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La 22enne ceca è una delle giocatrici più calde del circuito. Ad inizio marzo, prima del lockdown, sul cemento di Monterrey aveva ceduto solo in finale alla Svitolina: alla ripresa, sul cemento di Lexington, ha superato Konta e Blinkova e si presenta ai quarti contro Brady
di Vincenzo Martucci | 13 agosto 2020
La sua coperta di Linus è un mega-thermos, che si porta dietro da sempre, tanto che, da “Juggy” è diventata per tutti “BouzieBottle”, col suo entusiastico nulla osta. Ma con Marie Bouzkova c’è poco da ridere, la 22enne ceca è una delle giocatrici più calde del circuito.
Era esplosa nell’agosto 2019 sul cemento di Toronto, superando le qualificazioni e poi battendo la grande promessa Leyla Fernandez e le campionesse Slam, Stephens, Ostapenko ed Halep, senza cedere un solo set, fermandosi solo in semifinale e al terzo set contro Serena Williams. Ha iniziato il 2020 superando le qualificazioni agli Australian Open. Ai primi di marzo, prima del lockdown per il Covid-19, sul cemento di Monterrey, aveva infilato Kucova, Schmiedlova, Wang e Konta, cedendo solo in finale e in tre set ad Elina Svitolina.
Alla ripresa, sul cemento di Lexington, ha superato ancora Konta (con nuovi problemi cardiaci) e Blinkova, e si presenta ai quarti contro Jennifer Brady come possibile protagonista della parte inferiore del tabellone dove campeggia la stellina di casa, Coco Gauff.
A 10 anni si è trasferita da Praga a Bradenton, in Florida, alla Nick Bollettieri Accademy, poi papà Milan, da ex gestore di un circolo tennis è diventato il suo coach in tandem con Cristian Requeni, aiutandola nella lunga scalata. Che è cominciata dai tornei giovanili, dal titolo agli Us Open 2014 (con la finale di doppio a Wimbledon), ed è continuata coi tornei pro minori, fra cui spiccano ben 12 titoli ITF nei posti più sperduti, per farsi le ossa.
“Papà ha sempre voluto che facessi le mie cose con calma, senza mettermi fretta di crescere e di arrivare”. Senza abbandonare gli studi, tanto che Marie sta studiando Economia Aziendale on line alla Indiana University East. “Adoro studiare dopo le partite, mi rilassa molto, ringrazio la WTA che ha questa partnership con questa Università. Il mio lockdown è stato diverso dalla maggior parte dei tennisti: stavo facendo il semestre estivo e ho preso altre lezioni. Così, non sono mai stato così occupato in questi ultimi cinque mesi, ho fatto così tanto compiti a casa che mi sono distratta dalle voci di cancellazioni di tornei, eccetera”.
Sarà anche questione di superstizione, che è il giochino più divertente fra lei e i suoi coach, scegliendo lo stesso campo d’allenamento, la stessa maglietta e anche lo stesso cappellino.
Una routine che si porta anche in campo e l’aiuta a non distrarsi nel tennis di Lexington, test di bolla che prelude agli Us Open: “Il primo match, dopo tanto tempo, andavo un po’ di fretta, poi ho trovato il mio ritmo. La sensazione di giocare senza pubblico è strana: sembra di essere in allenamento. Il primo punto del match mi ha fatto capire tutto: ho fatto una risposta vincente ma non c’è stato un applauso, un commento, niente, da parte del pubblico, che non c’è. E lì ho sentito la differenza, ma sono talmente felice che possiamo giocare che non importa se la gente c’è o no”.