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I Re dell'Atp: Lleyton Hewitt (2001-2002)

Il primo numero 1 di fine anno australiano è stato Lleyton Hewitt nel biennio 2001-2002. E' il 12° nella storia dell'Atp e riporta l'Australia alla leggendaria epoca di fine anni 60 dominata da Rod Laver, Ken Rosewall e John Newcombe.

di | 27 ottobre 2024

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Di ultimi l'Australia, dopo Rod Laver, ne ha avuti tanti: John Newcombe fu l'ultimo dell'epopea d'oro, Pat Cash l'ultimo tra gli attaccanti aussie a vincere Wimbledon, Patrick Rafter l'ultimo fabbricante di serve and volley a conquistare Slam e infine Lleyton Hewitt, l'ultimo imperatore a tutto tondo a fare grande la terra dei canguri.
Era un predestinato, bruciò le tappe e in pochissimo tempo conquistò quello che pochi tennisti sono riusciti a fare nell'arco dell'intera carriera; a 17 anni, nel gennaio del 1998, vinse a sorpresa nella sua Adelaide il secondo torneo giocato da professionista (aveva esordito all'Open d'Australia del 1997). Era numero 550 del mondo, ma aveva le idee chiare e così mise sotto Andre Agassi in semifinale e Jason Stoltenberg in finale.
Pensando alla quasi totalità dei grandi australiani del passato, Lleyton appariva profondamente diverso, un diverso ma al passo dei tempi; Tennis Australia infatti aveva preferito scegliere il futuro abbandonando l'erba di Kooyong per costruire l'avveneristico impianto di Melbourne Park (all'epoca ancora chiamato Flinders Park), con tetto retrattile, ma soprattutto con i campi in cemento. E Lleyton crebbe senza i vecchi modelli, abituati a colpire tutto al volo, ma con il gioco e la grinta tipica dei giovani americani, degli eredi di Connors e Agassi, chiamati attaccanti da fondo campo.
Il suo era un tennis basato su una splendida risposta, soprattutto di rovescio, sulla rapidità di gambe, sul senso della posizione, sui passanti e sui pallonetti, decisamente il suo colpo migliore. Peccava un po' nella potenza del dritto, che sopperiva con la sua aggressività e con uno spirtito molto combattivo, da irriducibile. Alla fine, pur mettendo a segno pochi vincenti, non sbagliava quasi mai e si caricava nei momenti caldi dei match con quello strano pugnetto, usato anticamente dai vichingi in segno di trionfo, che, australiani a parte, l'ha reso particolarmente antipatico al resto del mondo.
La sua fu una scalata vertiginosa: a 19 anni (nel 2000), fu semifinalista a Flushing Meadows (perse in tre set da Sampras), ma l'anno dopo si vendicò con gli interessi superando Pistol Pete per 7-6 6-1 6-1 in meno di due ore. Il 18 novembre vinse il Masters e il giorno dopo diventò il più giovane numero 1 della storia Atp (20 anni e 8 mesi), superato solo 20 anni dopo da Carlos Alcaraz. Andava a velocità folle e di corsa vinse anche Wimbledon 2002 da numero 1 del mondo; dominò tutti i match in tre set, meno il quarto di finale con Schalken che lo trascinò fino al 7-5 del quinto. In semifinale spense i sogni di gloria degli inglesi superando Tin Henman e in finale lasciò appena sei game al povero David Nalbandian. A fine anno rivinse il Masters e chiuse la seconda stagione da numero 1, tutto ben prima di compiere 22 anni.

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Ma dal 2003 in avanti - e preciamente dalla deludente sconfitta al primo turno contro Karlovic a Wimbledon 2003 - il suo gioco subì un regresso, una involuzione che lo mantenne a galla per altre 13 stagioni, ma senza più graffiare. La colpa nella scarza potenza, nella ripetività di schemi sempre identici e prevedibili e nell'esplosione di Roger Federer. Contro lo svizzero perse, solo nel 2004, negli ottavi all'Open d'Australia, nei quarti a Wimbledon, in finale a Flushing Meadows in appena 109 minuti e nella finale del Masters. 
Nel 2005 provò a riscattarsi, giunse in finale a Melbourne, il suo Slam, ma Safin concesse un giorno di libertà alle Safinette e in finale lo ribaltò come un calzino. Sempre contro Federer perse le semifinali a Wimbledon e all'Open degli Stati Uniti. Fu l'ultima semifinale Slam raggiunta per l'ultimo grande australiano della storia. 

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