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Superficie, palle, clima e non solo: grazie a tutti questi fattori i giocatori americani diventano sempre insidiosi nella ‘loro’ fetta di stagione che conduce agli Us Open. Lo dice la storia (in passato in modo ancor più marcato) e lo dicono i numeri. Cerchiamo di capire perché
di Marco Mazzoni | 02 agosto 2019
Come mai storicamente i tennisti statunitensi esprimono il meglio nei tornei di casa? Sarebbe riduttivo e semplicistico voler trovare un'unico fattore che spieghi una situazione molto complessa. Tra i vari elementi in gioco, di sicuro l'aspetto motivazione è tra i più importanti.
Per il tennista e sportivo a stelle e strisce l'appartenenza al suo Paese è fattore radicato. Tutto parte dal sistema scolastico di insegnamento, sportivo e umano, incluse le molte accademie. Ogni ‘buon’ yankee è molto fiero del suo Paese e giocare in casa dopo continui e lunghi viaggi all'estero dà quello sprint in più, senza aver sulle spalle una pressione esagerata a castrare la vis pugnandi.
I francesi, ad esempio, spesso giocano a Roland Garros con aspettative enormi di pubblico e stampa, finendo schiacciati dall'evento stesso. Questo non accade a Flushing Meadows, dove il variopinto pubblico newyorkese alza il volume esaltando i propri giocatori, a sua volta esaltato nel tempo dalle gesta dei vari Connors e compagnia. I media sono molto presenti, ma l'attenzione per il tennis non è paragonabile a quella delle leghe Pro. Quindi motivazioni al top, pronti a esaltarsi e dare il meglio.
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