Figlio d'arte
Ora, Taylor può rielaborare le difficoltà avute nel 2016. Quando, da 53 del mondo, da miglior giovane d’élite uscì dai “top 100” marchiato come fuoco di paglia. “Alla fine di quell’annata, ho lavorato tanto, ma ancora nel 2017 non ero io, dopo aver insistito a giocare infortunato. Il lavoro ha pagato l’anno scorso, quando ho potuto giocare senza acciacchi e ho ripreso il discorso che s’era interrotto nel 2016”. Ora, può allontanarsi un po’ dalle tante etichette che l’hanno accompagnato. Intanto, quella, di ragazzo ricco, per via di nonno David, fondatore dei super-magazzini Macy’s. Poi di figlio d’arte: mamma Kathy May è stata “top 10” del Wta Tour, papà Guy Henry ha giocato anche lui ed è stato eletto l’allenatore Usa dell’anno. Quindi di grande speranza junior non realizzata da pro: semifinalista a Wimbledon nel 2014, finalista al Roland Garros 2015, sconfitto in finale dal connazionale Tommy Paul, che però quell’anno ha battuto per il titolo agli Us Open di categoria. Quando, appena 17enne, s’era aggiudicato anche più tornei Challenger come solo alcuni dei più grandi, come Nadal.
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