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Massimo Sartori ci aiuta a ripercorrere l’evoluzione del delicatissimo ruolo degli allenatori del Rinascimento azzurro
di Vincenzo Martucci | 04 aprile 2024
“Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani”. Angelo Binaghi come Massimo D’Azeglio: dopo i giocatori, col fondamentale apporto del dinamico Massimiliano dell’Edera, nella rivoluzione del sistema il Deus Ex Machina FITP è arrivato anche a formare gli allenatori. Così, sempre più spesso, sentiamo elogi ai coach nostrani e vediamo ex giocatori che guidano atleti italiani.
Senza proteste, litigi ed invidie com’è avvenuto troppo spesso in passato, ma confrontandosi e scambiandosi impressioni ed informazioni, nel segno dei seminario dei convegni, dei ritrovi che, dopo anni di insistenza da parte della Federazione, hanno convinto gli utenti. Anche grazie al ricambio generazionale che ha annullato l’antiquata concezione del classico maestro di tennis che è andato in pensione all’alba del 2000: l’ex giocatore fiero dei suoi limiti, senza aggiornamento e studi specifici, anzi, irridente oppositore dei “professorini” nati dalla scuola e non dai campi, dal “marciapiede” delle partite e di ore e ore di insegnamento SAT.
Insomma, dinosauri privi del know how oggi indispensabile per star dietro al tennis moderno, iper-tecnologico, iper-attento, iper-tutto. Tanto che, una volta compresa l’importanza dell’istruzione specifica - imposta dal compianto Roberto Lombardi con la scuola nazionale maestri - , gli ex giocatori hanno fatto il salto di qualità decisivo.
A dimostrazione che l’operazione di rivitalizzazione non era un’imposizione ma una indispensabile forza di aggiornamento professionale per stare al passo con la realtà e con la concorrenza straniera. Così, i maestri-ex giocatori sono diventati l’indispensabile punto di riferimento dell’insegnamento del tennis a tutti i livelli. Fino a essere oggi i migliori coach del Rinascimento del tennis italiano.
Ovviamente, a muovere le acque ci hanno pensato anche i soldi, che sono aumentati coi premi sempre più alti di uno sport sempre più ricco. Motivando l’ex giocatore, che si accasava in un circolo, insegnava ai soci, sovrintendeva la scuola SAT, ma non si spostava da lì per seguire gli allievi migliori nei tornei.
Aumentando il budget a disposizione, l’atleta ha potuto sostenere spese diverse e si è potuto permettere il coach al seguito. E quindi una maggiore e specifica cura per la sua crescita sotto tutti gli aspetti. Offrendo nel contempo all’ex giocatore , calato nel ruolo di coach, anche la possibilità di migliorarsi a sua volta nel confronto con altre realtà, di guadagnare introiti e visibilità, di aprirsi orizzonti prima chiusi dal cancello del circolo.
Sinner, quanto conta quella Davis
Massimo Sartori, che ha portato giù dai monti dell’Alto Adige prima Andreas Seppi e poi Jannik Sinner, lavorando per anni fianco a fianco di Riccardo Piatti per poi aprire una Accademia sua a Vicenza, ha una visione sua riguardo i nuovi coach italiani di tennisti italiani: “Oggi c’è tanto più lavoro e ci sono tanti più allenatori di prima e anche molti più ragazzi su cui lavorare. E’ cambiata la mentalità e anche il metodo: prima si lavorava sul talento, quindi su un numero ristretto di ragazzi, e con l’obiettivo solo e soltanto dell’eccellenza, oggi si lavora sul lavoro, sulla ricerca di farlo al meglio. Lavorando succede qualcosa e si creano le possibilità di ottenere il massimo risultato da ogni singolo soggetto. Con l’allenatore italiano che è migliorato davvero tanto a cominciare dall’approccio”.
L’apporto della FITP - Binaghi, dirigenti, settore tecnico, Lombardi, Dell’Edera - è stato decisivo: “La mossa decisiva è stata quella, a fronte di sostegni economici diretti, di spingere i giocatori a portarsi in giro per i tornei l’allenatore, migliorando così la loro qualità”.
La punta dell’iceberg ex giocatori-coach quarantenni è rappresentata da Simone Vagnozzi che guida Jannik Sinner dal febbraio 2022 dopo aver portato Marco Cecchinato dal numero 180 al 16 del mondo, con 3 titoli e soprattutto le sensazionali semifinali al Roland Garros 2018, e poi Stefano Travaglia a sfatare il tabù top 100. L’ascolano, ex allievo sia come atleta che come allenatore di Massimo Sartori, ha toccato il numero 162 ATP nel 2011. “Ero sicuro che “Vagno” sarebbe stato un ottimo allenatore perché conosceva il lavoro, che già avevamo fatto insieme quando giocava, perché era stato tennista e aveva la qualità tecnica, e perché capiva le emozioni che si provano sul campo. E una volta allenatore non ha commesso gli errori che commetteva lui da giocatore”.
Vincenzo Santopadre (ex numero 100 ATP, con un titolo di doppio) ha forgiato Matteo Berrettini e l’ha portato al numero 6 del mondo e alla finale di Wimbledon, e adesso sta cercando di lanciare anche il giovane francese Luca Van Assche.
Alessandro Petrone (ex 397 ATP, 2.1 FIT), con 3 titoli ITF vinti, sta portando sempre più in alto Matteo Arnaldi. Stefano Cobolli, già 236 dei pro, sta trasmettendo al figlio Flavio tutto il suo sapere, tecnico e di vita.
Giorgio Galimberti (ex 115 ATP, con 3 titoli Challenger di singolare e 1 di doppio ATP) sta migliorando sensibilmente Luca Nardi, sia come tennis che come attitudine.
Flavio Cipolla (con Darja Kasatkina) e Renzo Furlan (con Jasmine Paolini) stanno facendo bene nel settore femminile. Sartori ha radunato una nidiata di giovanissimi campioni italiani da crescere. Magari insieme al primo discepolo, Seppi. Nel nome dei nuovi coach ex giocatori e del “made in Italy” che non t’spetti. O meglio, che non ti saresti aspettato.
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