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Renzo Furlan oggi ha 53 anni e in Australia si potrà sedere per la prima volta sulla panchina di una Nazionale, dopo aver portato in alto Jasmine Paolini attraverso un percorso fatto di lavoro e coraggio. Ecco la sua storia
di Cristian Sonzogni | 27 dicembre 2023
Negli anni Novanta del secolo scorso il tennis italiano non se la cavava poi così male, soprattutto se lo paragoniamo a quello degli inizi del nuovo millennio. Ma non era nemmeno quella miniera d'oro che è diventato oggi. Tra coloro che, all'epoca, furono in grado con una certa regolarità di trainare gli azzurri fuori dall'anonimato c'era un ragazzo cresciuto a Cimetta di Codogné, profondo Nord della provincia veneta, a due passi dal Friuli Venezia Giulia e dalle montagne più belle del mondo.
Renzo Furlan oggi ha 53 anni e in Australia si potrà sedere per la prima volta sulla panchina di una Nazionale, dopo aver portato in alto Jasmine Paolini attraverso un percorso fatto di lavoro e coraggio. Il ruolo di capitano in United Cup è un (giusto) riconoscimento per un uomo che proprio sul lavoro e sul coraggio - condito dai silenzi delle persone di valore - ha fondato una carriera di alto profilo, condotta per anni con lo stesso atteggiamento dei più grandi: la volontà di limare ogni giorno qualche piccolo difetto, fino ad arrivare a essere la versione migliore di se stessi.
Renzo Furlan con Tathiana Garbin (foto Puglia/FITP)
Cresciuto sulla terra battuta – perché all'epoca, in Italia, era difficile fare altrimenti – Furlan è stato capace col tempo di trasformarsi da regolarista a giocatore completo, finendo addirittura per fare spesso e volentieri serve&volley sui terreni particolarmente veloci. Una prova? All'epoca c'era un coetaneo dell'azzurro, Jan Siemerink, mancino olandese, che del serve&volley era un seguace furioso, fino all'autolesionismo (nel senso che lo faceva sempre, a prescindere da punteggio e superficie). Ebbene, Renzo fu capace di batterlo due volte, una sul veloce indoor di Anversa e un'altra a Wimbledon (rimontando due set di svantaggio), ossia su alcuni dei campi più rapidi del circuito.
Come? Semplice, facendo serve&volley costantemente e soprattutto meglio del suo avversario. L'episodio conta perché fa capire alla perfezione qual era l'arma migliore di Furlan: la testa. Fisico proporzionato ma 'normale', tennis completo ma senza una particolare velocità di braccio, il veneto riuscì a vincere due tornei Atp (sul cemento di San José e sulla terra di Casablanca) e ad arrivare al numero 19 del mondo proprio grazie alla volontà di ferro e alla capacità di capire cosa fare in ogni momento del match.
In tempi in cui, per l'Italia, un ottavo Slam era una sorta di utopia, Renzo riuscì a prendersi un quarto di finale al Roland Garros. Era il 1995, l'azzurro approfittò alla perfezione di un buco in tabellone, superò il brasiliano Meligeni e l'australiano Scott Draper (un tipo strano ma dal braccio fatato) e si arrese a un Sergi Bruguera allora difficilmente scalfibile sul rosso. Quel '95 fu uno dei suoi migliori anni: fu capace di battere Petr Korda (il papà di Sebastian) e Christian Ruud (il papà di Casper), ma anche Mats Wilander, Sergi Bruguera e Wayne Ferreira uno in fila all'altro sul duro di Cincinnati. E ancora Andrei Medvedev e Tim Henman, due campioni veri.
Nel 1996, insieme al best ranking, arrivò forse il rimpianto più grande, la sconfitta nei quarti di finale alle Olimpiadi di Atlanta contro Leander Paes. Uno che in teoria, il nostro, in singolare avrebbe dovuto battere 9 volte su 10. Invece in quel momento l'indiano era in stato di grazia, si prese la medaglia di bronzo e a Furlan rimase la delusione di una (grande) occasione mancata. Come due delusioni furono le semifinali di Davis, mai oltrepassate, con una Francia di traverso sempre nel 1996, a Nantes.
Abbandonato il circuito nel 2004 (ma l'ultima stagione piena fu quella del 2003), Furlan non è mai uscito del tutto dal mondo del tennis. Anzi, ha fortemente voluto dedicare anima e corpo all'insegnamento. Prima a Tirrenia come responsabile, poi con i singoli giocatori. Se il suo progetto meglio riuscito è senza dubbio la crescita di Jasmine Paolini, il veneto si è occupato anche di Francesca Schiavone, quasi in forma anonima, mentre la Leonessa si stava preparando per vincere il Roland Garros del 2010. Fu proprio lui a cominciare la preparazione dell'anno magico di Francesca, mettendo ordine nel tennis della giocatrice lombarda. Anche se in seguito lo stesso Furlan avrebbe attribuito al preparatore atletico Stefano Barsacchi i meriti maggiori di quella trasformazione.
Non sarebbe andata altrettanto bene con Simone Bolelli, ma ormai il percorso da tecnico era tracciato. Al punto che delle qualità dell'italiano si accorse pure la Federtennis serba, che gli offrì – attraverso Edoardo Artaldi, ex manager di Djokovic – un contratto da direttore tecnico per seguire gli Under 20. Renzo Furlan, per riassumere, è un patrimonio del tennis italiano. Uno che incarna la parola esempio meglio di chiunque altro. Vederlo in panchina in questa United Cup (che deve ancora comprendere il suo posto nel mondo) sarà un piacere per chi lo ha visto dare l'anima in campo e una mano ai suoi giocatori dalla tribuna.