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Borg, padre e figlio: un (impossibile) confronto fra stile e carattere

In cosa si somigliano e in cosa sono diversi, Bjorn Borg e il figlio Leo? Questo è il momento buono per farsi questa domanda, dopo che il 20enne ha giocato da titolare in Davis per la Svezia, mettendo in difficoltà Garin e Pospisil

di | 20 settembre 2023

Non confondiamo la lana con la seta. D'accordo, ma qui non ne facciamo una questione di palmarès, passato, presente o futuro. Qui ne facciamo una questione di tecnica, quasi di immagine. In cosa si somigliano e in cosa sono diversi, Bjorn Borg e il figlio Leo? Prima di entrare in dettaglio, capiamo perché questo è il momento buono per farsi questa domanda. Fino a una settimana fa, Leo era un anonimo (cognome a parte) ventenne che cercava spazio nei circuiti minori, tra Itf e qualche comparsata (sporadica) nei Challenger. La classifica? Un onesto numero 334, diventato nel frattempo 362. Numeri che migliorano decisamente se parliamo di Next Gen, con lo scandinavo che si colloca a quota 45 nella Race to Jeddah. 

A conferire una certa popolarità al 'piccolo' Leo è stata la Coppa Davis, che per quanto non veda più (da tempo) la Svezia fra le migliori, rimane una vetrina importante per farsi conoscere in ogni parte del mondo. Ebbene, a Bologna, di fronte a Cile, Canada e Italia, Borg junior ha fatto la sua parte: in particolare, contro l'ex top 20 Cristian Garin e contro l'ex numero 25 Atp Vasek Pospisil ha vinto un set andando davvero molto molto vicino al successo. Un successo che non è arrivato per questione di esperienza, non certo per inferiorità tecnica. Può essere che il terreno rapido della Unipol Arena lo abbia in qualche modo agevolato, ma in realtà è evidente che l'ultimo periodo abbia portato in dote al ragazzo quei miglioramenti necessari per ambire almeno all'ingresso nei top 100.

Bjorn e Leo Borg, un confronto tecnico

Paragoni con papà? Impossibili, se parliamo di prospettive. Possibili, se parliamo di tecnica, perché in fondo fin quando si rimane nel campo dell'immagine e dell'estetica dei gesti, ogni paragone è teoricamente possibile. “Leo – racconta Michelangelo Dell'Edera, il direttore dell'ISF che lo ha visto da vicino a Bologna – ha un rovescio molto simile a quello del papà nella fase della preparazione, anche se Bjorn staccava una mano dopo l'impatto. Un colpo unico”. Ecco dunque una prima caratteristica comune: Leo ha nel rovescio bimane un'arma importante, che in Davis ha mostrato sia una certa solidità, sia la capacità di accelerare al bisogno. Diverso invece il diritto, ma sul lato destro si avverte una maggiore incidenza del tempo che passa: in questo caso il colpo di Leo ha più rotazione e meno precisione, rispetto a quello del padre, il quale tuttavia giocava con racchette di legno e aveva dunque a che fare con un materiale che necessitava un trattamento differente.

“Leo – continua Dell'Edera – è diverso dal papà anche sotto il profilo caratteriale ed emotivo, almeno se parliamo del campo. Bjorn non ti consentiva di leggere le sue emozioni tramite il linguaggio del corpo, mentre Leo è un libro aperto: parla molto in partita, magari anche in maniera propositiva, ma ha da imparare molto. Tuttavia, il tempo non gli manca di certo. La top 100? Ci può e ci dovrebbe arrivare, su questo ho pochi dubbi”. Di dubbi ne aveva tanti, invece, il Leo bambino. Uno che il tennis lo ha sempre avuto nel sangue, per motivi di famiglia, ma che ha pure dovuto fare i conti con una pressione non indifferente, che in questo modo ha colpito pochi giocatori nella storia. E non ha certo aiutato il fatto che il figlio abbia interpretato il padre nel film di Janus Metz Pedersen Borg vs McEnroe, al cinema qualche anno fa.

Bjorn non ha mai voluto allenare Leo, proprio per questo motivo. E Leo non ha mai voluto vedere le videocassette dei trionfi di papà, per non aggiungere ulteriore stress a un sistema nervoso già messo sotto pressione. Non basta: persino in questa settimana di Davis, l'assenza del vincitore di 11 Slam non è stata casuale: sono stati loro, padre e figlio, a decidere per questa opzione. Perché altrimenti le attenzioni, le telecamere e i microfoni sarebbero stati tutti per il genitore in panchina, non per il ragazzo in campo. Accorgimenti che sembrano dettagli, ma che in una carriera ancora in fasce possono fare la differenza. Di certo c'è che la Svezia, per tentare di restare a galla nel tennis contemporaneo, si affiderà anche a lui. “Ma si è affidata pure all'Italia – chiude Dell'Edera – perché proprio a Bologna tutto lo staff scandinavo ha frequentato un corso di aggiornamento sul nostro sistema: ci hanno chiesto quale era stato il nostro percorso, ci hanno spiegato come vorrebbero interpretarlo”. Perché va bene che c'è la famiglia Borg, ma qualche altro potenziale campione bisognerà pure trovarlo altrove.


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