Chiudi
Più di un tifoso, in Spagna, pensa che la relazione tra i due non sia più quella di un tempo, ma ci sono le parole di Toni a dare una visione più equilibrata della vicenda
di Cristian Sonzogni | 21 novembre 2024
La carriera di Rafael Nadal è ormai terminata. Ma a Malaga e in tutta la Spagna non si spegne l'eco del suo ritiro e della sua ultima prestazione. Una giornata particolare, quella di martedì, sospesa tra emozione e amarezza, tra applausi e nostalgia. Una giornata nella quale c'è stata un'assenza più evidente di qualsiasi presenza al Martin Carpena: quella di Toni Nadal.
Lo zio di Rafa, che il Nadal tennista lo ha creato dal principio (prima di lasciarlo a Carlos Moya nella fase finale della sua vita agonistica), non si è presentato all'ultima del nipote, sollevando persino dei dubbi sul loro rapporto attuale. Più di un tifoso, in Spagna, pensa che la relazione tra i due non sia più quella di un tempo, ma ci sono le parole di Toni a dare una visione più equilibrata della vicenda. L'ex coach di Rafa ha parlato alla radio spagnola Ser, per il podcast 'El Larguero'.
“Sono a Madrid per lavoro – ha spiegato Toni – ma ho visto tutto in televisione. Pensavo di andare a Malaga ma avevo impegni già fissati che non potevo rinviare. Mi sarebbe piaciuto andare, ma davvero non ho avuto la possibilità”. Ma, vista dallo zio, come è stata quella ultima uscita del vincitore di 22 Slam? “È stata la cronaca di una morte annunciata: tutti sapevamo che questo giorno sarebbe arrivato. Visto come sono andati gli ultimi mesi, Rafa ha preso la decisione più corretta per se stesso. Perché ha tardato tanto? Perché ha avuto fiducia nel suo corpo, sperando che alla fine sarebbe tornato a funzionare in modo accettabile per continuare a fare il professionista. Invece è andata in un altro modo. Del resto, non vedo nessuno al mondo che fa qualcosa che gli piace e che smette così velocemente, quando ha la chance di proseguire. Alla fine il motivo vero di questo prolungamento della carriera è stato la sua passione per il tennis e per lo sport. Guardate cosa accade anche altrove, per esempio nel calcio con Messi e Ronaldo: quando uno vince tanto ad alto livello è perché è ossessivo nella sua applicazione al lavoro. Se continui ad avere risultati è chiaro che non decidi di smettere”.
Il punto però, riferendosi alla prestazione contro l'Olanda, è un altro. Rafa era pronto per giocare quel singolare? “L'ho visto allenarsi a Manacor – spiega Toni – anche con Bautista Agut e altri giocatori, e Rafa si esprimeva a un livello accettabile, con alta intensità, vincendo pure dei set. Di solito lui rendeva meglio in partita che in allenamento, ma stavolta è stato il contrario: la mobilità dei piedi era più lenta e questo ha condizionato anche i suoi colpi. L'emozione e l'assenza di match ufficiali hanno fatto il resto, è andata così. Poi vedendo il risultato uno può pensare che sarebbe stato meglio fargli giocare il doppio...”.
Vedere un Nadal in queste condizioni, per molti, è stata una sofferenza. “Ho sofferto anche io, sì. Perché se fosse stato un torneo individuale, non ci avrei quasi fatto caso. Ma era un match della Spagna, e ho sofferto vedendo la sconfitta nel doppio perché significava l'eliminazione della squadra. La cerimonia finale per il suo addio? Non mi è sembrata alla sua altezza. Grande emozione, con tanta gente, ma in queste occasioni mi piace vedere le immagini a supporto della celebrazione. Immagini di Rafa che vince la Davis a Siviglia, che vince Madrid, Roland Garros, Wimbledon. Non voglio criticare nessuno, ma a me sarebbe piaciuto qualcosa di diverso. Come famigliare ed ex allenatore, apprezzo comunque le buone intenzioni”.
Un altro tema è quello che accadrà ora. Rafa resterà nel mondo del tennis in qualche modo? “Rafa di sicuro per un periodo starà tranquillo. Poi si dedicherà alla sua Accademia a Manacor, perché l'ha creata e perché è la sua passione. Poi, se gli offriranno di entrare nel direttivo del Real Madrid, credo che non direbbe di no (risata, ndr). Presidente? Non so, ma visto che lui è così fan del Real... Quando viaggiavamo insieme nel circuito, ci faceva alzare all'alba per vedere i match della sua squadra del cuore in ogni parte del mondo, in ogni torneo. Io gli dicevo: 'ma Rafa, come è possibile che uno che sta giocando l'Australian Open possa essere così preoccupato del risultato del Real Madrid?' Oggi c'è internet, abbiamo tutto facilmente a disposizione, ma 20 anni fa a New York cercavamo un bar dove davano la partita per poter andare a vederla”.
Sembra lontano, invece, un futuro da allenatore nel mondo del tennis. “Rafa coach? Non credo. Credo che possa essere un consulente dei ragazzi dell'Accademia, ma ha molti altri interessi e non penso possa fare l'allenatore giorno per giorno, continuando a viaggiare come ha fatto fino a oggi”. Per chiudere, la presa di coscienza del fatto che davvero, quest'ultima esibizione non si poteva più ritardare. “Meglio ritirarsi adesso che vedere Rafa giocare in un modo che gli appartiene. Immaginiamo che avesse continuato, giocando il Roland Garros e subendo un infortunio. Lì sarebbe stato davvero traumatico. Non può trascinarsi in campo, campioni come lui e Federer non possono lasciare questa immagine. Era qualcosa di inevitabile. Tutti noi che gli siamo attorno siamo grati per quello che abbiamo vissuto in oltre 20 anni di carriera”. Sipario.
Non ci sono commenti