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Il tennis - almeno quello di altissimo livello - ha ormai abbandonato i giudici di linea in favore della tecnologia. Ma quando si è cominciato a pensare che le macchine avrebbero potuto sostituire l'uomo? Ecco la cronistoria del rapporto fra tennis e tecnologia
di Cristian Sonzogni | 13 febbraio 2025
L'anno 2025 sarà ricordato come quello in cui si completa una rivoluzione. Con il sistema di arbitraggio elettronico che viene portato stabilmente nel circuito Atp anche sulla terra battuta, termina un percorso cominciato nel 1980, quando Wimbledon – la patria della tradizione – introdusse per la prima volta quella che all'epoca chiamavamo 'Ciclope', la macchina che emetteva un sibilo quando il servizio finiva out. Siamo passati attraverso 45 anni e tante proteste più o meno ragionevoli, con il rapporto giocatori-arbitri complicato dal teatro di dispute più o meno quotidiane.
Siamo passati da macchine con un elevato margine di errore ad altre sempre più sofisticate, sempre più precise. E oggi siamo qui a celebrare, di fatto, il tramonto del lavoro di giudice di linea. Buenos Aires, primo evento sul mattone tritato nel circuito maggiore in questa stagione, non vede più i linesman a fondo campo: la rivoluzione è totale, acclarata, senza possibilità di ritorno.
Non si può nemmeno dire che non sia stata annunciata, questa rivoluzione, visto che il tennis è stato fra i primi sport a utilizzare la tecnologia per dirimere le controversie. Ben prima del calcio, per fare un esempio che gli italiani conoscono bene. Nel 1979, l'inglese Bill Carlton e la maltese Margaret Parnis England inventarono il 'Ciclope', la macchina che giudicava il servizio. E solamente quello. Veniva attivata e disattivata direttamente dagli arbitri, ma aveva un elevato margine di errore e spesso attirava le proteste dei giocatori.
Tanto più che qualsiasi oggetto 'non identificato', fosse un insetto o qualsiasi altra cosa presente nei pressi della riga o appena fuori, poteva far scattare il sibilo e costringere a ripetere il punto. Erano i primi vagiti della rivoluzione, che faticava a trovare spazio sì, ma che era destinata a restare. Il Ciclope tuttavia era solo un supporto ai giudici del servizio, che rimasero comunque attivi, poiché alla fine la decisione definitiva era dell'arbitro e non della macchina.
Tennis, arbitri e tecnologia, la storia
Ma come funzionava, il Ciclope? Uno dei box installati sul terreno di gioco emetteva cinque raggi infrarossi attraverso il campo (a circa 10 millimetri da terra) verso l'altro box. Questo era anche collegato a un ulteriore box di controllo più piccolo, tenuto dall'arbitro della linea di servizio. Un raggio infrarosso correva lungo il lato buono della linea, mentre gli altri quattro correvano all'esterno della linea stessa, fino a 45 centimetri di distanza. Quando la palla colpita era 'in' (o appena dentro la linea), la palla stessa intercettava il primo raggio e spegneva gli altri. Se il servizio era lungo o largo, intercettava uno dei quattro raggi esterni. Nel primo scenario, il box di controllo segnalava con una luce verde che il servizio era buono.
Al contrario, una palla out veniva segnalata con una luce rossa e un forte segnale acustico. Il segnale che la maggior parte degli Over 40 ricorderà era in realtà una sorta di fischio, quando il sistema è entrato in scena per la prima volta. Ma, dopo che il pubblico ha iniziato a imitarlo con una certa frequenza, si è passati a un segnale diverso, ritenuto oltretutto più chiaro da sentire in uno stadio rumoroso. Dettaglio curioso: se Roger Federer avesse giocato all'epoca, non sarebbe riuscito a esibire la sua celebre 'sabr' in risposta, senza far scattare il segnale del Ciclope, che avrebbe ravvisato una presenza troppo vicina alla riga per starsene zitto.
Salto di 25 anni. Arriviamo al 2005, quando viene testato e approvato – sul finire dell'anno – il sistema 'hawk-eye', il famoso 'occhio di falco'. La data non è una casualità. Nel 2004, il match che fa accelerare il processo è la sfida tra Serena Williams e Jennifer Capriati, vinta da quest'ultima al terzo, dopo una serie piuttosto anomala di errori ai danni di Serena. Una serie così evidente da spingere John McEnroe – al commento – a invocare l'approdo del sistema elettronico in ogni partita.
Detto, fatto. I test superati nel 2005 fanno da prologo all'introduzione su larga scala di occhio di falco nel 2006, con gli Stati Uniti in prima fila: l'esordio Atp arriva a Indian Wells, l'esordio Slam a New York nel settembre successivo. Altro passo nella rivoluzione: passo deciso questa volta, considerato che i giudici di linea rimanevano in campo ma potevano essere smentiti dalla macchina, sempre passando dalla richiesta di verifica dei giocatori.
Un sistema destinato a durare, quello di hawk-eye, pur con qualche accorgimento per rendere le misurazioni più precise man mano che gli strumenti più evoluti lo permettevano. La successiva vera svolta giunge a Milano, anno 2017. Fra le grandi novità introdotte della prima edizione delle Next Gen Atp Finals c'è quel campo di singolare immacolato, privo di corridoi e di giudici di linea. Perché ad arbitrare c'è si occhio di falco, ma in modalità 'live'. Non serve più dunque chiamare il 'challenge', perché ogni palla è giudicata in tempo reale dal sistema che riproduce campo e colpi con un margine di errore molto inferiore ai predecessori.
La vera svolta – dopo il ciclope – fu quella, perché per la prima volta si capì che davvero la rivoluzione poteva essere completata. Questo 2025, con Wimbledon che dice addio ai linesman e persino con la terra battuta coinvolta nel processo, è il punto di approdo. Chi resiste lo farà per poco, oppure per mancanza di mezzi (ma parliamo di circuiti minori). I giocatori sono generalmente soddisfatti, del cambiamento: ora - dicono più o meno in coro - potranno concentrarsi unicamente sul loro tennis e sui loro errori, invece che cercare alibi in quelli dei giudici. Ma non è detto che per tutti sia davvero un vantaggio. Uno come Johnny Mac, impegnato per primo nella lotta tenace e testarda contro le chiamate sbagliate (o almeno, quelle che secondo lui lo erano), non si sarebbe mai costruito il suo personaggio da leggenda, in un'epoca come quella attuale. La tecnologia toglie l'errore umano, ma forse toglie anche un po' di fascino.