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Il 16esimo numero 1 di fine anno nella storia dell'Atp è Novak Djokovic. Il campione serbo ha chiuso 8 stagioni da numero 1 del mondo, la prima nel 2011 e l'ultima nel 2023.
di Luca Marianantoni | 08 novembre 2024
Il tennista ad aver chiuso più stagioni da numero 1 del mondo è Novak Djokovic: 8 annate da re indiscusso. Aveva appena due anni la rivalità tra Federer e Nadal che all’orizzonte della scena mondiale apparve un terzo fenomeno destinato in brevissimo tempo a mettere in ombra i due campionissimi.
Questa affermazione basterebbe da sola a far capire l’incalcolabile grandezza dell’uomo e del campione serbo Novak Djokovic, un diamante purissimo che da solitario è diventato parte insostituibile di un trilogy la cui caratura è identica in tutto e per tutto a quella di Roger Federer e Rafael Nadal.
La leggenda di Djokovic prese avvio sotto una Belgrado bombardata dalla Nato, nel conflitto che seguì la frantumazione della Jugoslavia. A quattro anni si divideva tra sci e tennis, poi l’occhio lungo di Jelena Gencic, una talent scout che aveva portato alla luce niente meno che Monica Seles, convinse i genitori a portare il piccolo Nole al TC Belgrado. Bastarono tre giorni di allenamenti, poi la Gencic convocò urgentemente i signori Djokovic per comunicare che secondo lei Novak, a 17 anni, sarebbe stato tra i primi cinque del mondo e avrebbe avuto un futuro da numero uno.
Jelena si prese cura di Nole, poi a 12 anni fu lei stessa a suggerirgli di perfezionare il suo tennis all’accademia di Niki Pilic. Fu una scommessa onerosa che papà Srdjan accettò di fare mettendo a rischio la sopravvivenza stessa di tutta la famiglia. Scommessa però vinta in pochissimi anni, grazie al carattere di ferro di Novak, alle sue qualità inimmaginabili e a due campioni che lo hanno inconsapevolmente sospinto, con il semplice esempio, verso l’immortalità.
Il tennis di Nole è un tennis fantastico, moderno, a tutto campo. Djokovic è nato pronto, pronto alla lotta, pronto alla guerra, da vincere sempre. A vederlo appare esile, sottopeso, patito; sembra che si debba spezzare da un secondo all’altro. Eppure ha doti atletiche uniche, come quella di arrivare in spaccata per recuperare palle imprendibili, e al contempo la capacità, da quegli angoli impossibili, di tirare passanti vincenti, a tutto braccio, e spesso da quei colpi nascono rimonte inimmaginabili. È il più indistruttibile di tutti, sia sul piano fisico che mentale e a sostegno di questo basterebbe ricordare che ha vinto le più lunghe finali di sempre sia a Wimbledon sia all’Open d’Australia. Ma non è finita: Nole gioca bene su tutte le superfici, in ogni posizione del campo e in qualsiasi condizione, spesso avendo tutto il pubblico contro, come accade sempre quando affronta Nadal o Federer. Ha uno spiccato senso dell’anticipo, serve bene e risponde addirittura meglio. Se a tutto questo ci aggiungiamo che ha un rovescio fenomenale e un dritto molto solido, ecco spiegata gran parte del segreto dei suoi successi che lo hanno portato ad avere un bilancio positivo nei confronti diretti sia contro Nadal (31-29) sia contro Federer (30-27).
Nole si impose all’attenzione generale nel luglio del 2006 quando colse il primo titolo ATP nel torneo di Amersfoort battendo in finale l’eroe cileno Nicolas Massu; continuò a migliorarsi giorno dopo giorno e nel 2007 vinse due Masters 1000 sul cemento, il primo a Miami su Guillermo Canas e il secondo in estate all’Open del Canada battendo al tie break decisivo Roger Federer. Quattro settimane dopo perse contro lo svizzero la sua prima finale Slam a Flushing Meadows.
L’esplosione vera e propria fu all’Open d’Australia del 2008 quando, ventenne, vinse il torneo battendo Federer in semifinale e Tsonga in finale; tutti si aspettavano grandi cose da lui, invece per quasi tre stagioni rimase in scia a Federer e Nadal, sempre da numero tre del mondo, senza più graffiare.
