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Storia del Peque: perché è stato amato da tutti

Nel 2024 il crollo, ritrovandosi a fare le qualificazioni per i tornei Atp: troppo, per un giocatore come lui, che è stato numero 8 al mondo e che ha partecipato nel 2020 alle Finals. Schwartzman a quel punto, da giocatore e da uomo straordinariamente intelligente quale è sempre stato, ha detto che poteva bastare così

14 febbraio 2025

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'Troppo piccolo per giocare a tennis': gli è sempre stato ripetuto come un mantra per tutta la sua vita, ma in campo è stato un gigante. "El Peque" nel suo ultimo torneo, nella sua Buenos Aires, ha fatto quello che lo ha contraddistinto in tutta la sua carriera: lottare e sorprendere. 

Quella vittoria contro Nicolas Jarry, alto più di due metri, nella cattedrale del tennis argentino, in un torneo da lui vinto nel 2021, è un po' l’emblema della carriera di Diego Schwartzman: un Davide alto nemmeno un metro e settanta che con coraggio batteva i vari Golia del circuito, togliendogli il tempo, con il suo anticipo nel colpire la palla, e certezze, sfidandoli col cuore sul campo di battaglia. 
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Schwartzman si ritira alla soglia dei 33 anni, e già da un po' di tempo lui stesso si sentiva un ex. Aveva dato troppo per realizzare il suo sogno e non ne aveva più. Lui stesso ha raccontato come nel 2022, giocando il torneo di Amburgo, si era accorto che qualcosa stava cambiando, forse per sempre: “Ho sostituito i miei coach, pensando che forse era il momento di cambiare qualcosa, ascoltare voci diverse e nuovi modi di lavorare. Non è stata la decisione giusta. Ero io. Non era nessun altro”, ha detto l’argentino, e da lì in poi è stato il declino. 
 
Tante eliminazioni al primo turno, il corpo che non risponde più, la mente che abbandona la volontà di andare avanti. Nel 2024 il crollo, al punto da ritrovarsi a fare le qualificazioni per i tornei Atp: troppo, per un giocatore come lui, che è stato numero 8 al mondo e che ha partecipato nel 2020 alle Finals. Schwartzman a quel punto, da giocatore e da uomo straordinariamente intelligente quale è sempre stato, ha detto che poteva bastare così. La testa, dopotutto, per lui è sempre stata tutto. 
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Il suo nome, Diego, gli è stato dato in onore di Maradona, ma a differenza del “Diez”, però, Schwartzman non è certo stato stradotato di talento purissimo, e quello che ha realizzato se l’è dovuto costruire mattone su mattone, senza avere niente in regalo. Con volontà e soprattutto col cervello.
 
La sua famiglia lo ha aiutato per quanto possibile, ma nell’Argentina post crack economico, dove Schwartzman è nato nel 1992, di soldi ce n’erano veramente pochi: la gioielleria dei genitori era stata travolta dalla crisi e per racimolare qualcosa per Diego, mamma e papà vendevano braccialetti, sì, ma di gomma. Spesso, dormivano tutti e tre nello stesso letto.
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Schwartzman partiva già svantaggiato dal punto di vista fisico, quel suo metro e settanta scarso che rendeva la lotta impari contro la stragrande maggioranza dei suoi colleghi. Nell'era moderna solo Harold Solomon, l’avversario di Adriano Panatta nella finale del Roland Garros del 1976, era arrivato così in alto in classifica non superando il metro e settanta di statura. Persino Michael Chang aveva qualche centimetro in più.

A fronte di tutto questo, Schwartzman non si è mai fatto prendere dallo sconforto e soprattutto non si è mai fatto intimidire da nessuno. Lo svantaggio a poco a poco si è trasformato in vantaggio, perché ha costretto "El Peque" (“il piccolino”) a dare tutto in campo e ad affinare al massimo le armi che aveva a disposizione, come ad esempio la risposta e l’anticipo, tra i migliori del circuito. 

Nella sua carriera Schwartzman ha vinto 4 tornei Atp su 14 finali disputate, è diventato uno dei 12 argentini a entrare nei top 10, con una semifinale al Roland Garros nel 2020 come momento più alto, e soprattutto è riuscito a dare filo da torcere a tutti, persino ai grandi del suo tempo, come Roger Federer, Rafael Nadal e Novak Djokovic. 
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Certo, contro di loro in tutto ha vinto soltanto una partita, quella splendida contro Rafael Nadal nei quarti di finale di Roma nel 2020, ma è sempre uscito dal campo con la consapevolezza di non essere uno sparring partner ma di aver lottato con le unghie e con i denti su ogni singola palla. “Sono orgoglioso di non aver mai ceduto a queste leggende senza combattere, ed è bello che i tifosi se ne ricordino ancora”, ha detto Schwartzman. 
 
Questo atteggiamento alla fine è stato non solo apprezzato da tifosi e avversari, ma gli è stato riconosciuto, tanto da ricevere in queste ore gli applausi e gli elogi da tutto il mondo del tennis, in primis proprio da quel Rafael Nadal col quale ha tante volte lottato in campo e che è sempre stato un po' l’idolo di Schwartzman. 
 
Anche Jannik Sinner, l’attuale padrone del circuito, che con l'argentino condivide lo stesso giorno di nascita (16 agosto) e che ne è stato compagno di doppio, lo ha salutato attraverso i social, elogiando la carriera e soprattutto la persona che è Diego. E nessuno, davvero nessuno, potrebbe parlare male di un giocatore, di un uomo, che ha costruito un miracolo nella sua vita e che per questo, anche per questo, non può che essere rispettato e ammirato.

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