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Murray è apparso molto "preso" dal suo nuovo incarico: "Da giocatore, se avessi ricevuto consigli da Nadal, Federer o Djokovic, mi avrebbe aiutato. Con Nole stiamo cercando di fare proprio questo. Tra i rivali, mi sarebbe piaciuto allenare Federer, è in grado di fare qualsiasi cosa in modo naturale"
di Samuele Diodato | 13 febbraio 2025
Dal The Times è arrivata pochi giorni fa la notizia che il sodalizio tra Novak Djokovic (n. 7 ATP) e il suo grande rivale Andy Murray, in qualità di coach, continuerà fino almeno fino a Wimbledon. Evidentemente, l’esperienza dell’Australian Open, dove il serbo si è fermato in semifinale per infortunio, avendo però battuto Carlos Alcaraz (n. 3) nei quarti di finale, ha convinto entrambi. E l’abbracio dopo la vittoria in quattro set sullo spagnolo, quando già il problema alla coscia si era manifestato, era tutto fuorché una trovata a favor di telecamera.
Comunicava, semmai, da una parte la dedizione di Djokovic per il tennis, ancora, a 37 anni e mezzo. E dall’altra la dedizione di Murray alla causa del suo assistito, giusto a pochi mesi dal ritiro ufficiale, avvenuto a Wimbledon. Una sensazione che traspariva dal linguaggio del corpo, e che lo stesso scozzese ha confermato in un intervento al Sporting Misadventures podcast, al microfono del plurimedagliato olimpico Chris Hoy e del giornalista Matt Majendie.
Andy Murray e Novak Djokovic (Getty)
“Penso che la mia prospettiva sul gioco di Novak sia unica e mi permetta di compensare alcune di quelle debolezze e difetti che dovrei avere come coach, perché ho lottato contro di lui nelle partite più importanti sui palcoscenici più importanti in un periodo di 10-12 anni", ha detto.
"Ho studiato molto il suo gioco”, ha continuato, ricordando il piacere di starsene in camera ad analizzare il gioco dei rivali. “Ho anche sperimentato cosa significa giocare contro di lui. Abbiamo avuto diverse conversazioni. Spero che gli siano state utili. So che se fossi stato un giocatore, al posto suo, l'avrei trovato utile".
La visione come coach, proprio in relazione alla sua ancora recente esperienza di top player, è interessante: “Non si tratta di sottolineare ciò che non funzionava, quanto più ciò che stava facendo bene – ha spiegato -. So che, se avessi potuto sentire da Novak, (Roger) Federer o (Rafael) Nadal cosa dava loro fastidio quando giocavamo contro, sarebbe stato di grandissimo aiuto per me saperlo”. Ed è questo quello che cerca di trasmettere a un giocatore con il quale, ad esempio, ha giocato almeno una finale in tutti gli Slam.
“Non tutti sanno eseguire quello che un coach gli chiede di fare. La cosa più incredibile di Djokovic è questa: il modo in cui è stato in grado di eseguire la strategia che pensavo l’avrebbe aiutato, grazie alle sue abilità tecniche al modo in cui colpisce la palla, al modo in cui si muove in campo e non ha davvero debolezze”.
Proprio sulla scorta di questo discorso, interrogato su quale giocatore avrebbe volentieri seguito dalla panchina, il tre volte campione Major ha strizzato l’occhio ad un altro dei suoi storici rivali: “È brutto dirlo, perché in realtà so quanto duramente lavorasse, ma Federer è incredibilmente naturale. Sarebbe stato in grado di fare qualsiasi cosa gli avessi chiesto”.
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