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36 anni, madre di tre figli, la belga non gioca un match ufficiale di singolare dal 29 agosto 2012. Il suo tempo si è fermato su una risposta lunga di rovescio contro la britannica Laura Robson che ha interrotto la serie di 22 vittorie allo Us Open. Torna in campo oggi a Dubai: la sorte le messo di fronte un'avversaria tosta come la spagnola finalista a Melbourne
di Alessandro Mastroluca | 15 febbraio 2020
“La vita è una questione di momenti, non di traguardi. Concentrarsi per raggiungerli conta, ma non dimenticate di divertirvi”. Kim Clijsters ha scelto questa (sua) frase per accogliere chi visita il sito ufficiale. La belga è il manifesto di un approccio all'esistenza per cui è bello essere persone importanti ma è ancora più importante essere belle persone (Federer dixit).
Nel discorso che ha celebrato l'ingresso nella Hall of Fame, ha racchiuso il senso del suo rapporto con il tennis in tre parole: niente sole, cuore, amore, però. Ha parlato di ottimismo, dedizione e passione. Ha firmato un autoritratto degno dei grandi pittori fiamminghi, la sua stessa terra. Un'immagine apparentemente semplice, in cui niente è fuori posto, tutto ha un senso e l'insieme apre a inattese complessità.
Con lo stesso spirito, per sfidare se stessa e senza niente da dimostrare, torna oggi nel circuito dal torneo Wta di Dubai (il suo match in diretta alle 16.00 su SuperTennis) . Le hanno offerto una cortese wild card ma la sorte le ha riservato un'avversaria 'pesante': la spagnola Garbine Muguruza, recente finalista agli Open d'Australia. Subito una prova del fuoco, un confronto che potrebbe risultare impietoso. Oppure rilanciarla immediatamente nel tennis che conta.
Oggi madre di tre figli, non gioca un match di singolare, esibizioni a parte, dal 29 agosto 2012. Il suo tempo si è fermato su una risposta lunga di rovescio contro la britannica Laura Robson che interrompe la serie di 22 vittorie di fila allo Us Open. Qualcosa di lei è rimasto su quella panchina dove ha continuato a fissare il vuoto con le mani dietro la testa dopo il “game, set and match”. Veniva da una serie di 22 vittorie e tre titoli di fila nelle ultime tre occasioni in cui aveva giocato il torneo: 2005, il suo primo major; 2009, quando diventa la prima mamma campionessa Slam dai tempi di Evonne Goolagong (Wimbledon 1980); e 2010. “Sentivo che mi sarebbe piaciuto chiudere a New York, per tutti i bei ricordi, perché c'erano mio marito e la mia famiglia. Dentro di me sapevo che non ne avevo più”.