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Parla Mantilla, re di Roma 2003: "Roger, Foki, il talento. E quella notte da incubo..."

Felix Mantilla, 50 anni da Barcellona, vinse gli IBI nel 2003, battendo in finale Roger Federer. Poi ha intrapreso una brillante carriera da coach, che oggi lo ha portato a collaborare con Alejandro Davidovich Fokina, attualmente numero 10 della Race

di | 27 aprile 2025

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Tuffo nel passato. Per la precisione, 2003, maggio, Foro Italico: sembra tutto apparecchiato per la prima abbuffata del re, o almeno di chi è destinato a diventarlo di lì a poco. Invece Roger Federer non riesce ad alzare quel trofeo degli Internazionali BNL d'Italia che poi avrebbe mancato in altre tre occasioni sulla linea del traguardo. Ma se, in seguito, a negargli la gioia sarebbero stati Rafael Nadal (due volte) e Novak Djokovic, quella prima delusione porta una firma meno nota.

A fermare Sua Maestà fu Felix Mantilla da Barcellona, best ranking di numero 10 Atp, spagnolo dal carattere forte e dal tennis concreto. Uno che – mentre Roger ispirava le penne più educate – era fonte di ispirazione per tanti giocatori della domenica, che magari segretamente lo ammiravano per la capacità di trarre il massimo dal proprio repertorio. Felix arrivò a Roma 28enne e non nel suo momento migliore (era numero 47 Atp al tempo), ma infilò la settimana più bella della carriera: superò Nalbandian, Fish, Albert Costa, Ljubicic, Kafelnikov e appunto Federer. Una schiera di campioni da urlo. 

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“Ma quello che non sapete – spiega Mantilla, 50 anni compiuti lo scorso settembre – è cosa accadde la sera prima di quella finale. Finimmo molto tardi la semi contro Kafelnikov e tra cena, doccia, massaggi e tutto il resto, restai l'ultimo dentro al Foro Italico, fino alle 23 circa. Il club a quell'ora era chiuso, non trovavo nessuno che mi facesse uscire e allora ci decidemmo a saltare una recinzione, insieme al mio coach. Aiutati da alcuni ragazzi che passavano di lì, che ci riconobbero e ci chiamarono un taxi. Una volta in hotel, altra sorpresa: c'era una festa in una camera proprio a fianco della mia, ma erano già le due di notte e io avevo bisogno di dormire perché il giorno dopo avrei affrontato la partita più importante della mia carriera. Andai alla reception chiedendo di essere spostato e mi trovarono una stanzina minuscola, saranno stati 90 centimetri di larghezza, ma almeno silenziosa. Dormii solamente dalle 4 della mattina, ma nel pomeriggio per fortuna andò tutto bene...”.

Un altro motivo per non dimenticare quel torneo...

“Ho un ricordo incredibile di quel titolo, ogni partita fu un'emozione diversa e lo terrò nella mia mente e nel mio cuore per tutta la vita. È il torneo più prestigioso che ho vinto in carriera”.

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Lei ha giocato anche contro Nadal, nel primo torneo Atp vinto da Rafa, a Sopot nel 2004. Impressioni di allora?

“Rafa in quel momento, se lo vedevi da fuori, ti sembrava forte ma non ingestibile. Ma quando lo affrontavi era terribilmente complicato fargli un winner o metterlo in difficoltà, in posizione di disagio. Si capiva solo da dentro, giocandogli contro, che sarebbe diventato un campione straordinario. Come lui sulla terra non vedremo mai più nessuno”.

Lei, oltre a Roma, ha vinto altri tornei in Italia: Napoli e Barletta a livello challenger, più Bologna e Palermo. E volendo includerlo, anche San Marino. Cosa la legava al nostro Paese?

“Amo l'Italia e mi piace molto il cibo, in qualsiasi posto vai mangi bene. È un Paese per certi versi simile alla Spagna, con una cultura affine. L'ambiente del classico torneo italiano è simile a quello di un torneo spagnolo, e a me piaceva anche il clima che creavano i tifosi”.

Se le chiediamo il match più emozionante mai giocato?

“Un match di Davis molto complicato, nel 1999 in Nuova Zelanda. Vincevo 6-2 3-1 contro Mark Nielsen, una partita che pareva facile facile. Poi sentii un dolore alla schiena e mi ritrovai totalmente bloccato. Chiesi al medico cosa potevo fare: mi disse che potevo prendere un farmaco per rilassare i muscoli e dopo 45 minuti, forse, mi sarei sentito un po' meglio. Così feci: in risposta non mi muovevo, mentre quando mi toccava servire, battevo a 20 all'ora. Persi 9 game di fila ma rimasi e in campo e piano piano capii che potevo tornare a muovermi. E vinsi al quinto, anche se servivo al massimo a 80 all'ora. Ma mi decisi a tenere tutto in campo e alla fine vennero i crampi al mio avversario. Il quinto set fu abbastanza comico, ma mi sentii molto orgoglioso. Dopo quel match fui costretto a operarmi e rimasi fermo 7 mesi. Fu un periodo duro ma non mi pento, l'ho fatto per la squadra”.

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Le piace la Davis di oggi?

“No. Mi piaceva più prima. Oggi i grandi giocatori la lasciano generalmente in secondo piano. Prima, col vecchio format, anche quando avevi tutto il pubblico contro era molto emozionante”.

Oggi lei segue Alejandro Davidovich Fokina: cosa l'ha convinta a cominciare questo progetto?

