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Daniil, l’eroe russo dell’estate sul cemento Usa, è più "bello" di Grigor Dimitrov, ancora una volta stoppato sul più bello. Per il 23enne moscovita ci sarà Rafa Nadal sulla strada del primo trofeo Major
di Vincenzo Martucci | 07 settembre 2019
Tre set a zero. Quando si dirada il fumo dei botti e finiscono gli scoppi dei mortaretti e dei tric-trac, “Spennacchiotto” Daniil Medvedev, eroe di un’estate da ricordare sul cemento americano, supera alla grande anche le semifinali degli Us Open, dà una pacca di circostanza sulle spalle a Grisha Dimitrov e lo lascia ancora una volta ai piedi del podio Slam. Il russo che non t’aspetti, col cannone nel braccio, carico di agonismo e fantasia, a 23 anni, fa un altro “upgrading”: alle finali di Washington e Montreal e al primo titolo Masters 1000 a Cincinnati, aggiunge la promozione alla finale di New York, eguaglia l’estate magica dei soli Ivan Lendl (1982) ed Andre Agassi (1995), porta a 20-2 il bilancio di questa volata strepitosa, fino alla prima finale Major contro Rafa Nadal, e sale al numero 4 del mondo, dopo aver varcato la soglia dei top 10 subito dopo Wimbledon.
Non è stato bravo, è stato bravissimo. Ed è legittimo che dica: “Sui cinque set è davvero dura mentalmente. Perciò non ce l’avevo mai fatta e m’ero fermato al massimo al quarto turno negli Slam. Ma stavolta sapevo che stavo andando nella direzione giusta e ho semplicemente lottato a ogni set a ogni punto. Finora non aveva funzionato, ma stavolta sì, stavolta è andato tutto al meglio. Ho vinto tanti match al quarto set che dimostra che gran mentalità ho avuto, e anche come ho tenuto fisicamente”.
E’ stato bravissimo anche a fronteggiare il braccio di ferro col focoso pubblico yankee, al quale aveva mostrato il medio alzato, mandandolo insomma a quel paese (eufemismo). Utilizzando la carica nervosa per superare gli ostacoli, dal gioco alla tensione agli avversari agli infortuni. “Quando sono arrivato negli Stati Uniti non pensavo sarebbe stato così bello, ora devo dire: 'America, ti amo'”.
Così, il Next Gen delle Finals 2017 a Milano ha piegato nei quarti il redivivo Stan Wawrinka alternando alle solite, vigorose, spallate di servizio-rovescio e dritto, a trovate estemporanee per spezzargli il ritmo. Così, ha riportato un russo in una finale Slam dopo il suo idolo Marat Safin, campione degli Australian Open 2005. Così minaccia: “Capisco che quello che ho combinato in queste ultime quattro settimane sia straordinario, anche paragonato a quanto avessi fatto prima. Ma non voglio fermarmi. Voglio continuare a lavorare per migliorarmi. E cercherà di dare il massimo ogni giorno”. Da più giovane finalista nell’ultima prova stagionale Slam da Novak Djokovic nel 2010 (che perse con Nadal…), con l’ambizione di diventare il campione più precoce dal 20enne Juan Martin Del Potro nel 2009 (che superò Federer nella sfida per il titolo).
Ma volete mettere l’ambizione di chi doveva lottare al vertice e invece s’è fermato sempre ai margini dal paradiso anche stavolta che per la prima volta arriva alle semifinali Slam, riemergendo dall’ennesimo periodo-no? Anche stavolta che, arrivando a New York, aveva talmente il morale sotto i tacchi (ko in sette degli ultimi otto match, compreso quello col numero 405 del mondo Kevin King ad Atlanta, da convincere la coppia di super-allenatori, Agassi-Stepanek, a fare un passo indietro e disertare gli Us Open? ”Nel complesso è stato un buon match, ho perso per un paio di punti qua e là, al di là dei tre set a zero, il punteggio non è sincero, penso di essermi espresso a un buon livello. Nel complesso, il mio avversario ha lottato bene e ha giocato bene i punti chiave. Perciò non voglio buttarmi giù. Ho avuto due buone settimane. Sono arrivato per la prima volta fra i primi quattro qui a New York. E quindi mi porto via tante cose positive”.
Sempre bello e impossibile. Il 7-6 6-4 6-3 dice ancora una volta tutto sulla sua incapacità di fare qualcosa di diverso, di più nei momenti importanti. Quando sembra più specchiarsi che sporcarsi davvero, totalmente, nella lotta rischiando il tutto per tutto.