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L’inizio di una collaborazione fra Novak Djokovic e Andy Murray non può lasciare indifferenti, perché due giganti uniscono le forze per difendere la vecchia guardia. Murray può incidere su certi aspetti, meno su altri e la tempistica non sembra dalla sua parte. Per questo, fascino escluso, la scelta di Djokovic lascia qualche dubbio
25 novembre 2024
Quando ha appreso la notizia della scelta di Novak Djokovic di integrare nel suo team niente meno che Andy Murray, Felix Auger-Aliassime – via X – ha definito l’ATP Tour un film, con tanto di emoji dei popcorn. Una pellicola dal sapore romantico, nella quale la vecchia guardia determinata a non mollare stringe un’alleanza per provare a tenere a bada i giovani, ormai diventati i nuovi padroni della scena. Fosse sul serio un film, il lieto fine sarebbe indubbiamente garantito, ma la realtà di cinematografico ha spesso poco, dunque sarà il futuro a dirci se l’operazione nostalgia della racchetta funzionerà oppure no.
Per il momento, rimane chiara la volontà dei due di mettersi in gioco: quella di Murray che veste gli abiti del coach entrando direttamente dalla porta principale, e quella di “Nole” che quando c’è da sperimentare si tira indietro di rado. Dopotutto, ad anni 37 – che diventeranno 38 nel 2025 – non ha più chissà quale necessità di una guida dal punto di vista tecnico, mentre gli servono come il pane figure in grado di conservare al top il suo fisico d’acciaio e di motivarlo nella ricerca di obiettivi nuovi, aspetto non facile per chi ha vinto di tutto e di più, per anni e anni. Murray può essere l’uomo giusto? Ecco punti a favore e perplessità.
MURRAY CON DJOKOVIC: PERCHÉ SÌ
Uno degli aspetti a favore della nuova collaborazione Djokovic-Murray è sicuramente legata al dialogo. Lo scozzese può parlare a “Nole” come pochi altri possono fare: perché lo conosce da 25 anni e l’ha battuto ben 11 volte, guadagnandosi non solo il rispetto ma anche la stima del suo nuovo assistito. Murray sa bene quali sono i punti forti di Djokovic, ma anche i punti deboli che spesso ha saputo stuzzicare meglio di tanti colleghi. Dunque potrebbe addirittura riuscire anche a indirizzare il serbo verso nuovi progressi tecnici.
Andy può essere l’uomo giusto per qualsiasi sarà la versione di Djokovic che si presenterà nel 2025, la quale è ancora da capire. Punterà a vincere di nuovo tutto, motivato dal fatto che – non va dimenticato – nel 2024 si è posto un unico grande obiettivo ed è riuscito a conquistarlo, prendendosi l’Oro Olimpico che gli mancava e facendo piangere Carlos Alcaraz? Oppure persino Novak ha capito che il ritmo dei nuovi è troppo difficile da sostenere e dunque andrà avanti solo per il piacere di farlo senza porsi particolari obiettivi? Conoscendolo viene da dare maggiore credito alla prima opzione, ma al momento ciò che conta – come detto – è che la presenza di Murray nel suo team possa funzionare a dovere per entrambe.
Perché da giocatore Andy è stato sia la prima, riuscendo a inserirsi in mezzo ai Big Three, sia la seconda, quando a fine carriera, con l’anca d’acciaio, sapeva di non poter più lottare per certi traguardi. Eppure ha continuato a provarci e riprovarci, diventando un (grande) esempio di voglia di non arrendersi, di passione e amore per il gioco che gli ha dato tantissimo. Sacrificarsi quando piovono le vittorie è facile, mentre lo è meno farlo quando anche un primo turno superato profuma di grande risultato.
Djokovic ha già detto più volte di giocare ormai per il piacere di sentirsi ancora un tennista competitivo, e sarà ancora di più così il prossimo anno, visto che non avrà nemmeno l’obiettivo olimpico. Qui Murray può incidere: può trasmettergli l’entusiasmo di quella che per lui è la prima volta da coach, può motivarlo e possono divertirsi insieme, volontà peraltro già espressa dal modo in cui Djokovic ha annunciato la collaborazione, con quella frase “he never liked retirement anyway” che ha scimmiottato il “never even liked tennis anyway” che Murray scrisse su X nelle prime ore successive all’addio. Detto ciò, il britannico rimane anche un grande conoscitore degli aspetti tattici del gioco: se Nole punta a capire come arginare la superpotenza di chi l’ha spodestato dalla vetta della classifica mondiale, uno come Murray qualche idea può suggerirgliela.
MURRAY CON DJOKOVIC: PERCHÉ NO
Detto di tutto ciò che uno come Murray può portare a casa Djokovic, è inevitabile la presenza di qualche perplessità. La prima è legata all’esperienza dello stesso scozzese nel ruolo di allenatore, cioè pari a zero. Il mondo della racchetta è stracolmo di giocatori che oggi smettono e domani passano dall’altro lato della barricata, magari riuscendo anche subito a incidere perché ancora “freschi” delle esperienze nel circuito. Ma un conto è iniziare a seguire dei giovani, un altro è sedersi sulla panchina del giocatore più vincente di tutti i tempi. Djokovic è da sempre abituato ad avere accanto allenatori di primissimo piano: dallo storico coach Marian Vajda a Goran Ivanisevic, ma anche Boris Becker e non solo. Murray è pur sempre Murray, ma non basta il cognome altisonante per diventare buoni allenatori. A “Nole” ne serve uno ottimo.
Un’altra perplessità riguarda l’inizio della loro collaborazione. Djokovic ha annunciato che Murray sarà con lui almeno fino all’Australian Open, sicuramente con l’opzione di allungare il rapporto qualora le cose dovessero andare bene. In sostanza, partono con un periodo di prova che sta bene a entrambi. Ma la fase della preparazione è quella nella quale un coach può incidere meno, perché il lavoro è soprattutto atletico, per mettere benzina nelle gambe in vista della nuova stagione. Per Murray può essere un’arma a doppio taglio: è vero che gli darà tempo per ambientarsi senza subire l’assillo dei risultati, ma allo stesso tempo non avrà grandi possibilità per dare la propria impronta al percorso. Quello potrà farlo solo all’Australian Open, quando però il periodo di prova sarà già agli sgoccioli.
Infine, a far pendere l’ago della bilancia dalla parte del no c’è anche un curioso dato statistico, visto che non è la prima volta che i due coetanei (nati a sette giorni di distanza: 15 maggio 1987 per Andy, 22 maggio per Novak) decidono di unire le forze. Nel corso della loro carriera l’hanno già fatto in due occasioni, disputando il doppio insieme prima all’Australian Open del 2006 e poi nel 2011 al Masters 1000 di Miami. In entrambe le occasioni persero al primo turno. Ma anche qui c’è un lato positivo: da coach-allievo possono solo fare meglio.
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