“Ogni anno, dopo che ho smesso, ho ricevuto offerte per allenare qualcuno. Ma io voglio vedere se il giocatore in questione ha un potenziale per crescere. Alejandro ha un potenziale importante, ma questo non significa che lo sfrutterà. Molti del resto non ci riescono mai. Lui ha margini di progresso tanto a livello di tennis quanto a livello mentale. Mi piace questa sfida, abbiamo formato un team molto forte, con David (Sanchez, l'altro coach, ndr) e Drago (Dragoljub Kladarin, il preparatore, ndr) e siamo pronti per proseguire sulla strada che abbiamo intrapreso”.

A che punto è il lavoro con 'Foki'?

“Ho cominciato lo scorso anno a seguirlo, ci sono stati una serie di fattori anche extra campo che lo hanno condizionato. Ma dalla off season in poi ci siamo concentrati su tutti gli aspetti che doveva migliorare. Lui è abbastanza autocritico e questo è molto importante: quando fa qualcosa che non va lo riconosce immediatamente, quindi questa è la base per migliorare. Io gli spiego sempre che è un processo di crescita, il cambiamento non è qualcosa che arriva da un giorno all'altro”.

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Talento, nel tennis, è una parola che vuol dire tutto e niente. Che talento è Davidovich Fokina?

“Alex può generare un winner da ogni punto del campo e il suo rovescio è già ai massimi livelli, pochi nel Tour hanno un colpo simile per efficacia e facilità di esecuzione. Il diritto è buono ma a volte sbaglia la scelta del colpo. Il talento dal mio punto di vista vuol dire saper colpire senza sforzo. Inoltre, ad Alex dici di cambiare una cosa e lui la cambia in un giorno. Anche questo è talento: saper aggiungere qualcosa al repertorio senza sprecare troppo tempo”.

Roger Federer diceva che il talento è ripetizione.

“Sono d'accordo: puoi avere tutto il talento che vuoi ma senza il lavoro non vai da nessuna parte”.

Cosa serve, dunque, a Davidovich Fokina, per diventare un top player?

“Quello che gli dico sempre è che deve giocare bene ogni settimana. Questo è quello che fanno i migliori, che magari giocano meno tornei, ma quando entrano in campo sono quasi sempre al meglio delle loro possibilità e pronti a fare risultato. Per questo, serve anche una condizione fisica impeccabile, altro aspetto su cui stiamo lavorando. Lui ha giocato bene a Monte-Carlo e poi anche a Barcellona, dove ha battuto Rublev contro cui aveva sempre perso. Ma a me piace vedere la progressione del giocatore, dunque sono contento, anche se adesso forse è un po' stanco perché non è abituato a vincere tanto in un periodo ristretto. Se riuscirà a farlo, potrà arrivare ad avvicinare i top 10. Mentre giocatori come Sinner e Alcaraz oggi sono onestamente fuori portata”.

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Un coach deve essere anche un po' psicologo?

“A me piace essere auto-critico, ma in modo costruttivo. Non mi piace, di fronte a una sconfitta, essere negativo e distruggere tutto quello che è stato fatto. Bisogna mantenere equilibrio nei confronti del proprio lavoro e nei confronti del giocatore, pur parlando chiaramente e con sincerità. Solo così si cresce come team”.

Chiudiamo con qualcosa di più personale. Nel 2010, lei ha dato vita a una fondazione per sensibilizzare contro il cancro della pelle.

“Sono stato molto esposto al sole per anni, ho la pelle chiara e mi era venuto un melanoma, un cancro della pelle appunto. Da quel momento, mi è venuta voglia di creare questa fondazione, che ho attivato nel 2010 per alcuni anni, che voleva sensibilizzare le persone sui danni potenziali provocati dal sole. Abbiamo fatto un buon lavoro, nel corso del tempo, e anche se oggi la fondazione non è più attiva sono contento del percorso che abbiamo fatto”.

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Insieme a Mantilla e David Sanchez, con Davidovich Fokina lavora anche Dragoljub Kladarin. Croato di origine, bergamasco di adozione, 'Drago' è uno dei pilastri per la preparazione del Piatti Tennis Center di Bordighera, ma ha già maturato molta esperienza anche con i professionisti. Jannik Sinner, Milos Raonic, Alexander Zverev sono i tre top player che ha seguito da vicino negli ultimi anni, prima di cominciare l'avventura con lo spagnolo.

“Felix – spiega riguardo a Mantilla – è un allenatore con tanta esperienza, che ha le idee chiare e va dritto al punto. In questo mi piace molto e ho trovato subito un buon feeling con lui. Alejandro è un tipo 'muscolare', molto forte di suo, che ha bisogno di lavorare su mobilità e parte elastica. Se lo dovessimo caricare troppo rischieremmo di rovinarlo. Sta giocando molto e mi sta sorprendendo in positivo”.

Proprio Davidovich Fokina si è aggiunto alla schiera di giocatori che ha avanzato qualche dubbio sul proprio rendimento nei tornei Masters 1000 di due settimane. Come si gestisce, un evento come questo? “Cominciamo col dire che con certi giocatori - sottolinea il preparatore - bisogna impostare la stagione con meno tornei. Con i giocatori come Alex invece c'è bisogno di una quantità maggiore di incontri. Ma con i Masters 1000 di due settimane, perdendo al primo turno, si rischia di disputare appena due match in un mese (motivo per cui l'Atp ha introdotto i Challenger 175, ndr). È chiaro che per un preparatore è meglio avere più tempo per impostare un lavoro di lungo periodo, ma tutto questo lavoro poi va portato in campo, in match ufficiali: è lì che si capisce quanto si è lavorato bene e dove bisogna ancora insistere”.

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