cui Berrettini basò l’exploit di Wimbledon 2021, il miglior Slam della sua carriera nel quale arrivò in finale, perdendo da Novak Djokovic. 
 
Un percorso quasi netto, lasciando le briciole agli avversari fino a spaventare Robot Nole, che sotto di un set riuscì a metterci la sua classe per prendersi il sesto Wimbledon (arriverà anche il settimo l’anno dopo). Il livello di maturità e di adattamento all’erba di Matteo in quella edizione dei Championships rimane irripetibile nella storia del tennis italiano. Soltanto un set perso nelle prime quattro partite (al primo turno contro Pella) e vittorie perentorie contro Van de Zandschulp, Bedene e Ivashka, prima di trovare Auger-Aliassime nei quarti di finale. Contro una delle migliori versioni del canadese finisce 3-1 per l’azzurro, che in semifinale spazza via dal campo Hurkacz (Matteo perde un set ma ne vince uno 6-0). Il polacco, per intendere la portata dell’impresa, aveva appena eliminato Federer. 

Ma al di là di quel meraviglioso percorso a Wimbledon, Berrettini ha statistiche mostruose sull’erba. Su 8 tornei vinti in carriera ne ha portati a casa 4 su questa superficie, trionfando due volte a Stoccarda (2019 e 2022) e altrettante al Queen’s (2021 e 2022). Matteo si è tolto anche lo sfizio di battere in finale Murray (Queen’s 2022) a casa sua, alzando il trofeo in faccia a uno che sull’erba ha vinto due volte Wimbledon e un Oro olimpico (Londra 2012).

E’ altrettanto chiaro che Berrettini si presenta sull’erba dopo un 2023 di inattività e un 2024 in cui si è portato a casa l’Atp di Marrakech (terra rossa), ma ha saltato tantissimi tornei. Non si può dunque considerare tra i favoriti, men che meno ai Championships, nonostante l’assenza forzata di Djokovic. Ma qualsiasi testa di serie incontrerà Berrettini nei primi turni, potrà ritenersi molto sfortunato. E’ su questi campi che il soprannome The Hammer (il martello) ha preso forma. Partirà a fari spenti, ma qui Berrettini - se sta bene fisicamente e mentalmente - è davvero capace di tutto. 

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