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Black Lives Matter, Naomi detta la linea: lo sport si mobilita

Naomi Osaka ha indotto gli organizzatori del Western & Southern Open a fermare il torneo per un giorno. E' una presa di posizione collettiva del tennis contro il razzismo. E' il risultato di un percorso iniziato dopo l'uccisione di George Floyd da parte della polizia a Minneapolis. Dall'automobilismo al basket, fino al calcio tanti atleti hanno preso le parti del movimento Black Lives Matter aprendo gli occhi ai tifosi e alle organizzazioni sportive. Un cambio di passo rivoluzionario

di | 27 agosto 2020

Naomi Osaka

Naomi Osaka

"When will it ever be enough?", "quando sarà abbastanza?". Naomi Osaka se lo chiede al termine del messaggio pubblicato sui social network con cui ha annunciato che non sarebbe scesa in campo per il Western & Southern Open, il torneo spostato da Cincinnati a New York. Si chiede quando saranno abbastanza gli atti di violenza della polizia contro i neri, quando saranno abbastanza gli hashtag perché si prenda posizione. Mai come in questo momento, per lo sport, il momento è arrivato. 

"Sono un'atleta e una donna nera. E in quanto donna nera sento che ci sono cose molto più importanti che richiedono attenzione immediata, piuttosto che guardarmi giocare a tennis" ha scritto Osaka, che il razzismo l'ha toccato negli USA in quanto 'nera' e in Giappone in quanto 'ha-fu', figlia di matrimoni misti. L'anno scorso, in uno spot, uno sponsor giapponese l'ha trasformata nel personaggio di un cartone animato, ma con la pelle bianca. 

Assistere al "continuo genocidio dei neri da parte della polizia mi dà la nausea" ha scritto, con una scelta lessicale che ha ricevuto anche delle critiche sui social. "Sono stanca di dire le stesse cose ancora e ancora" ha aggiunto la ex numero 1 del mondo, che avrebbe dovuto sfidare Elise Mertens in semifinale. "Non mi aspetto che la mia decisione porti conseguenze drastiche o immediate" ha spiegato. Ma riuscire a far emergere una maggiore consapevolezza del problema in uno sport prevalentemente bianco, ha detto, sarebbe già "un passo nella giusta direzione".

Dan Evans, Kyle Edmund e l'arbitro James Keothavong in ginocchio a supporto del movimento Black Lives Matter

"Essere non-razzisti non è abbastanza" scriveva il primo luglio in una lunga lettera a Esquire, "dobbiamo essere anti-razzisti. E questo richiede uno sforzo collettivo". L'obiettivo di questo sforzo è riassunto nel titolo della copertina di Time che Osaka ha condiviso sul suo profilo Twitter, tra un meme, la foto di un panda e gli scatti degli allenamenti, il 20 agosto. E' "La nuova rivoluzione americana. Visioni di un futuro nero che soddisfano la promessa della nazione". 

Nel 1968 Lew Alcindor, rivoluzionario campione afroamericano di basket universitario che avrebbe cambiato nome in Kareem Abdul Jabbar, decise di boicottare le Olimpiadi del 1968. “La nostra nazione ha un dovere verso quelli come me e sono 400 anni che non compie quel dovere” diceva allora. 

Frances Tiafoe in campo con la mascherina di Black Lives Matter. La scritta con il nome del movimento compare anche sulle sue scarpe

Quella promessa è sembrata ancora più lontana il 25 luglio, quando un agente di polizia ha fermato George Floyd, accusato di tentato utilizzo di una banconota falsa da 20 dollari, poi l'ha tenuto fermo, steso sull'asfalto, con un ginocchio sul collo per otto minuti e 46 secondi. Diciassette minuti dopo l'intervento della polizia, Floyd è stato dichiarato morto ed è subito diventato un simbolo del movimento contro il razzismo.

