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Verdasco, condizionale passato: la carriera a metà di un mancino di talento

Numero 7 del mondo come best ranking, 7 titoli del circuito, le semifinali agli Australian Open del 2009 come migliore prestazione Slam. Ma anche tante occasioni mancate. Ecco la storia di Fernando Verdasco, campione incompiuto

di | 20 febbraio 2025

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Ha voluto chiudere alla grande. In un modo che un po' ricorda Roger Federer, quando decise che l'ultima sua apparizione sarebbe stata a fianco di una leggenda come lui, Rafael Nadal. Fernando Verdasco dice addio al circuito salutando dopo un doppio, a Doha, giocato insieme a Novak Djokovic. Un addio originale, soprattutto per uno come lui, che non ha certo avuto una carriera paragonabile ai Fab Four ma è stato un campione coi fiocchi: numero 7 del mondo come best ranking, 7 titoli del circuito, le semifinali agli Australian Open del 2009 come migliore prestazione Slam. 

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Verdasco lascia a 41 anni, dopo aver vissuto in quella generazione di spagnoli fortissimi, messi in ombra almeno in parte da uno troppo più forte di loro. Rafa Nadal, che di Verdasco è amico, lo ha battuto 18 volte su 21, e proprio una di queste partite, quella di Melbourne 16 anni fa, è la perfetta dimostrazione di una intera carriera: con Fernando bello e tenace, ma sconfitto dopo 5 ore e 14 minuti, il match più lungo di sempre down under, fino a quel momento.

“E' stato un incontro pazzesco. Nel quarto set – disse Rafa allora – Verdasco mi sembrava un po' stanco: e invece continuava a sparare servizi a 215 orari e la palla restava sempre dentro. Era impossibile rispondere, io giocavo bene ma non c'era nulla da fare. Ho avuto il merito di rimanere concentrato, anche se lui ha continuato a esprimersi a livelli incredibili. Alla fine ce l'ho fatta, ho battuto un avversario che stava giocando benissimo, anche troppo. Gli ho fatto i complimenti, avrebbe meritato la finale anche lui”. Una dimostrazione di stima definitiva, da parte del connazionale più grande di ogni epoca.

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Avrebbe meritato. Il condizionale (passato) è d'obbligo, quando si racconta Verdasco. Un giocatore di quelli che 'valeva sempre la pena di pagare il biglietto per vederlo', malgrado tutto, a prescindere dalle vittorie e dalle troppe sconfitte evitabili. Mancino, estroso ma pure solido all'occorrenza, tirava il diritto a velocità supersoniche, raggiungibili da pochi colleghi.

Poi, però, sul più bello si perdeva. Contro i più forti della sua epoca il bilancio è in passivo ma non è affatto così deficitario come per altri colleghi: c'è sì uno 0-7 contro Federer, ma ci sono pure 4 vittorie contro Djokovic (a fronte di 12 sconfitte) e 5 contro Murray (su 18 match totali). Aver battuto 12 volte i Fab Four è impresa di pochissimi, e anche solo per questo Verdasco meriterebbe di essere inserito in un ristretto gruppo di campioni privilegiati.

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Oltre ai 7 titoli nel circuito – il più importante dei quali sulla terra di Barcellona nel 2010 – ci sono pure le Finals in doppio (nel 2013 a Londra, insieme al connazionale David Marrero) e tre Davis, vinte con la Spagna tra 2008 e 2011. Se poi guardiamo le finali perse, ci sono altri segnali di quasi grandezza.

Fernando ha ceduto l'ultimo atto in tornei come Monte-Carlo (nel 2010 prese 6-0 6-1 da Nadal giocando, strano a dirsi, molto bene), Acapulco, Dubai e Rio. Oltre a Rafa, Djokovic e Murray, ha battuto pure Ferrero (quando era numero 3), Roddick, Ferrer, Nalbandian, Tsonga, Soderling, Gasquet. Insomma, ha fatto il suo dovere. Ammesso che per dovere non si intenda quello di uno che ha dato tutto.

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La sensazione è che nella carriera di Verdasco sia mancata un po' di giustizia. Quel grande risultato che per una volta lo metteva davvero sotto i riflettori come il suo tennis brillante avrebbe meritato (di nuovo, il condizionale). La sensazione è che anche questo trascinarsi verso la fine – con la carriera di singolarista terminata un po' mestamente già nel 2023 – sia frutto di qualcosa di non compiuto, dentro la sua testa. Una voglia di godersi ancora un po' quel mondo che gli aveva dato tanto, senza forse avergli riconosciuto tutto quello che desiderava.

Oggi Verdasco si è già costruito una parte del suo futuro, lavorando dietro le quinte per i tornei e come direttore dell'evento per le Finals di Davis del 2021, quando in teoria era ancora in piena attività. Restare nel tennis pare la sua priorità, e visto ciò che ha mostrato fin qui – dentro e fuori dal campo – è un bene che sia così. Di esperienza (e classe) da portare alla causa ne ha in abbondanza.

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