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La crescita di Napolitano vista da coach Oradini

Trentino, ma milanese d’adozione, Oradini ha cominciato la sua carriera di coach proprio nel capoluogo lombardo, facendo da sparring nell’ultima parte della carriera agonistica di Francesca Schiavone. Dalla fine del 2018 ha seguito la giovane Lisa Pigato, fino a quando ha deciso di dedicarsi all’amico Stefano Napolitano. Ecco il suo punto di vista

22 aprile 2024

Stefano Napolitano

Stefano Napolitano

Nato e cresciuto a Rovereto, in Trentino Alto Adige, Giacomo Oradini, per tutti Jack (“quando mi chiamano Giacomo vuol dire che ho fatto qualcosa di grave”), è stato un discreto giocatore con un best ranking di n.704 Atp ottenuto nel 2012. “Direi mezzo giocatore… piuttosto scarso, anche se non ricordo un momento della mia vita senza racchetta. Credo di essere nato giocando a tennis”.

Milanese d’adozione, ha cominciato la sua carriera di coach proprio nel capoluogo lombardo, facendo da sparring nell’ultima parte della carriera agonistica di Francesca Schiavone. Dalla fine del 2018 ha seguito la giovane Lisa Pigato, fino a quando ha deciso di dedicarsi all’amico Stefano Napolitano. Autentico trascinatore dentro e fuori dal campo, il 33enne coach trentino è un ragazzo che, a suo dire, “vive di emozioni”.

Jack, quando ha cominciato a lavorare con Stefano Napolitano?

“Con Stefano c’è un rapporto di amicizia che dura da tantissimi anni. Le prime chiacchiere su questo progetto le abbiamo fatte durante gli ultimi Internazionali d’Italia, poi, tra settembre e ottobre del 2023, ho smesso di seguire Lisa Pigato, pur continuando a lavorare nel circolo di suo papà Ugo, e ho cominciato a collaborare con Stefano”.

Ma Napolitano fa ancora base a Verona?

“Esatto, Stefano è seguito per quanto riguarda la preparazione fisica da Flavio Di Giorgio alla ‘Magnitudo Training’ di Verona e continua una proficua collaborazione con il preparatore mentale Stefano Massari. Sono soprattutto loro le persone che negli anni passati, nei cosiddetti momenti bui, hanno contribuito maggiormente alla rinascita di Stefano. Quando io sono arrivato nel team, ho trovato un giocatore già rigenerato e proiettato verso i risultati che stiamo apprezzando in questi mesi”.

Curiosamente, avete anche un precedente da avversari, nel 2012 al torneo di Pozzuoli.

“Esatto, scherzando gli ricordo sempre che mi ha rubato il primo set di quel match ma lui sostiene che, in ogni caso, non avrebbe mai potuto perdere con uno scarso come me...”.

Passare da una giocatrice giovane come Lisa Pigato a un giocatore di quasi trent’anni come Napolitano non deve essere stato semplice.

“Chiaramente con Lisa era un lavoro di formazione, mentre Stefano è un giocatore fatto e finito, come si usa dire, e quindi bisogna essere bravi a entrare nelle sue dinamiche. In questo caso è più il coach che si deve adattare alle esigenze del tennista, anche perché non lavoriamo insieme quotidianamente ma abbiamo una collaborazione a settimane. La difficoltà è quella di cercare di inserirsi e aggiungere qualcosa a una macchina che comunque è già ben rodata”.

Al netto dei tanti infortuni che hanno condizionato la carriera di Stefano, qual è la chiave che lo ha portato al best ranking in questo momento della sua carriera?

“La sua grande dote è la determinazione, il fatto di sapersi organizzare benissimo. Direi anche la sua dedizione, ma forse sarebbe più giusto dire ossessione per il lavoro… fin nei minimi dettagli. Non è mai soddisfatto, vuole migliorare costantemente e anche nelle giornate in cui ottiene un buon risultato, chiede subito di andare a perfezionare quegli aspetti del gioco che non lo hanno convinto pienamente. Quello che ha fatto la differenza in questo ultimo anno è stato poter passare tante ore sul campo grazie ad una buona condizione fisica”.

Se le chiedessi la qualità migliore di Napolitano?

“È un ragazzo estremamente intelligente e curioso. Ha una conoscenza molto alta di tutto quello che fa e lo circonda e questo lo porta spesso a sapere cosa gli è più utile anche in campo”.

I traguardi del tennis italiano, così come la spinta positiva di Sinner, stanno dando un nuovo impulso anche a giocatori non più giovani come Napolitano?

“Sono certamente uno stimolo. Stefano poi si è anche allenato con Jannik negli anni dell’accademia di Riccardo Piatti. Vedere gli altri che ce la fanno ti porta a pensare che anche tu puoi ottenere risultati importanti”.

Il rovescio di Stefano Napolitano

Raggiunto il best ranking, quali nuovi obiettivi vi siete dati?

“Potrei dire entrare nei primi 100, ma non sarebbe corretto. Il vero obiettivo è quello di restare sani e continuare a lavorare per dimostrare il proprio valore. Inseguire un numero non ha senso. Per lui sarebbe importante tornare a giocare in tabellone gli Slam”.

Cosa prevede la sua programmazione nelle prossime settimane?

“Il Challenger 175 di Cagliari, poi Roma, il Challenger 175 di Torino e il Roland Garros”.

Parliamo un po’ di lei, Jack. Classe 1990, buon giocatore, quali sono state le motivazioni che l’hanno convinta a lasciare il campo per la panchina?

“Come per tutti i giocatori medio-scarsi, le difficoltà economiche. Vincendo poco devi sempre fare i conti con l’affitto da pagare alla fine del mese. Nel 2015, quando ho cominciato a girare il mondo nei tornei che contano con Francesca Schiavone, ho capito che il mio problema non era né il diritto, né il rovescio ma c’erano altre problematiche che io, da ragazzo, non avevo compreso. Non è stato un passaggio traumatico, anzi, ero proprio contento di intraprendere questa carriera”.

Ci sono delle figure di riferimento che hanno inciso sulla sua formazione?

“Francesca Schiavone mi ha insegnato un sacco di cose e, nell’ultimo periodo, direi Aldo Mei. Si tratta di un maestro di 85 anni con cui adoro confrontarmi al Cantera Tennis Team, il circolo alle porte di Milano dove lavoro attualmente. Lui ha sempre un punto di vista differente che mi apre la mente. Poi non posso non citare anche Ugo Pigato”.

Un’ultima curiosità: essere amico e coach è un limite o aggiunge valore al rapporto?

“Se si è bravi a dividere quello che succede sul campo dalla vita privata, direi che è decisamente un vantaggio”.

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