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Lo scozzese non vince un match sul circuito Atp da ottobre e le voci che ne invocano il ritiro si levano sempre più alte tra giornalisti e addetti ai lavori. I suoi colleghi però non la pensano così
di Ronald Giammò | 12 febbraio 2024
Nessuno tocchi Andy Murray. O, come ha scritto il Guardian la scorsa settimana: "Scegliete pure vita e lavoro, ma se dovete esprimere un parere su Andy Murray fatelo molto attentamente". C'é che lo scozzese sia in striscia negativa da ben sei partite, cosa mai accaduta durante la sua carriera - e che la sua ultima vittoria sul circuito Atp risalga addirittura allo scorso ottobre, quando nel primo turno dell'Open di Basilea l'ex n.1 del mondo superò in due set il tedesco Yannick Hanfmann. Da lì in poi solo sconfitte: contro T.M: Etcheverry sempre a Basilea, e poi De Minaur (Bercy), Dimitrov (Brisbane), ancora Etcheverry (Australian Open), Paire (Montpellier) e ultimo Machac in quel di Marsiglia. Risultato: il britannico, ormai alla soglia dei trentasette anni, ha trascorso quasi tutto il suo 2023 tra i top40 e i top50 del circuito senza riuscire a dare alcun impulso alla sua classifica tale da far credere a un fine carriera all'altezza della sua reputazione. Un de profundis acuito dalla sua ultima collezione di sconfitte su cui ha imperversato buona parte della stampa e dell'opinione pubblica d'oltre Manica.
A dare il là alle consultazioni - non richieste -, ai consigli e ai giudizi è stato Kheredine Idessane, giornalista della BBC scozzese che lo scorso 30 gennaio in un twit definì quanto fatto da Murray "un viaggio incredibile compiuto da un uomo eccezionale" considerando "un privilegio l'esserne stato testimone". Ma, ha poi chiosato Idessane, "tutte le cose belle hanno una fine: quand'è quindi che Andy Murray metterà la parola fine alla sua carriera?".
Tarnishing my legacy? Do me a favour. I’m in a terrible moment right now I’ll give you that. Most people would quit and give up in my situation right now. But I’m not most people and my mind works differently. I won’t quit. I will keep fighting and working to produce the… https://t.co/nF0var6IfL
— Andy Murray (@andy_murray) January 30, 2024
Il twit non passò inosservato e fu lo stesso Murray a rispondere in prima persona a quanto scritto dal giornalista britannico: "Macchiare la mia eredità? - esordì Murray - Fammi un favore. Sto vivendo un pessimo momento. Te lo concedo. La maggior parte delle persone avrebbe già mollato se si fosse trovata nella mia condizione. Ma io non sono come la maggior parte delle persone, la mia testa funziona in modo diverso. Non mollerò. Continuerò a lottare e a lavorare per offrire quelle performance di cui so di essere ancora capace".
La risposta del campione innescò una diffusa solidarietà. Prima fra tutti, quella di Andy Roddick. "Che predica! Immaginate di dire a un adulto iconico e affermato cosa scegliere per il suo lavoro e quando farlo...Che articolo sciocco. Non si può disperdere un'eredità. E quanto ottenuto durerà per sempre". "Nessuno ha il diritto di dire a Murray quel che deve fare", ha tuonato Darren Cahill dal podcast di Run Home With Andy & Gazey. "Vorrei vederlo giocare fin quando vorrà farlo", ha scritto la ex n.1 britannica Laura Robson sul Telegraph. L'ultima parola, vera e propria Cassazione a conferma dell'insussistenza della polemica e della compattezza con cui il mondo del tennis si è accostato alla vicenda, è stata quella di Billie Jean King, diffusa ancora una volta dal social network che l'aveva innescata: "Quand'è che Andy Murray dovrebbe chiudere la sua incredibile carriera? - si chiede la vincitrice di 39 Slam complessivi in carriera - Quando lui deciderà di farlo. Andy Murray ama il tennis e dovrebbe fare ciò che vuole quando vuole".
When should @andy_murray decide to end his incredible career?
— Billie Jean King (@BillieJeanKing) February 9, 2024
When he decides it's time.
Andy Murray loves tennis, and should do what he wants, when he wants to do it.
Vincitore di tre Slam e due ori olimpici, numero uno di fine stagione nel 2016 nonché cinque volte finalista agli Australian Open e una volta al Roland Garros, lo scozzese ha vissuto la sua parabola in un'epoca dominata dai Big3 riuscendo a forzarne la dicitura in Fab4, tali e costanti erano divenuti i suoi successi. Ma tale fu il logorio a cui si espose che lo scozzese fu costretto in ben due occasioni, tra il 2018 e il 2019, a sottoporsi a un'operazione all'anca nel tentativo di ridurne l'erosione restando lontano dai campi per ben venti mesi. Da allora le domande che ne stanno accompagnando il tramonto sono state di gran lunga superiori ai titoli da lui aggiunti alla sua bacheca.
Ma il punto è un altro. Ed è stato ancora Andy Roddick a metterlo bene a fuoco conversando con il giornalista John Wertheim nell'ultimo episodio del podcast Served: "La cosa che mi fa più arrabbiare, al di là della domanda di cattivo gusto, è come si faccia a credere che quel che sta lui capitando ora possa contribuire a sporcare la sua eredità. Come se quanto accaduto a Montpellier possa cancellare i titoli che ha vinto a Wimbledon e agli Us Open". A-Rod ha inoltre sottolineato come il fatto che Murray stia ancora disputando tornei non dipenda da alcuna wild card lui concessa, ma solo dal suo ranking attuale che gli consente di prendervi parte: "Si è conquistato i punti per qualificarsi, non gli è stata concessa alcuna wild card, è una questione di merito - ha spiegato l'americano - Pur giocando con una gamba sola a oggi è ancora un top50. E per me è un qualcosa che aggiunge significato alla mistica di Andy Murray".
Incassata a Marsiglia l'ennesima prematura sconfitta, Murray in conferenza stampa non ha accampato alcuna scusa dimostrandosi lucido nell'analizzare questo suo momento e dichiarandosi disposto anche a scendere di categoria, se questo dovesse servirgli per ricostruire un po' della classifica e della fiducia persi negli ultimi mesi: "L'unica strada è trovare soluzioni per vincere le partite. Si può lavorare anche in allenamento, sul gioco e sulle sensazioni. Ma non sempre quello che succede in allenamento si traduce in partita. Occorre continuare a giocare nei tornei, in competizione, questa è l'unica cosa che conta. Se sarà necessario anche nei Challenger". Ammettere la propria fragilità e condividere strategie e progetti per provare a migliorare. Anche quando gli obiettivi non sono più quelli di un tempo. Quando tutti ti dicono che non ne vale più la pena. I campioni fanno così. Perché sanno che è solo questo il modo per continuare a dimostrarsi degni della loro eredità. Nonché il modo più bello per continuare a scriverla.