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Il serbo cercherà il 100° trofeo sulla terra rossa, ma non senza incognite. Sullo sfondo resta il suo amato Wimbledon
di Samuele Diodato | 31 marzo 2025
Prima Jannik Sinner, ora Jakub Mensik. L’aveva detto, Novak Djokovic: “Penso al 100esimo titolo ATP da quando ho vinto l’oro olimpico”. D’altronde, è sempre stato un cannibale che, più di altri, si è alimentato di un obiettivo alla volta, centrandoli - presto o tardi – tutti. Per la tripla cifra, però, dovrà attendere ancora, perlomeno se vorrà raggiungerla alle sue condizioni.
Se avesse voluto collezionare numeri su numeri, infatti, avrebbe probabilmente giocato anche qualche torneo “minore”, per riuscirci. Ma non per “Nole”, che da mesi cerca di farlo in grande stile. I primi due tentativi, sono falliti: nel Masters 1000 di Shanghai a sbarrargli la strada è stato il n. 1 al mondo, mentre la scorsa notte, al Miami Open, è stato spettatore privilegiato del primo titolo ATP di Mensik, non ancora ventenne.
Una sconfitta che ovviamente fa più male, rispetto a quella rimediata in Asia. In autunno, persino lui partiva sfavorito di fronte a Sinner, ma non ieri. In Florida, alla prima apparizione dal 2019, ha giocato il suo miglior tennis da diverso tempo a questa parte, presentandosi all’ultimo atto senza aver lasciato per strada neanche un set.
“Non ero al meglio”, ha confessato il serbo, accettando comunque con grande eleganza il verdetto, senza togliere la meritata vetrina al giovane avversario. Al quale, durante la premiazione, ha anche rivolto l’invito a “lasciarmi vincere durante le prossime partite, tanto avrai molto tempo in futuro”.
"This is Jakub's moment" ??
— Tennis TV (@TennisTV) March 31, 2025
Beautiful praise for @mensik_jakub_ from @DjokerNole. #MiamiOpen pic.twitter.com/kcwPkZ34le
Una boutade, certo, ma paradossale nell’evidenza di alcuni rapporti di forza vanno ribaltandosi. Tempo fa erano gli altri, a chiedere a Djokovic di lasciar per strada qualche titolo. Ora è lui, invece, che parla del tanto tempo a disposizione degli avversari, sottintendendo – con un filo di amarezza – che il suo orizzonte, a quasi 38 anni (il prossimo maggio), non è poi così ampio.
Il 100esimo titolo, però, resta legittimamente nei suoi pensieri, a maggior ragione dopo aver raggiunto un’altra finale di un Masters 1000. E ammesso che non voglia per davvero “togliersi il pensiero” cercando gloria in tornei di più bassa categoria (tra gli ATP 500 e i 250), è proprio su questi che dovrà concentrarsi nel futuro prossimo per diventare il terzo uomo nella storia a vincere almeno 100 trofei (Roger Federer è a quota 103, Jimmy Connors “comanda” con 109).
?? Novak Djokovic is set to return to the #MMOPEN
— #MMOPEN (@MutuaMadridOpen) March 25, 2025
This will mark @djokernole’s 13th appearance in Madrid, having first competed there in 2006, when he began his long and fruitful journey with a victory over Richard Gasquet. Since then, he has claimed the trophy three times… pic.twitter.com/KszPzn2Vg5
Ferme restando le sue possibilità, gli stessi ultimi anni del campione di Belgrado forniscono interessanti spunti di riflessione. Djokovic risulta innanzitutto iscritto al torneo di Monte-Carlo (dove peraltro risiede da anni), ed è già stata annunciata la sua partecipazione anche al Mutua Madrid Open, dove non si vede dal 2019, anno del suo ultimo titolo.
Nel Principato ha già vinto due volte, nel 2013 e nel 2015, ma da diversi anni ha spesso faticato in quello che è tradizionalmente il suo primo impegno sulla terra rossa europea. In sostanza, infatti, non ha mai più avuto chance di agguantare il trofeo, fermandosi al massimo una volta in semifinale, proprio lo scorso anno (da Casper Ruud).
Una variabile da considerare è certamente l’assenza di Sinner, che tornerà in scena solo al Foro Italico. Anche per questo si configura come un appuntamento chiave quello di Madrid. Condizioni atipiche in altura, quelle della “Caja Magica”, con la velocità del campo che potrebbe smorzare l’incisività di alcuni rivali (non ultimo il topspin di Ruud stesso), permettendo allo stesso tempo al serbo di fare maggiore affidamento al servizio per abbreviare gli scambi. Un fattore da non trascurare, quest’ultimo, se si considera le immagini eloquenti degli ultimi tempi, dall’infortunio muscolare rimediato all’Australian Open sino alla fatica padrona del suo volto nella finale di Miami contro Mensik.
Proprio per questa ragione, al momento, vanno lasciati in sospeso i ragionamenti sul torneo di Roma e sul Roland Garros: il primo per l’estrema vicinanza con la tappa a Madrid, e il secondo per la natura usurante della terra rossa e del tennis al meglio dei cinque set. Per conferma, chiedere al menisco malmesso che solo 12 mesi fa l’aveva costretto ad un “frettoloso” intervento, per non rischiare di rinunciare ai Giochi Olimpici di Parigi.
Oltre al 100esimo titolo in sé, per Djokovic sarà fondamentale verificare ulteriormente la propria competitività a lungo andare. Sullo sfondo, anche se la primavera dovesse chiudersi senza trofei, resta infatti ancora una volta Wimbledon. Olimpiade esclusa, lampi del “vero” Djokovic, nel 2024, si sono visti proprio sull’erba londinese. È questo il banco di prova più importante per lui, che a Church Road conserva – almeno sulla carta – un vantaggio legato alle condizioni di gioco e all’esperienza su un terreno dove le nuove generazioni potrebbe fare, almeno inizialmente, più fatica.
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