
Chiudi
I punti di vista si rispettano, ma sono – appunto – questioni soggettive quelle che portano ad amare o meno uno sport, o una specialità dentro a uno sport così democratico e inclusivo come il tennis. Ecco perché ha ragione Vavassori, nella questione doppio
di Cristian Sonzogni | 25 febbraio 2025
Ma alla fine della fiera, chi ha ragione? Reilly Opelka, capofila di coloro che considerano il doppio come rifugio per - parole sue - 'singolaristi falliti', o Andrea Vavassori (e Rohan Bopanna, e altri) che invece il doppio lo sostengono sempre, comunque, ovunque? Spoiler: hanno ragione Vavassori, Bopanna e compagni, per tanti motivi. Senza pretesa di dare un ordine a queste motivazioni, entriamo nel dettaglio.
IL DOPPIO AIUTA A MIGLIORARE
Il doppio, intanto, aiuta i singolaristi a migliorare. Non ci credete? Prendete la carriera di Radek Stepanek, numero 8 Atp da solo e numero 4 in coppia, poi coach (per un breve periodo) di Novak Djokovic, oltre che di Grigor Dimitrov e Sebastian Korda. Il ceco raggiunse la finale degli Us Open, insieme al connazionale Jiri Novak, nel 2002, ben prima di riuscire a sfondare in singolare. Fu convinto solo in seguito da Petr Korda (papà di Sebastian) a lavorare per vincere da solo, fino a raggiungere il best ranking nel 2006.
Avrebbe fatto comunque meglio in doppio, arrivando al numero 4 nel 2012 e vincendo 18 titoli del circuito, tra cui due Slam. L'esempio chiave in questo senso tra le donne è Roberta Vinci: anche lei avviò prima la carriera di alto livello in doppio (accanto a Sandrine Testud, in particolare), per poi sfondare da sola, fino a raggiungere le top 10 e la finale agli Us Open. Stepanek e Vinci possono essere considerati dei singolaristi falliti?
I SINGOLARISTI CHE GIOCANO IL DOPPIO
Quello che dice Opelka - unico titolo in doppio ad Atlanta, nel 2021, insieme a Jannik Sinner - è grossolano e pure falso. Nelle prime 50 coppie della Race di doppio ci sono 15 giocatori che figurano tra i top 100 del singolare: in ordine di apparizione, troviamo Martinez, Munar, Borges, Van de Zandschulp, Kecmanovic, Nakashima, Bonzi, Darderi, Navone, Machac, Zhang, Griekspoor, Lehecka, Khachanov e il numero 9 Atp di singolare Rublev. Più altri 10 che top 100 da soli lo sono stati in momenti diversi della loro carriera: Bolelli, Roger Vasselin, Ram, Krajicek, Maximo Gonzalez, Haase, Herbert, Bhambri, Dodig, Cervantes. Tutti falliti, questi 25?
CHI NASCE DOPPISTA
Un altro punto è che sono in tanti, ormai, a prendere la strada del doppio fin da subito. Non si può parlare dunque di 'singolaristi falliti' semplicemente perché questi giocatori non provano nemmeno ad avventurarsi in singolo. Molto spesso non perché manchino le qualità, ma per una precisa scelta: le carriere sono più lunghe e tendenzialmente meno dispendiose sotto il profilo fisico, si guadagna bene, si vive il tennis – da sempre sport individuale – come sport di squadra. In questo senso i gemelli Bryan sono la sintesi del discorso: 16 Slam insieme e altre 14 finali, 438 settimane al numero 1 Atp, 1108 match e 119 tornei del Tour vinti, di cui 39 Masters 1000 e 4 Atp Finals (che diventano 5 per Mike), oltre a un oro e a un bronzo olimpico e alla Coppa Davis del 2007.
Totale? Oltre 32 milioni di euro guadagnati di soli premi. Buona parte dei quali sono stati investiti per dare vita alla loro fondazione, la Bryan Bros Foundation, che aiuta i bambini in condizioni di difficoltà negli Stati Uniti e nel resto del mondo. In singolare, Mike ha sostanzialmente smesso a 24 anni, Bob appena dopo. Età che per molti è quella 'dell'ingresso in società' (leggi, top 100). Vuol dire che erano dei falliti? No, evidentemente: vuol dire che hanno preso un'altra strada. Un caso clamoroso è anche quello dell'indiano Leander Paes, uno dei più grandi di sempre della specialità, eppure bronzo in singolare alle Olimpiadi. Di casi del genere, oggi, ce ne sono diversi.
L'INGANNO DELL'ETÀ
C'è poi un punto importante che Opelka e tutti quello che la pensano come lui dimenticano. Il doppio consente una carriera ancora più lunga, rispetto al singolare, per ovvi motivi. E allora questa quantità di Over 40 (o sul punto di arrivarci) può effettivamente fare una certa impressione, arrivando ad alimentare un certo velato razzismo legato all'età: 'se vinci in una disciplina che premia i quarantenni, sei un fallito'. Ma se ai vertici del circuito di singolare troviamo ancora Novak Djokovic (37, quasi 38), Grigor Dimitrov (33), Jan-Lennard Struff (34) e Roberto Bautista-Agut (36), non sarà normale che in coppia si possa prolungare ulteriormente la propria vita sportiva, anche grazie a tecniche di allenamento che un tempo non erano alla portata e oggi invece sono entrate nella routine di ogni professionista?
LA PASSIONE
Ultimo punto, non meno importante. Vavassori, nel suo post accorato in difesa del doppio, parla di un punto centrale, che purtroppo si perde nel nostro tempo dove giocatori e tornei ragionano prevalentemente in termini di denaro e di numeri: Andrea parla di una cosa chiamata passione. Un doppista diventa tale anche perché vuole vivere quelle emozioni che il singolare non può dare: per esempio quelle di un trionfo condiviso. Oppure quelle che il singolare dava una volta e oggi quasi per nulla: per esempio quelle di un torneo vinto grazie al serve and volley, al tennis proiettato verso la rete. Non è colpa dei doppisti se il circuito e il business vanno in un'altra direzione. A meno che si accetti in maniera acritica il legame fra un business di successo e il concetto di qualità. Se Opelka e qualcuno come lui pensano che il doppio sia un ripiego, il teorema può essere valido per loro. Ma non per tutti.
E la conclusione è proprio questa: i punti di vista si rispettano, ma sono – appunto – questioni soggettive quelle che portano ad amare o meno uno sport, o una specialità dentro a uno sport così democratico e inclusivo come il tennis. Dando dei falliti a metà dei professionisti attualmente impegnati nel circuito, l'americano non ha scoperchiato alcuna verità assoluta. Ha semplicemente svelato il suo pensiero. Quel pensiero che, secondo l'opinione di qualche doppista, potrebbe pure appartenere a un singolarista fallito.