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Il magico mancino dalle geniali invenzioni sul campo, è passato alla storia piuttosto per i comportamenti negativi. Il più famoso al Country Club il 27 aprile 1997
di Vincenzo Martucci | 27 aprile 2024
Ahilui, Marcelo Rios passerà alla storia come l’unico numero 1 del mondo che non abbia vinto uno Slam, dopo aver mancato il titolo nella finale degli Australian Open 1998, battuto in tre set da Petr Korda. Non sarà ricordato degnamente, come il primo sud americano che dopo essere salito in vetta alla classifica degli juniores ci era riuscito anche fra i tennisti professionisti. Pur restandoci appena sei settimane nel marzo del 1998, ma spodestando quel mostro di Pete Sampras.
Mentre rimarrà per sempre aperta l’appassionante querelle dell’argentino Guillermo Vilas che ha contestato per tutta la vita i calcoli dell’ATP. Rios non lascerà traccia nemmeno per l’altro particolare primato, re del ranking meno alto di sempre, appena 175 centimetri. Purtroppo, di lui si ricorderanno più i gesti sgarbati, gli sdegnati silenzi e gli scatti d’ira che il magico senso dell’anticipo, il fantastico rovescio a una mano, la velocità nel passare dalla difesa all’attacco, le soluzioni geniali, la capacità di opporsi alla potenza degli avversari. E per una battuta, una sola, del 27 aprile 1997 a Montecarlo che, invece di scatenare le risa no quantomeno la solidarietà dei plebei e dei giocatori d’azzardo più incalliti, gli provocò altre critiche.
Che fine hanno fatto/28: Marcelo Rios, El Chino
Il piccolo mancino cileno era un selvaggio dai lineamenti duri col taglio degli occhi orientali e gli zigomi alti, ad acuire le asperità del volto, tanto che anche a casa sua lo chiamavano “El Chino”, in modo dispregiativo, evidenziando continuamente un’altra peculiarità negativa: non firmava autografi perché, semplicemente, spiegava: “Non vedo a che servono”.
Nessuno gli rendeva onore perché aveva riscritto la storia del tennis del suo paese come il primo cileno ad entrare fra i top 10, e che fosse competitivo contro tutti i più forti, sulle ribalte più importanti.
Non era simpatico a nessun collega, non era amato dal pubblico ma era l’idolo, anzi, proprio il riferimento dei cattivi ragazzi, dei ribelli, antesignano del Nick Kyrgios dei tempi nostri. Forse anche peggio. Perché parlava a stento, non concedeva inerbiste per raccontarsi, sembrava sempre sprezzante e sardonico, e non si conteneva mai. Una sera durante gli Internazionali d’Italia a Roma, pur scortato stretto dai funzionari ATP, alzò il gomito e diede in escandescenze dentro e fuori un locale. Robe da attore della Dolce Vita, con
tanto di paparazzi scatenati. Una volta in conferenza stampa al Roland Garros aveva preteso che prima di cominciare a pronunciare un solo verbo venisse allontanato dalla sala un giornalista, colpevole di criticarlo troppo spesso e, soprattutto, di essere argentino di passaporto ma dipendente di una radio cilena. Le sue estemperanze verso il mondo esterno erano tante, troppe. Forse erano la reazione all’immane sforzo psico-fisico che doveva sostenere sul campo, contrastando con le sue geniali soluzioni e la velocità da Speedy Gonzalez l’opprimente superiorità fisica degli avversari.Ma nessuno gli ha mostrato mai alcuna forma di solidarietà. Anzi.
Quel 27 aprile 1997, su uno dei campi più iconici del tennis, al Country Club baciato dal sole e affacciato sulla Costa Azzurra, felice di aver conquistato il titolo contro Alex Corretja per 6-4 6-3 6-3, il 21enne cileno, allora numero 7 del mondo, raccolse il microfono sul campo per il consueto speech del vincitore. Era la sua occasione, per una volta poteva essere il bravo ragazzo, l’ambasciatore del suo sport, poteva guadagnarsi un bell’applauso dal mondo intero che, come noto, sale sempre molto volentieri sul carro del vincitore.
Poteva anche ingraziarsi il tennis sudamericano per come aveva messo in ginocchio l’armata spagnola dell’epoca, battendo Albert Costa, Moya e infine Corretja. Invece, abbracciò il trofeo e, sventolando il primo premio, disse: “Questo assegno non copre nemmeno i soldi che ho perso questa settimana al casinò! Grazie, ci vediamo l’anno prossimo”. Il destino lo fece perdere tre settimane dopo contro Corretja nella finale di Roma e lo fece infortunare dodici mesi dopo, impedendogli di difendere il titolo a Montecarlo.
A magician on the court.
— Tennis TV (@TennisTV) December 26, 2023
Happy birthday to Chile's Marcelo Rios! pic.twitter.com/PAuQm0yLR6
Tutto il Principato si offese, insieme ai perbenisti, schierandosi dietro il politicaly correct, ma Rios se ne infischiò e continuò a comportarsi male con tutti. L’anno dopo, nel 1998, quando diventò numero 1 del mondo, il presidente cielo lo invitò a palazzo per affacciarsi dal davanzale davanti alla folla orgogliosa per pronunciare qualche parola e condividere la sua felicità, ma lui declinò con un laconico: “No”.