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Oggi si parla tanto di Jack Draper, ma nella storia recente del tennis c'è un altro Draper che ha saputo fare qualcosa di straordinario. Ma Scott, australiano, ex 42 Atp, le imprese le ha compiute più fuori che dentro al campo...
di Cristian Sonzogni | 22 marzo 2025
Oggi il cognome Draper, nel tennis, va parecchio di moda, con l'inglese Jack che si è preso di forza i top 10 grazie alla vittoria a Indian Wells. Ma Draper, nel tennis, non suona come qualcosa di totalmente nuovo. Bisogna tornare agli anni Novanta del secolo scorso, quando nel circuito c'era Scott, australiano, mancino pure lui. Con meno sangue nobile di Jack (sarebbe arrivato al massimo al numero 42 Atp) ma comunque dotato di un certo talento.
Scott non era alto, non spaccava la palla, non faceva serve and volley come i migliori della sua terra. Ma nei momenti migliori era capace comunque di far paura ai grandi. Li affrontava tutti a viso aperto, con un gioco a tutto campo che incantava gli esteti, e qualche volta li batteva: ne fecero le spese persino Boris Becker, Micheal Chang, Jim Courier, Andre Agassi. Non esattamente gli ultimi arrivati.
Il 'primo' Draper non vinse molto: sei tornei internazionali in tutto, di cui solo uno – il Queen's del 1998 – nel circuito maggiore. Ma la sua storia incrociò quella del tennis italiano in due circostanze importanti. Proprio in quell'edizione del Queen's, in finale, l'australiano ebbe la meglio su Laurence Tieleman, italo-belga che faceva del servizio e volèe una sorta di vocazione. Prima ancora, nel 1995, Scott si fermò negli ottavi di finale al Roland Garros di fronte a Renzo Furlan, in tempi in cui per il tennis azzurro un quarto Slam era accolto come un trionfo epocale.
Che fine hanno fatto/58: Scott Draper
Ma la storia di Draper – inteso come Scott – non va misurata solo per quello che gli è accaduto sul campo da tennis. Anzi, a volerla dire tutta, quella è una parte quasi marginale, come conferma la sua autobiografia, scritta nel 2007 insieme a Suzi Petkovski e Michael Fox, intitolata semplicemente 'Too good': troppo buono. Una storia, quella dell'australiano, allo stesso modo 'straziante e stimolante', come viene scritto nella presentazione del libro, ancora disponibile su Amazon, 18 anni dopo la sua uscita.
Un giocatore che è stato messo alla prova dal destino, a partire da quando perse la moglie Kellie, appena sposata, a causa di una fibrosi cistica. Vedovo a 25 anni, Draper aveva già sofferto abbastanza, nella vita. Anche prima di quella tragedia, quando la sua esistenza era stata condizionata da un forte disturbo ossessivo-compulsivo, qualcosa che certo non si sposava con l'attività di uno sportivo professionista.
“Avevo perso – disse – la mia identità. Non sapevo più chi fossi. Prima ero stato un giocatore di tennis. Dopo, solo una persona che aveva perso la moglie e che forse stava cercando un altro lavoro. Avevo sbattuto contro un muro e dovevo capire come dare un senso al fatto di essere ancora vivo. Così cercai qualche motivazione, una qualsiasi, per andare avanti”. Arrivò un altro sport, a dargli una mano. Scott si rifugiò nel golf, prima in lunghe partite con l'amico Jason Stoltenberg. Poi addirittura con un approccio più professionale.
Ma il tennis restava la prima scelta, tanto che rientrò nel circuito e ci provò ancora per qualche anno, al punto da riuscire a prendersi uno Slam, anche se nel doppio misto: gli Australian Open del 2005 in coppia con Sam Stosur. Fu un trionfo storico, quello, per un motivo particolare: il 28 gennaio, Scott fu chiamato a un'impresa che ha pochi precedenti nel mondo dello sport. In mattinata, giocò a golf nel Victoria Open, evento pro che si disputa ogni anno dal 1957 a Barwon Heads. Poi, nel pomeriggio, andò a Melbourne per disputare la semifinale del misto. Per la cronaca, prima passò il taglio e poi – ovviamente – si prese la finale del torneo che avrebbe vinto.
Dopo il ritiro dal tennis, Draper - con una nuova compagna al suo fianco - prese ancora più fiducia nelle sue possibilità. Allenò per un breve periodo Lleyton Hewitt, nel 2007, e fu pure commentatore. Ma oggi, quando ha compiuto 50 anni, si è imposto come manager e coach in un ambito totalmente diverso. Ha aperto il Sustainable High-Performance Program, parla di leadership e di come affrontare i problemi.
Nella sua presentazione, si legge che 'è un esperto nella scienza e nell'applicazione della performance sostenibile nell'ambito individuale, di squadra e organizzativo. Le sue esperienze come atleta professionista sulla scena mondiale in due sport e il suo lavoro intensivo come allenatore ad alte prestazioni con futuri ed ex numeri 1 al mondo, sono state la genesi dell'apprendimento di ciò che serve e di ciò che ostacola la performance sostenibile a livello individuale'. In tanti lo cercano, per capire come avere successo. E lui ha molto da raccontare. Come ha detto Andre Agassi, “Scott è il testamento vivente di cosa lo spirito umano sia capace di fare”.
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