Quando iniziò il 2011, Nole era ancora lì, eternamente in rampa di lancio, con un solo Slam all’attivo contro i 16 di Federer e i nove di Rafa. Ma quell’inverno si procurò la fama di inattaccabile: vinse le prime 41 partite dell’anno (43 se si considerano i due match della finale di Davis del novembre 2010) arrivando imbattuto alle semifinali del Roland Garros. Fatale l’ostacolo Federer, ma si vendicò ampiamente vincendo per la prima volta Wimbledon (successo che gli diede per la prima volta la prima posizione mondiale) e l’Open degli Stati Uniti in finale su Nadal dopo aver salvato due match point in semifinale sul servizio di Federer. Da lì in poi la sua carriera fu una escalation continua: nel gennaio 2012 batté Nadal in 5 ore e 53 nella finale dell’Open d’Australia che diventò la finale Slam più lunga della storia; nel 2013 andò ancora a segno nello Slam australiano per poi toccare quota 100 settimane da numero uno; nel 2014 centrò la seconda vittoria a Wimbledon superando 6-4 al quinto un ottimo Federer (che batté anche due mesi dopo in finale a Flushing Meadows).
Era maturo a sufficienza per pensare di vincere il Roland Garros e puntare al Grande Slam. Nel 2015 ripeté il tris di Slam, ma perse la finale di Parigi contro un super Stan Wawrinka. Nel 2016 finalmente conquistò il Roland Garros presentandosi a Wimbledon con mezzo Slam in tasca. La pressione e la stanchezza aiutarono Sam Querrey nell’impresa di eliminarlo al terzo turno. A settembre perse la finale a Flushing Meadows, ancora contro Wawrinka, e a fine anno fu spodestato dal primo posto del ranking mondiale da Andy Murray che vinse tutto quello che c’era da vincere nei due mesi conclusivi della stagione. A questo punto perse tutti gli stimoli possibili e pochi avrebbero giurato su una sua rinascita. Però, se c’era riuscito Federer a risorgere nel 2017 e Nadal più volte dopo infortuni terribili, perché non Djokovic?
Quando iniziò il Roland Garros del 2018 Djokovic era numero 22 del mondo.Toccò qui il suo punto più basso perdendo nei quarti dal nostro Marco Cecchinato, ma da Wimbledon in poi tornò più forte di prima.
Fu il primo, e ancora unico della storia, a completare la collezione Masters 1000 conquistando per la prima volta Cincinnati, rivinse tre Slam di fila (Wimbledon e US Open 2018, Australian Open 2019) e dopo lo scivolone con Dominic Thiem in semifinale a Parigi, giocò la partita perfetta battendo nella finale di Wimbledon 2019, al tie break del quinto set sul 12 pari, un grandissimo Roger Federer che sull’8-7 del quinto si era divorato due match point con il servizio a disposizione. Due punti giocati a folle velocità da Federer, e con la massima attenzione possibile dal serbo. Sul primo match point Djokovic rispose di dritto indirizzando la palla nell’angolo sinistro di Federer che tentò di aggirare il colpo sbagliando però con il dritto. Sul secondo invece fulminò lo svizzero con un passante incrociato molto stretto che finì per spegnersi un palmo prima della riga del corridoio. Si trattava di vivere o morire e Nole scelse di sopravvivere al pericolo prima di domare il terzo tie break dell’incontro. Senza rotolarsi per terra, in segno di rispetto per il 38enne maestro svizzero, Djokovic ha scritto l’ennesima pagina indimenticabile di grande tennis, firmando forse la più bella ed emozionante partita della storia.