Tra fine maggio e i primi giorni di luglio, lo sport si mobilita contro la violenza a sfondo razziale. Nel tennis, sui social Frances Tiafoe pubblica un video per sensibilizzare sul tema, che il primo giugno Serena Williams condivide con un messaggio: "Inizia con tutti noi. Grazie".
E' un invito a tutti, dunque, a far parte del cambiamento. In altra forma, lo accoglie Madison Keys a invita a firmare petizioni, a donare fondi, risorse, materiali educativi alle vittime o alle organizzazioni.

I tennisti per il movimento Black Lives Matter

Il 2 giugno, il cosiddetto Black Tuesday, i grandi campioni come Novak Djokovic, Rafa Nadal, Roger Federer pubblicano sui profilo social un semplice rettangolo tutto nero. 
Ma le più in vista sono due donne, Osaka e Cori Gauff. "Solo perché non sta succedendo a voi, non vuol dire che non stia accadendo del tutto" scriveva il 29 maggio su Twitter.  
 
Ancora più netto il discorso di Cori Gauff durante una manifestazione di protesta nella sua città natale, Delray Beach in Florida, a giugno. Allora Gauff parlò anche di sua nonna, Yvonne Odom, la prima studentessa nera nel suo college: correva l'anno 1961. "Sono riuscita finalmente a trovare le parole giuste, perché per parlare di questo argomento devi saperne di questa storia" ha spiegato all'agenzia Reuters. "Penso che George Floyd abbia aperto gli occhi a tanti" ha aggiunto.

L'effetto è ulteriormente intensificato perché si sono mossi gli sportivi di vertice, icone come la stella NBA LeBron James o il sei volte campione del mondo di Formula 1 Lewis Hamilton. E il pubblico che li segue è ancora più vasto dei sostenitori del movimento Black Lives Matter. 

Un fotogramma estratto dal video del discorso di Cori Gauff a Delray Beach

Gli eventi più recenti hanno comportato un ulteriore salto di qualità. Per la prima volta si è andati in maniera così sistematica oltre le manifestazioni individuali di dissenso contro il razzismo.
Quando nel 2016 il giocatore di football Colin Kaepernick iniziò a inginocchiarsi durante l'esecuzione dell'inno nazionale come protesta contro le violenze della polizia ai danni dei neri negli USA, ha aperto la strada, è stato imitato da tanti e criticato da altri. Ma la NFL, la lega di football americano, ha deciso nel 2018 di multare chi si inginocchiava durante l'inno.

Oggi il carisma delle figure coinvolte e la forza delle convinzioni espresse hanno portato le organizzazioni sportive a cambiare marcia. Tradizionalmente ostili ad ogni forma di manifestazione ideologica, hanno finito per sostenere apertamente o comunque per non ostacolare questo processo.
Rispetto anche solo al 1968, quando il comitato olimpico USA ha espulso John Carlos e Tommie Smith per aver alzato i pugni stretti in un guanto nero sul podio delle Olimpiadi a Città del Messico, è un cambiamento epocale.
"Il genocidio dei neri da parte della polizia mi dà la nausea. Quando sarà abbastanza?" (Naomi Osaka)
L'NBA ha sposato la causa, nelle gare di playoff la scritta 'Black Lives Matter' campeggia sul parquet di Orlando, dove si sta concludendo la stagione. Stagione che potrebbe finire in anticipo e senza assegnazione del titolo.
Le due franchigie di Los Angeles, i Clippers e i Lakers di LeBron James, hanno votato in favore di un boicottaggio esteso fino alla fine della stagione.
LeBron, considerato uno dei più grandi giocatori di basket di tutti i tempi, si è più volte schierato contro Donald Trump. E sta guidando un ulteriore movimento a cui hanno aderito star del basket e dello spettacolo. Si chiama 'More than a Vote', e si propone di devolvere milioni di dollari per aumentare gli scrutinatori nei seggi elettorali delle comunità nere degli USA.

