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Berrettini: "Sono molto duro con me stesso, devo imparare a perdonarmi. La Coppa Davis è sempre divertente"

Il tennista azzurro ha parlato a cuore aperto nell'ultimo episodio di Tintoria Podcast: "Ci insegnano ad essere un po' dei robot, ma è bello che oggi molti tennisti si facciano aiutare mentalmente. Il bello della Davis è che siamo un gruppo di amici"

di | 12 marzo 2025

Un primo piano di Matteo Berrettini (Getty Images)

Un primo piano di Matteo Berrettini (Getty Images)

È un Matteo Berrettini senza filtri, quello che si è raccontato al microfoni dei due comici Daniele Tinti e Stefano Rapone nell’ultima puntata del loro “Tintoria Podcast”. Non solo tennis, ovviamente, ma anche tutto quello che ruota intorno alla vita del professionista, dall’approccio generale alla disciplina agli aspetti più duri con cui fare i conti. E poi anche qualche aneddoto curioso sulla Coppa Davis e un episodio al quale si lega la passione per la Playstation.

“Mi hanno sempre insegnato che gli alibi non esistono, bisogna essere dei robot”, ha detto parlando del tennis e più in generale degli sport individuali. Nei quali, essendo tali, dice “è più facile darsi delle giustificazioni”. Dal più classico “È rimbalzata male la palla’, fino a "tu hai fatto un urlo, mi ha distratto” e ancora “ho dormito male”.

“Quando gioco – ha continuato – la persona che odio di più è me stesso. Quindi fondamentalmente devo imparare a perdonare me stesso. Sono un tipo estremamente competitivo, non mi piace perdere neanche quando gioco con gli amici, e penso che per fare strada in un sport individuale si debba essere per forza competitivi. Non esiste chi non lo è, esiste solo cerca di mostrarsi diverso”.

L'approccio di Berrettini alla Coppa Davis

La ragione è molto semplice, e a che fare con la natura unica del tennis: “È uno sport che ti mette talmente tanto davanti ai tuoi limiti, alle tue rabbie, alla tua impazienza, che non esiste non essere competitivi. Se non ci tieni più, smetti. Ci sono talmente tanti sacrifici, viaggi, difficoltà, che se non sei disposto a farlo, se non ti piace e non sei competitivo, semplicemente non lo fai”.

Alla sua natura di giocatore estremamente focalizzato ed appassionato della propria carriera è fortemente legata anche la risposta data da Berrettini sul suo approccio alla Coppa Davis, l’unica competizione a squadre in uno sport che mette – per tantissime settimane – gli uni contro gli altri anche i connazionali e – spesso – gli amici.

Non mi lamento mai di quando qualche compagno di Davis sbaglia, anche perché sarebbe difficile farlo, abbiamo una squadra davvero forte. Non è tanto il pensare che in alcune situazioni, da fuori, io penserei di agire diversamente, ad influenzare questi ragionamenti è il fatto che siamo tutti competitivi, facciamo questo nella vita, e vorremmo semplicemente essere al posto dei nostri compagni a giocare”.

Sul tetto del mondo: i più forti siamo ancora noi

Sul tetto del mondo: i più forti siamo ancora noi

“Poi, come ho detto, il bene comune prevale sempre. E io ho da sempre la particolarità di sentirmi un uomo squadra, e al contempo di essere più duro con me stesso che con gli altri. So che non è sempre giusto, ma la mia ‘rigidità’ mi ha dato dei risultati, e quindi è un equilibrio sottile, che ho paura di cambiarlo con l’idea che possano venire meno i risultati”.

Tornando alla sua passione per la Coppa Davis, vinta per la prima volta da protagonista (dopo l’assenza del 2023) a novembre, ha ribadito un fatto importante, che si è visto anche nel suo modo di partecipare al successo dei compagni: “La cosa più bella della Coppa Davis e del gruppo che abbiamo è che c'è una vera amicizia. Con alcuni più, con altri meno, però se sai che la sua performance porta beneficio a te e alla squadra, fai il tifo per ognuno di loro. Non che sei il suo migliore amico, ma in quel momento si lavora insieme”.

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L’esempio più eclatante, per lui, è il fortissimo rapporto con Sonego, che va oltre tutto, anche oltre le sfide, uno contro uno, nel resto della stagione: “Ci conosciamo da quando abbiamo 9 anni, abbiamo fatto percorsi simili, quindi con lui ho un rapporto più intenso. Con altri meno, ma la cosa bella è che sono tutti bravi ragazzi. Per il resto, partendo dal presupposto che non mi piace perdere, a darmi benzina non è l’antipatia per qualcuno, ma semplicemente la ‘competizione interiore’. L’unica differenza, ad esempio, è quando finisce la partita: magari con Sonego c’è un abbraccio caloroso e con altri solo una stretta di mano, ma dipende solo dal tipo di rapporto”.

Sull’avventura in Coppa Davis, il romano ha confessato una particolare “figuraccia” nei giorni della vittoria, generando tante risate tra il pubblico e i due conduttori: “In alcuni posti mettono una PlayStation nella players’ lounge, ma noi ce la siamo portata in hotel. E il giorno dopo gli spagnoli chiedevano preoccupati ‘Dov’è la Play?’, mentre noi facevamo finta di nulla”.

“Poi le ragazze vicino a noi avevano una PlayStation in stanza, noi ne abbiamo chiesta un’altra, ma non funzionava, quindi abbiamo preso la loro, e poi si è scatenata un’asta per chi se la sarebbe portata a casa. Considerando che abbiamo vinto la Coppa Davis, quando ci hanno scoperto è stato abbastanza imbarazzante”, ha concluso.

Berrettini e la salute mentale: "Non siamo robot, tanti lo stanno capendo"

Tra i temi più delicati, poi, l’ex n. 6 al mondo ha affrontato anche quello della salute mentale nel tennis: “È bello sentire che molti di noi si comincino ad affidare alla terapia, perché all'inizio c'era un po' uno stereotipo. Si pensava che il lavoro mentale non servisse a niente, si cresce un po' con una mentalità di robot”.

“Questa cosa è molto utile quando sei giovane, però se poi passa il tempo e ci si porta dietro alcune difficoltà diventa complicato. Io, per una serie di motivi, ho affrontato un percorso che mi ha aiutato molto, insieme ad altre cose, e secondo me nello sport è fondamentale. Nello sport e nella vita, però io essendo sportivo parlo per me: è una cosa molto, molto importante”.

Una cosa con cui lo stesso Berrettini convive è anche la malinconia di casa, il “rovescio della medaglia” di una carriera che dà enorme soddisfazioni. “L'anno scorso, quando ero spettatore in Coppa Davis, il giorno della finale tutti i miei amici hanno organizzato una festa a sorpresa per mio fratello a casa dei miei genitori e io non c'ero. Li ho videochiamati e in quel momento mi è presa un po' di malinconia. Ma io sono fiero di quello che faccio, del percorso che ho fatto. E non si parla di vittorie, da quando ero ragazzino e tutti gli altri finivano la scuola e andavano tre mesi in vacanza, io facevo cinque giorni di vacanza e poi giocavo tornei, e sono sempre stato orgoglioso di questo”.


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