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Parla Nassar, il direttore esecutivo dell'associazione giocatori fondata da Novak Djokovic. Sinner, ha detto, "è finito al centro di una disputa politco-legale tra Itia e Wada". E in dieci punti spiega il perché, e come - così com'è ora - l'attuale sistema antidoping sia pessimo per gli atleti
12 febbraio 2025
A due mesi dall'udienza in cui il TAS di Losanna dovrà esprimersi circa il ricorso della Wada circa la positività al Clostebol di Jannik Sinner, Ahmad Nassar, direttore esecutivo della Ptpa (Professional Tennis Players Association), associazione fondata nel 2019 da Novak Djokovic e Vasek Pospisil, ha definito "ingiusta" la "situazione" in cui è venuto a trovarsi il numero uno del mondo, "coinvolto" a suo dire "in una disputa politico legale tra l'Itia e la Wada".
Se l'International Tennis Integrity Agency - accogliendo la decisione del tribunale indipendente che aveva discusso il caso - aveva infatti scagionato completamente l'altoatesino, l'Agenzia Mondiale Antidoping ha invece fatto ricorso al Tas di Losanna sostenendo come il comportamento di Sinner non sia del tutto esente da "colpa o negligenza". La WADA sostiene che si possa parlare solo di assenza significativa, e non totale, di responsabilità per l'azzurro che, se questa tesi venisse accettata, rischia una squalifica che va da 1 a 2 anni.
Se nei mesi scorsi era stato Novak Djokovic a prendere la parola sottolineando la frustrazione provata "da me come da tutti gli altri" per il silenzio di cinque mesi calato sulla positività dell'azzurro, e per "l'incoerenza dei protocolli e i confronti tra i vari casi" con giocatori "che sono stati sospesi per non essersi nemmeno sottoposti ai controlli antidoping o per non aver comunicato la loro reperibilità", mentre altri giocatori "di ranking inferiore aspettano ancora la risoluzione del loro caso da più di un anno", Nassar ha voluto invece essere più esaustivo nella sua analisi e rispondendo a un utente su "X" ha prima definito "ingiusto" tutto "l'attuale sistema antidoping" per poi dettagliare la sua opinione in dieci punti:
1 - Il sistema antidoping dovrebbe preoccuparsi di perseguire i dopati. I dopati sono coloro che cercano di migliorare le proprie prestazioni ricorrendo a sostanze illegali.
2 - I giocatori hanno più a cuore di chiunque altro che si perseguano i dopati. I giocatori vogliono e hanno bisogno di uno sport pulito e devono essere certi che i loro avversari giochino secondo le loro stesse regole.
3 - Le sostanze illegali e le soglie di test per i risultati positivi devono essere fissate tenendo presente il punto 1.
4 - (Questo, quello di Sinner, ndr) non è il caso del punto 3. Si tratta piuttosto di atleti che commettono fallo di piede (scusate il gioco di parole). Quantità irrisorie, cose che in realtà non migliorano le prestazioni, ecc. Questo è l'inizio dell'ingiustizia per tutti.
5 - A complicare ulteriormente la situazione, la procedura del test antidoping è poco pratica e onerosa per gli atleti che viaggiano in tutto il mondo. È irrazionalmente gravoso e, ancora una volta, si direbbe più interessata a colpire gli atleti che a perseguire i dopati. E anche questo è ingiusto nei confronti di tutti.
So, when I say the entire anti-doping system is unfair, here’s what I mean. Warning - this is a long list :)
— Ahmad Nassar (@ahmad4athletes) February 11, 2025
1. The anti-doping system should be concerned with catching dopers. Dopers are those who are trying to improve their performance via illegal substances.
2. Players care…
6 - Staremo a vedere ora cosa succederà se qualcuno risulta positivo al test. Il sistema di appello deve funzionare per tutti, essere coerente e garantire a tutti gli atleti un giusto processo e la possibilità di difendersi. Non si tratta di favorire i dopati, ma di creare un sistema che funzioni correttamente e sia legale.
7 - In aggiunta al punto #6, dobbiamo notare che la PTPA funziona per tutti i giocatori. Il nostro compito NON è esprimere opinioni sulla colpevolezza o innocenza di un caso specifico o di un atleta. Il nostro compito è garantire che il sistema sia equo e funzioni per tutti. Un sistema rigoroso con un giusto e completo processo e con risorse disponibili e in grado di garantire la (propria) difesa, rende il punto 1 più realizzabile. In questo modo si evitano anche situazioni più spiacevoli in cui i giocatori vedono rovinate la loro reputazione e la loro carriera (gli esempi da citare sono troppi).
7.1 - L'accesso alle risorse per organizzare una difesa adeguata è un problema da anni. In parte è naturale e rispecchia quel che si vede tutti i giorni nella società (ad esempio, le persone più ricche possono permettersi gli avvocati). Ma anche questo è ingiusto anche nei confronti di tutti i giocatori: chi non può permetterselo perde l'opportunità di costruire una difesa adeguata, chi può farlo lo fa invece a proprie spese.
8 - I sistemi di appello ITIA e WADA si basano su queste (e altre) premesse errate. Tutti i giocatori coinvolti nel loro sistema, anche quelli dotati di risorse, sono vittime della stessa ingiustizia. Soprattutto se si considerano i mesi/anni che spesso occorrono per risolvere questi casi.
9 - Nel caso specifico di Jannik, lui si è trovato in una situazione ingiusta. L'ITIA sostiene di aver seguito i suoi processi e le sue regole. La WADA dissente e ritiene necessario contestare l'ITIA. Sfortunatamente, questo non è uno scenario sorprendente per persone come Tara Moore e il sottoscritto. Ciò non significa che siamo d'accordo con la sostanza del ricorso della WADA o con la decisione originale dell'ITIA (vedere n. 7 sopra). Né l’ITIA né la WADA stanno realmente contestando i fatti alla base del caso di Jannik. E questo è importante, ma anche ingiusto. Di fatto, si trova coinvolto in una disputa politico-legale tra l'ITIA e la WADA. E dopo quasi un anno, sta ancora aspettando che il suo caso venga definitivamente risolto. Ancora una volta, questo è ingiusto.
10 - Come spero ora sia chiaro, l'intero sistema è pessimo per gli atleti (come gruppo e come individui), per i tifosi e per lo sport in generale. Deve cambiare.
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