Quando finisce il secondo decennio del nuovo millennio Federer era ancora il leader nei successi Slam con 20, Nadal secondo a 19 e Djokovic terzo a 16. La fame di successi del serbo non era ancora placata: nel gennaio del 2020 conquistò per l'ottava volta l'Open d'Australia tornando anche in vetta al ranking mondiale dopo l'ultimo duello con Federer in semifinale e la faticosa finale strappata a Thiem (avanti 2 set a 1) 6-4 al quinto. La pandemia stravolse il pianeta, tennis compreso: Wimbledon saltò, e a Flushing Meadows furono i nervi a saltare a Djokovic, squalificato nel match valido per gli ottavi di finale contro Pablo Carrena Busta per aver scagliato con rabbia una pallina contro un giudice di linea. E infine al Roland Garros, giocato a ottobre per il covid, fu costretto a inchinarsi in finale a Nadal, quest'ultimo giunto a pareggiare i 20 Slam di Roger.
Nole riprese l'inseguimento alla prima occasione utile, da Melbourne 2021, nonostante un lieve infortunio agli addominali in un drammatico terzo turno vinto al quinto contro Taylor Fritz. In finale divorò Medvedev, poi l'8 marzo si mise alle spalle il record delle 310 settimane di leader di Federer e a Parigi si portò a meno uno Slam dalla coppia di testa. Il Djokovic del Roland Garros 2021 è spietato e indistruttibile: agli ottavi lasciò sfogare per due set Musetti, poi regolò Berrettini ai quarti, Nadal in semifinale e recuperò ancora due set nella finale vinta su Tsitsipas. Cinque settimane dopo era ancora campione a Wimbledon: l'avversario che gli permise di toccare 20 Slam fu l'italiano Matteo Berrettini, prima azzurro di sempre in finale ai Championships.
A un passo dal completamento del Grande Slam, Nole si irrigidì. Perse malamente la semifinale ai Giochi di Tokyo con Zverev, la finalina per il bronzo contro Carreno Busta e molti set (contro Rune, Nishikori, Brooksby, Berrettini e due in semifinale contro Zverev) nel cammino che lo portò alla finale di Flushing Meadows. Il 12 settembre 2021 Djokovic mandò in campo una controfigura di se stesso, svuotato dallo stress, dalla altissima posta in palio. E Daniil Medvedev ne approffittò con un periodico 6-4 6-4 6-4. Nole pianse prima dell'ultimo game, durante la premiazione e in conferenza stampa. Non riuscì a completare il Grande Slam, ma per la prima volta in carriera percepì l'affetto della gente, l'amore di un pubblico che non lo aveva mai sostenuto troppo.
Era ancora incontrastato numero 1 del mondo, ma gli strascichi del covid lo costrinsero nel 2022 a saltare due tornei dello Slam: il 5 gennaio venne fermato a Melbourne per irregolarità sul suo visto d'ingresso. Ai non vaccinati l'Australia era preclusa e il 14 gennaio il ministro dell'immigrazione cancellò il suo visto rispedendo Djokovic a casa. Il torneo andò a Nadal che non pago centrò mezzo Slam vincendo per la 14esima volta Parigi.
Le energie mentali di Djokovic però erano tornate illimitate, il settimo centro a Wimbledon su Kyrgios e poi finalmente il sorpasso definitivo ai rivali con un altro annata da incorniciare e un altro Grande Slam mancato per poco. In Australia pareggia Rafa, al Roland Garros lo stacca e dopo la finale persa contro il rampollo Alcaraz nella "sua" Wimbledon, il Djoker più famoso del pianeta porta a 24 il suo bottino Slam vendicandosi di Medvedev. E la storia non è ancora finita, nonostante Sinner che lo strapazza in una semifinale a senso unico dell'Open d'Australia.
Nole non perde smalto: nel corso del 2024 fa semifinale a Monte Carlo, quarti al Roland Garros, ma ancora finale a Wimbledon battuto ancora da Carlos Alcaraz (questa volta in tre set). In estate vince l'unico torneo importante che non aveva mai vinto e a 37 anni diventa campione olimpico superando nella finale di Parigi proprio Alcaraz. Ora tutto risplende nella sua bacheca in salotto a Belgrado. I quattro Slam, tutti i Masters 1000, le Atp Finals, la Coppa Davis e anche la medaglia d'oro ai Giochi Olimpici. Dopo perde da Sinner la finale a Shanghai prima di rinunciare a Torino e puntare tutto sulla preparazione in vista dell'Open d'Australia 2025.