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Il New Yorker celebra il lavoro della FITP e il Progetto Campi Veloci

"L'Italia vanta il numero 1 del mondo e tanti giocatori in Top 40 quanti gli Stati Uniti. Non è un caso" scrive la prestigiosa rivista USA. La traduzione integrale dell'articolo di Gerald Marzorati

24 agosto 2024

Jannik Sinner (Getty Images)

Jannik Sinner (Getty Images)

Le nazioni non possono creare talenti tennistici, ma possono nutrirli. E nessuna Federazione nazionale ha fatto un lavoro migliore della Federazione Italiana Tennis e Padel nel nutrire i propri giovani tennisti. Con lo US Open di quest'anno alle porte, ci sono cinque italiani tra i primi 40 nel ranking ATP, un numero eguagliato solo dagli Stati Uniti che ha una popolazione quasi cinque volte superiore rispetto a quella dell'Italia. E i cinque italiani, tutti tra i 22 e i 23 anni, sono più giovani della maggior parte degli statunitensi.

Il migliore degli italiani, Jannik Sinner, che ha appena compiuto 23 anni, è il numero 1 del mondo – un traguardo che nessun italiano aveva mai raggiunto prima, e che nessuno statunitense ha più raggiunto in oltre vent’anni -. Tradizionalmente, l’Italia era famosa come una nazione in cui i giovani talenti sviluppavano il proprio gioco sulla terra battuta, imparando a costruire i punti con scambi sfiancanti e eleganti scivolate. Questo stile di gioco a bassa velocità ha funzionato negli anni Duemila nel tennis femminile per l’Italia. La nazionale azzurra ha vinto quattro volte la Federation Cup tra il 2006 e il 2013; Francesca Schiavone ha conquistato il Roland Garros con una prestazione effervescente sulla terra rossa parigina.

Sesto festeggia Sinner: le foto

Ma da allora il tennis maschile è diventato sempre più un gioco di potenza e atletismo, di servizi potenti e poderosi diritti, di partite giocate sul cemento rivestito d’acrilico e punti decisi in duelli fulminanti e senza respiro. Nel 2009, i vertici della Federazione italiana hanno lanciato il “Progetto Campi Veloci": perché l’Italia potesse produrre giocatori in grado di arrivare in cima alla classifica ATP e in fondo ai tornei non solo sulla terra ma anche all’Australian Open o allo US Open, bisognava aumentare il numero di campi sul duro nel territorio (allora circa il 90% dei campi in Italia era in terra battuta). Ne è seguito un boom nella costruzione di campi da tennis; oggi ci sono più di tremila campi in cemento in Italia, quasi quattro volte di più rispetto a quindici anni fa.

Campi in duro sono stati realizzati anche nel Centro Tecnico della federazione italiana a Tirrenia, vicino Pisa, dove i migliori giovani vanno a rifinire il proprio tennis. Filippo Volandri, da giocatore uno specialista della terra battuta, è il responsabile del centro di Tirrenia dal 2018 ed è l’esempio degli sforzi della federazione italiana per aumentare qualità e quantità dei coach e trasformare i metodi di allenamento.

Un giocatore da campi veloci deve essere accompagnato in modi particolari, dal punto di vista fisico e psicologico, tecnico e tattico. “Stiamo cercando di cambiare l’identità dei nostri giocatori – ha detto Volandri -. Ci alleniamo per il tennis moderno. Ecco perché abbiamo giocatori che, per stile di gioco, non sembrano ‘italiani’”.

L’anno scorso Volandri ha guidato da capitano la nazionale italiana di Coppa Davis. La fase finale a eliminazione diretta si è disputata a Malaga, in Spagna, a novembre. L’Italia ha brillato, sconfiggendo la Serbia in semifinale – grazie a due vittorie in un giorno di Sinner contro Djokovic, in singolare e in doppio – e l’Australia in finale. L’Italia non vinceva la Coppa Davis da quasi cinquant’anni.

Due mesi dopo Sinner ha battuto ancora Djokovic, probabilmente il miglior giocatore sul cemento di tutti i tempi, stavolta in semifinale dell’Australian Open, per poi andare a vincere il titolo e diventare il primo italiano capace di trionfare in un major su una superficie diversa dalla terra rossa.

Nelle scorse settimane, nonostante un fastidioso problema all’anca, Sinner ha vinto il Cincinnati Open, l’ultimo grande torneo prima dello US Open; si è trattato del suo quinto titolo in stagione, tutti vinti su superfici veloci.

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Matteo Berrettini non ha fatto parte della squadra di Coppa Davis a causa di un infortunio alla caviglia sofferto durante lo US Open dell’anno scorso, ma era a Malaga per incitare i connazionali. Ora ventottenne, Berrettini può essere considerato il primo esempio di successo della FITP nell’aiutare un giocatore a sviluppare un tennis efficace sulle superfici rapide. Il suo tonante servizio, una prima pesante e piatta che costringe a una debole risposta, e il successivo pesante diritto hanno costituito la base della strategia con cui ha raggiunto la semifinale dello US Open 2019 e due anni dopo la finale a Wimbledon, dove è stato sconfitto da Novak Djokovic. Il suo coach allora era Vincenzo Santopadre che l’aveva guidato fin da teenager a Roma e avrebbe continuato ad allenarlo fino all’anno scorso.

Oltre ad aver incentivato la costruzione di campi in cemento e migliorato i metodi di allenamento, la Federazione Italiana Tennis e Padel ha decentralizzato la propria struttura di allenamento, supportando i migliori giovani lì dove vivono, consentendo loro di rimanere con i coach che hanno scelto e fornendo un supporto di alto livello in ogni aspetto dall’analisi dei dati alla fisioterapia.

La federazione italiana ha anche finanziato la creazione di numerosi tornei dei circuiti minori in tutta Italia dove i giovani hanno la possibilità di misurarsi con avversari da tutto il mondo e guadagnare punti senza doversi sobbarcare il costo e il peso delle trasferte.

I giovani italiani che oggi hanno superato Berrettini in classifica – Lorenzo Musetti, Matteo Arnaldi, Flavio Cobolli, Luciano Darderi e Sinner – hanno fatto tutti percorsi simili. Si sono sfidati uno contro l’altro più volte, fin da giovanissimi, un fattore chiave nella creazione di quest’onda italiana. Se gli atleti fanno gruppo, si spingono l’un l’altro e allo stesso tempo si incitano l’un l’altro.

Certo ci sono aspetti, come i geni o la fortuna, per cui nessuna federazione tennistica può sviluppare programmi. E ci sono le doti naturali. Anche se la federazione italiana non avesse fatto nulla per assisterlo, Sinner sarebbe magari arrivato comunque a sviluppare i suoi colpi da fondo forti e puliti come li vediamo ora; magari sarebbe emerso lo stesso dalla competizione spietata che c’è in ogni sport professionistico come il grande talento della sua generazione, un potenziale campione. 

Ma anche i talenti naturali, negli anni della formazione, beneficiano di un ambiente robusto e incoraggiante. “Abbiamo buone strutture in Italia” ha detto Sinner la scorsa primavera durante il torneo di Miami che avrebbe poi vinto. “Perciò possiamo considerarci molto fortunati di essere italiani”.

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