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Del Potro: "Il ginocchio fa sempre male. Fonseca può unire il Sud America come me"

L'argentino ha parlato alla stampa durante l'ATP 500 di Rio de Janeiro: "Per essere felice, vorrei che il ginocchio guarisse". E su Fonseca: "Con me brasiliani e argentini hanno messo da parte la rivalità, e con Fonseca potrebbe essere lo stesso"

di | 22 febbraio 2025

Del Potro saluta il pubblico (Getty Images)

Del Potro saluta il pubblico (Getty Images)

Da una (possibile) icona all’altra, sempre restando in Sud America. Non è andata come sognavano, a Rio de Janeiro, per Joao Fonseca, sconfitto all’esordio nel torneo di casa dopo il primo titolo ATP conquistato una settimana fa a Buenos Aires. Curiosamente nella terra di quello che, oramai quasi 16 anni fa (era il settembre del 2009) è stato l’ultimo giocatore dell’America latina a vincere un titolo dello Slam.

Un volto mai dimenticato, quello di Juan Martin Del Potro, che proprio in occasione del Rio Open, dove domenica consegnerà il trofeo al vincitore, ha parlato alla stampa del diciottenne che fa sognare il Brasile e della sua vita dopo il ritiro, celebrato pochi mesi fa con un’esibizione contro Novak Djokovic.

L’ultimo match ufficiale, in realtà, risale a tre anni fa, esattamente sul campo che ha visto gioire Fonseca. Già allora sembrava finita, con “Delpo” in lacrime durante il match di primo turno, tanto emozionato quanto limitato, nei movimenti, dal dolore al ginocchio che lo perseguita dal 2019.

In fondo, però, l’argentino ha ammesso di non essersi mai veramente arreso, neanche dopo quella serata a Buenos Aires: “È solo da dicembre, quando ho giocato la mia partita d'addio contro Djokovic, che mi sono sentito davvero un ex giocatore. Fino ad allora avevo ancora qualche speranza. Oggigiorno le mie giornate sono molto diverse. A poco a poco sarò presente ad altri tornei di tennis, incontrerò di nuovo i giocatori e terrò qualche conferenza. Ma ora ho più tempo per fare altre cose, investire il mio tempo in altre persone e attività. Trascorro molto tempo a Tandil”.

Mette in mostra il suo sorriso, quello che il tempo e il dolore non hanno mai intaccato, anche se le parole risuonano amare: “Per essere felice, vorrei che il ginocchio guarisse, ho dolore ogni giorno. Spero di poter recuperare la qualità della vita”.

Sono lontani i tempi in cui poteva correre e lottare, con molta più leggerezza, sui campi da tennis. In questo senso, ci ha tenuto a ricordare come Rio de Janeiro occupi un posto speciale nel suo cuore, legata al ricordo della medaglia d’argento olimpica conquistata nel 2016: “Non ho mai giocato il Rio Open, ma la settimana che ho trascorso qui alle Olimpiadi del 2016 è stata una delle più felici della mia carriera. La vittoria su Djokovic al primo turno, la semifinale contro Nadal. La medaglia. Memorabile. Penso di aver posto fine alla rivalità calcistica tra Argentina e Brasile. Qui mi sento amato”.

Amato come lo è Fonseca, che sembra predestinato a diventare il prossimo sudamericano a lottare per gli Slam: “Lui può fare la stessa cosa al contrario. È brasiliano, ma penso che la gente in Argentina lo abbia amato per il suo carisma. Per il tuo tennis. Lui è spettacolare. Ciò che fa essendo così giovane, la sua velocità, il modo in cui colpisce la palla. È incredibile. Spero che possa diventare la stella di cui il tennis sudamericano ha bisogno”.

Joao Fonseca saluta il pubblico (foto Getty Images)

Joao Fonseca saluta il pubblico (foto Getty Images)

Una frase che è l’aggancio per parlare dell’unicità del pubblico, da quelle parti:  Non esiste una passione come in Argentina, Brasile e Cile. Basta guardare Davis. Forse avere una grande star come Fonseca aiuterà”, ha detto, riferendosi alla possibilità che l’ATP possa guardare con maggiore attenzione alla regione”. Intanto, oggi sarà in campo proprio con il beniamino di casa, in un evento con i colleghi del tennis in carrozzina, Gustavo Fernandez (argentino) e Daniel Rodrigues (brasiliano).

Per quanto riguarda il suo futuro, invece, non ha escluso una possibile avventura come coach, ma alle giuste condizioni: “Molti giocatori mi chiedono aiuto e io glielo do, ma pensavo che fare l'allenatore sarebbe stato più facile di quanto non sia in realtà. Ci vuole molta pazienza. Mi piacerebbe aiutare qualcuno un giorno, ma non credo che sarà un lavoro a tempo pieno. Quando ci si ritira, non si vuole più viaggiare ogni settimana”.

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