La scritta Black Lives sul parquet di Orlando sopra il logo della NBA

Hamilton, la voce del movimento in Formula 1

Lewis Hamilton ha convinto il suo team, la Mercedes che da sei anni domina la Formula 1, a ridipingere il telaio delle monoposto, da grigio a nero.
Hamilton, che a giugno ha partecipato a Londra a una manifestazione del movimento Black Lives matter, è diventato uno degli sportivi più "militanti" contro il razzismo.
Da quest'anno, prima delle gare, i piloti di Formula 1 si inginocchiano (anche se non tutti) nel gesto diventato globale di protesta contro il razzismo dopo l'uccisione di George Floyd. Ha anche inaugurato un fondo, che la Formula 1 ha appoggiato con un milione di dollari, per aumentare l'inclusività nel mondo delle corse.

Dopo la morte di George Floyd, le manifestazioni prima individuali poi sempre più estese hanno indotto cambiamenti piccoli ma significativi. Josh McKennie, centrocampista nero dello Schalke 04, che l'anno prossimo giocherà nella Juventus, è stato tra i primi nel campionato tedesco a manifestare per Black Lives Matter a giugno.
La Bundesliga tedesca, come la Serie A italiana, hanno lasciato libertà ai singoli calciatori e alle squadre di manifestare contro il razzismo, senza alcuna sanzione. 

Il campione del mondo di Formula 1 Lewis Hamilton, qui con il pilota della Ferrari Sebastian Vettel, sfoggia la maglia con la scritta Black Lives Matter

La UEFA ha preso la stessa decisione, non a caso il terzino del Bayern Monaco David Alaba si è inginocchiato mostrando una maglia con la scritta "Black lives matter" sulla schiena durante la premiazione per la vittoria della sua squadra in Champions League.
La Premier League inglese, il campionato più ricco d'Europa e più visto del mondo, ha abbracciato la protesta. Nelle partite giocate dopo il lockdown, la scritta Black lives matter campeggiava su tutte le maglie, di tutte le squadre, al posto del cognome del calciatore.

Naomi Osaka su WSJ Magazine

Anche la USTA, prima del boicottaggio di Naomi Osaka e della decisione di fermare il Western & Southern Open per un giorno, aveva ufficialmente comunicato un'eccezione al codice di condotta per lo US Open. Saranno permesse maglie con la scritta Black Lives Matter o altre forme di espressione per la sensibilizzazione sul tema della giustizia sociale. "Crediamo che se il tennis vuole crescere, il nostro sport deve diventare più inclusivo e supportare le persone di colore - si legge nella nota della federtennis USA -. In un momento senza precedenti come questo, gli atleti dovrebbero poter esprimere le loro convinzioni in campo".

Osaka ha scelto di farlo in maniera forte decidendo di non entrare in campo, e di fatto riaprendo l'antica questione dell'utilità del boicottaggio nello sport, degli effetti che un atleta può produrre attraverso la sua assenza decisa per scelta, per manifestare un dissenso di carattere ideologico o politico. 

"Potete dirmi se salveremo la vita anche di un solo soldato in guerra se non andiamo alle Olimpiadi?" chiese Anita de Frantz, studentessa e atleta della nazionale di canottaggio USA al presidente Carter che annunciava il boicottaggio ai Giochi di Mosca. "No, non possiamo" fu la risposta.

La domanda di De Frantz, che lavorerà a lungo per il CIO, resta senza risposta. Gli effetti, di qualunque natura e direzione, delle ultime manifestazioni nel tennis, nell'NBA, nello sport preso nel complesso, li vedremo più avanti. Di sicuro, gli atleti hanno fatto aprire gli occhi alle organizzazioni che governano lo sport. E lo sport, su questioni di giustizia sociale, parla con una voce più forte. Già questo, è un passo e nemmeno troppo piccolo nella giusta direzione.

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