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La settimana al Pala Alpitour ha proposto Jannik Sinner come icona sportiva nazionale, andando oltre gli appassionati della disciplina. Uno spot per il tennis, che porta Jannik a livello di tante star del passato. Ma con tre vantaggi importanti
di Cristian Sonzogni | 19 novembre 2023
Lasciamo da parte il calcio, religione laica che troppo spesso ha fagocitato l'attenzione mediatica, relegando il resto agli spazi residui di giornali e tivù. Ma anche se parliamo di altri sport, l'Italia è ricca di leggende. Alcune delle quali sono uscite dai confini della loro disciplina per entrare nel costume della nostra società. Intendiamoci, qui non si vogliono fare paragoni, per due motivi.
Il primo: confrontare epoche e discipline diverse è impresa ardua, pressoché impossibile per chi sia dotato di una benché minima onestà intellettuale. Il secondo: per paragonare Sinner e il tennis italiano odierno alle stelle che già la loro carriera l'hanno conclusa, o che comunque hanno già conquistato i titoli per finire sui libri di storia, bisognerà attendere ancora qualche anno. Allora, solo allora, forse potremo capire dove si collocherà il tennista altoatesino, e con lui il movimento tricolore attuale. Intanto, in questa settimana al Pala Alpitour, è stato fatto già un mezzo miracolo: stravolgere i palinsesti televisivi per dare spazio alle sue partite.
15-Love, 15 star dello sport italiano
Succedeva, negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, ad Alberto Tomba, peraltro grande appassionato di tennis e attento spettatore delle imprese di Sinner a Torino. Il bolognese non è stato il primo grande sciatore della nostra storia, ma è stato colui che ha portato lo sci in un'altra dimensione. Al punto da costringere il Festival di Sanremo – altra religione laica del Paese – a fargli spazio: era il 1988, fine febbraio, e Alberto si prendeva l'Oro olimpico sulle nevi canadesi di Calgary.
L'altro nome che in questi giorni si fa spazio per essere accostato a Jannik Sinner è quello di Valentino Rossi, autentico eroe per tanti appassionati di motociclismo e in ogni caso amato in maniera trasversale, anche da chi non aveva certo i motori in cima alla lista delle proprie passioni. Alberto e Valentino – bolognese il primo e pesarese il secondo – hanno in comune un carattere aperto, solare, di star che in quel ruolo ci stanno benissimo. Due che di fronte a una telecamera non solo non sono mai andati in difficoltà, ma hanno imposto il loro carisma e il loro modo di fare, conquistando gli italiani di ogni età.
Difficile, nelle imprese degli altri grandi dello sport azzurro, ritrovare la stessa italica passione. Per incontrare qualcosa di simile bisogna rivolgere lo sguardo non a un singolo atleta, bensì a una marca. La Ferrari, in Formula Uno, è qualcosa che rappresenta l'Italia nel mondo ben oltre i risultati e oltre i piloti che di volta in volta si sono avvicendati. Anche se poi le fortune del Cavallino sono state merito – ovviamente – per buona parte di chi era al volante. Se i più amati sono stati personaggi come Schumacher, Raikkonen, Villeneuve, Lauda, in realtà l'affetto per la rossa è sempre stato presente, persino nelle annate senza particolari successi.
Se andiamo a perlustrare altri settori, per esempio gli sport di squadra, c'è poi una Nazionale che merita una citazione nell'Olimpo, pur avendo mancato proprio l'Oro alle Olimpiadi. Si tratta della Generazione di fenomeni della pallavolo maschile, allenata da Julio Velasco: a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, Zorzi, Lucchetta e compagni vinsero tutto quello che potevano, fermandosi solamente al momento della sfida decisiva nell'evento a Cinque Cerchi del 1996.
Tornando agli sport individuali, c'è tutta una lunga lista di atleti che meriterebbero capitoli ad hoc. Dal leggendario Giacomo Agostini (15 Mondiali nel motociclismo) a Jury Chechi, da Deborah Compagnoni a Sara Simeoni, passando per Valentina Vezzali, Pietro Mennea e Fausto Coppi negli anni in cui l'Italia era alle prese con una ricostruzione fisica e morale, dopo la Seconda Guerra Mondiale. Icone senza tempo, fenomeni assoluti che ancora oggi fanno brillare gli occhi persino a coloro che li hanno visti solamente nei documentari.
Poi ci sono tre storie a parte. C'è la tragica vicenda del Pirata Marco Pantani, trovato senza vita in un triste giorno di San Valentino. C'è la giornata d'oro della nostra atletica, a Tokyo nel 2021, con Marcell Jacobs e Gianmarco Tamberi che hanno saputo costruire qualcosa di impensabile. E poi c'è lei, la Divina Federica Pellegrini, capace negli anni di portare al nuoto tanti ragazzi che nella pluriprimatista mondiale avevano trovato ispirazione.
In tutto questo bendidìo, Jannik Sinner e il tennis cominciano a starci a loro agio. Anzi, con tutto il rispetto dovuto, sotto il profilo mediatico possono sfruttare qualche vantaggio. Intanto, rispetto a quasi tutti gli atleti citati in precedenza, oggi l'immagine viene veicolata tra la gente in tanti modi. C'è la televisione, certo, che resta lo strumento 'pop' per eccellenza (e che porta al tennis nuovi record). Ma c'è pure internet, ci sono i social network, ci sono tutti quei 'reporter' di un giorno che coi loro telefonini riprendono le imprese sinneriane al Pala Alpitour e le rimandano a migliaia di contatti, generando un circolo virtuoso senza fine.
Il secondo vantaggio è la natura del personaggio Sinner. Un ragazzo cresciuto a pane e umiltà, con una mentalità completamente diversa da quella del tennista medio di qualche decennio fa e con la consapevolezza che la classe è nulla senza lavoro. Il suo spirito di sacrificio, unito alla sua capacità di porsi con una disarmante sincerità davanti alle telecamere, hanno rappresentato il migliore spot commerciale per il tennis tricolore. E un esempio da copiare per ogni ragazzino che inizia il suo percorso nello sport.
Il terzo vantaggio – forse il principale – è che dietro a Sinner non c'è il caso, quella buona sorte che regala un campione a tutti, prima o dopo, nel mondo. No, dietro a Jannik ci sono un movimento mai così in salute e un sistema vincente, che ha permesso prima di tutto di non perdere un talento del genere, creando l'ambiente ideale per vederlo sbocciare. Un sistema nel quale il 22enne di Sesto Pusteria è la punta dell'iceberg, ma con tanti altri giocatori alle sue spalle che premono per emergere e continueranno a farlo anche in futuro.
Un sistema che ha radici solide e che raccoglie i frutti di 20 anni e passa di lavoro incessante e testardo, alla ricerca di quella popolarità che di per sé non è sinonimo di successo, ma che in questo caso diventa premio e punto di partenza per far arrivare il tennis dove merita: nelle case degli italiani per spiegare come la racchetta sia metafora di vita, strumento di crescita, sinonimo di longevità. Per tutti questi motivi, la settimana di Jannik Sinner alle Nitto ATP Finals è solo un inizio, non certo un approdo.
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