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Il serbo, mai vincitore in carriera al Brisbane International, in conferenza stampa dopo la vittoria contro Monfils parla di mentalità, dati, gestione economica dei ricavi del circuito - "Prendiamo meno soldi rispetto ad altri grandi sport" - e dell'importanza dell'avere con sé tutta la sua famiglia
di Ronald Giammò | 02 gennaio 2025
Tre palle break in tutto il match, e tutte e tre convertite. Passa anche da qui, dalla precisione chirurgica e dal cinismo con cui Novak Djokovic è solito affrontare le fasi cruciali di una partita, la ventesima vittoria in altrettanti scontri diretti contro Gael Monfils messa a segno questa mattina da Novak Djokovic al Brisbane International: "Vuoi mandare un segnale, a te stesso e agli altri, in cui dici che sei in grado di trasformarli quando si presenta l'occasione di farlo. So di avere una buona reputazione con la mia risposta, ma poi occorre saper tirare anche gli altri colpi e continuare a mettere pressione sul tuo avversario - ha esordito il serbo in conferenza stampa - Oggi la risposta ha funzionato benissimo, ovunque mettessi la mia racchetta riuscivo a continuare a farlo giocare e questo ha messo pressione sul suo servizio, fondamentale dove lui oggi ha fatto registrare delle ottime percentuali. A volte capita di prender più campo in risposta di quando si è al servizio e occorre abituarcisi. E quando si presentano delle occasioni - che si tratti di un tiebreak o anche prima - mettere pressione al tuo rivale. Ed è quel che sono riuscito a fare per la maggior parte della mia carriera".
Dopo un classico come quello giocato contro Monfils, Djokovic è ora atteso invece da un inedito confronto contro l'americano Reilly Opelka, da lui mai affrontato in carriera. "Ognuno di noi cerca di prepararsi in vista di un match nel modo migliore - ha spiegato l'ex numero uno del mondo davanti ai microfoni - C'è chi preferisce avere meno informazioni possibili sul suo prossimo rivale e chi invece adora scendere nei dettagli. Io appartengo a questo gruppo. Mi piacciono i dati, in particolare la video analisi. Mi piace provare a capire quale sia il piano di gioco adottato da chi dovrò affrontare. Credo che si possano ottenere molti benefici dall'analisi dei dati. La chiave ovviamente sta nel riuscire poi a trasferirli in campo. Tutti riescono a leggerli i dati, ma come si riesce a tradurli in modo efficiente una volta scesi in campo? A me piace tenere bene a mente quel che dovrò fare o ciò di cui avrò bisogno, quel che il mio avversario sa far bene e le cose dove invece non eccelle. Ma questo è un lavoro molto più semplice rispetto a quello che faccio nelle settimane precedenti a un torneo dove invece smonto letteralmente il mio gioco e quello degli altri giocatori per cogliere tutte le sfumature che potrebbero aiutarmi".
That's the best reason we've ever heard to keep playing, @DjokerNole!#BrisbaneTennis pic.twitter.com/a5s9bdyVg2
— Brisbane International (@BrisbaneTennis) January 2, 2025
The march towards a 100th singles title goes on!@DjokerNole accounts for Gael Monfils 6-3 6-3 to move into the quarterfinals.#BrisbaneTennis pic.twitter.com/D4hTB5Ilvx
— Brisbane International (@BrisbaneTennis) January 2, 2025
C'è però un aspetto che ha tenuto banco nel corso della conferenza stampa. Ed è stata la riflessione fatta da Djokovic sulla ripartizione dei ricavi generati dal circuito - riflessione innescata pochi giorni da Nick Kyrgios - a suo dire molto più sperequata rispetto a quella adottata da altri sport: "E' un dato di fatto. Non è la mia opinione. E quel che dice Nick è vero. Negli sport americani più noti - NBA, NHL, NFL - le istituzioni si prendono il 50% della torta, a volte un po' di più altre meno. Nel nostro sport le percentuali sono molto più basse".
"Mi spiego. Il nostro è uno sport diverso, è internazionale e lo giochiamo in tutto il mondo. Sottostiamo a diverse regole e leggi di diversi paesi che hanno le loro regole e i loro sistemi di tassazione. E poi ogni torneo gestisce da sé la spartizione del montepremi. Inoltre abbiamo l'ATP, la WTA, i Grand Slams: tutte entità separate che possono fare ciò che vogliono. E' una realtà molto frammentata e non è facile provare a mettere tutti nella stessa stanza e dire 'mettiamoci d'accordo su una certa percentuale'. Anche perché le entrate di un ATP250 sono molto diverse da quelle di uno Slam - ha poi proseguito Djokovic nella sua analisi - Sono stato presidente del Players' Council e ne ho fatto parte per dieci e so esattamente come funziona il sistema: e sfortunatamente non sono i giocatori a prendere le decisioni su quelli che sono gli argomenti più importanti. Il problema nella struttura dell'ATP è che come giocatori a noi spetta solo il 50% dell'organizzazione e che - anche se non sempre - ci sono stati molti conflitti d'interesse tra giocatori e tornei negli anni passati. Noi (come PTPA) vogliamo qualcosa di diverso. Facciamo tutti parte dello stesso sistema e non possiamo fare a meno gli uni degli altri, eppure spesso ci troviamo in conflitto tra di noi. Vogliamo più soldi, e probabilmente loro non sono intenzionati a darceli quando discutiamo con loro di montepremi, un aspetto che cela molti altri dettagli e che non è semplice dirimere. In definitiva, quel che ha detto Nick è vero: se si guarda alla percentuale ottenuta dai giocatori in base ai ricavi generali di questo sport, è molto più bassa rispetto alla maggior parte degli altri sport globali, in particolari quelli americani".
La chiusura della conferenza stampa è dedicata alla famiglia. Djokovic, che in Australia ha raccolto larga parte dei suoi successi, quesgt'anno è atterrato a down under accompagnato per la prima volta da tutta la sua famiglia: "Sono rimasto sorpreso quando mia moglie mi ha detto che avrebbe voluto portare i bambini in Australia. Non me l'aspettavo perché so che è un viaggio molto lungo, ci sono la scuola e tante altre sfide che come genitori dovremo fronteggiare. Io qui ho le mie cose da fare: se devo giocare trascorro il tempo preparandomi per il match ed è lei a prendersi cura di loro. Ma lei è qui per sostenermi e per darmi insieme ai bambini quell'affetto e quell'energia di cui ho bisogno per giocare il mio miglior tennis. Fin qui sta funzionando molto bene, in campo sto bene e sto giocando alla grande. Mi consente anche di non sentirmi in colpa per un'assenza che altrimenti sarebbe stata molto lungo. E' una sensazione che in passato quando sono venuto in Australia ho provato, devo ammetterlo, restavo lontano da casa quattro o cinque settimane e ogni volta che ci salutavamo c'erano lacrime e pianti e poi inizi a chiederti il perché tu debba continuare a farlo ancora e ancora. Così invece è tutto più semplice e sono ancor più motivato, e anche più calmo, più sereno. Trascorro del tempo di qualità con loro e questo mi consente di non pensare tutto il giorno al tennis e di allentare un po' la pressione. E fin qui si sta rivelando un ottimo equilibrio".