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Il secondo trionfo agli Us Open rilancia in grande stile Osaka, capace di lanciare messaggi forti non solo in campo: “La quarantena mi ha dato la possibilità di pensare a ciò che voglio realizzare e a quel che voglio la gente si ricordi di me”
di Vincenzo Martucci | 13 settembre 2020
La vittoria sull’ennesima mamma di ritorno, Vika Azarenka, per 1-6 6-3 6-3 (sotto di un set e un break) ha coronato una cavalcata sull’onda non solo del tennis ma anche dell’attivismo politico. Che è cominciato nel torneo preparatorio, targato Cincinnati ma disputato sempre sugli stessi campi di Flushing Meadows, quando Naomi si è rifiutata di disputare le semifinali per protesta: “Prima di essere un’atleta sono una donna di colore e, come tale, sento che ci sono questioni molto più importanti al momento che hanno bisogno di attenzione immediata, piuttosto che guardarmi giocare a tennis. Non mi aspetto che accada nulla di drastico con me che non gioco, ma se riesco ad aprire la discussione su questo tema in uno sport a maggioranza bianco, lo considero un passo nella giusta direzione”. Ed aveva ottenuto la sospensione di tutte le partite di tennis e l’attenzione del mondo intero, con la solidarietà di tutti gli altri grandi sport statunitensi. Così s’era convinta a giocare e vincere la semifinale, anche se poi per infortunio aveva lasciato via libera per il titolo proprio alla Azarenka che ha ritrovato sotto il traguardo di New York. Dove, a ognuno dei sette incontri disputati, in onore delle vittime nere della violenza razziale negli Stati Uniti, la ragazza ha indossato altrettanto mascherine diverse anti Covid-19 col loro nome. L’ultima, in finale, col nome di Tamir Rice, un ragazzo di 12 anni ucciso a Cleveland da un agente di polizia bianco nel 2014.
Esce ora pienamente rilanciata da questi US Open come atleta, che torna numero 3 del mondo da 9, e ridiventa la grande star di un anno fa, ma ancor di più come leader. Il messaggio che Naomi rivolge al mondo è infatti meno retorico e più eclatante, più politico, più impegnativo e perentorio di quello di Serena Williams, pur restando referenziale. Perché la ragazza è figlia di culture diverse come quelle dei genitori e di una terza, quella statunitense, che pure la rappresenta, senza identificarsi pienamente in alcuna di queste. Ma avverte pienamente sulla propria pelle colorata il razzismo che tocca con mano dal mondo circostante.
A cominciare dalla drammatica finale di New York 2018, proprio contro Serena Williams, quando tutto lo stadio era contro di leiperché voleva testimoniare il record della regina nera dei 24 Slam (come Margaret Smith Court). Per continuare con le polemiche coi media del suo Giappone per l'insufficiente vocabolario che sfoggiava nella lingua madre. Per proseguire col braccio di ferro con la USTA, la potente e ricca Federtennis Usa, che le aveva offerto invano un asilo tecnico e una bandiera.
Chissà se Naomi Osaka conosce la famosa citazione di Pirandello: “Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti”. Di certo, con le sue maschere dimostra di avere un altro spessore. Come dice anche al microfono in campo al premiazione di sabato a Flushing Meadows. “Qual è stato il messaggio che ho dato? Non è più questa proprio la domanda? Credo che il punto sia far iniziare a parlare”.
Brava, Naomi, bravissima. Il blogger di punta, Ben Rothenberg, puntualizza: “Se Naomi Osaka avesse perso a Cincinnati o agli US Open, avrebbe sentito all’infinito dalla vecchia scuola la storia di come il tennis dovrebbe essere la priorità per lei, e come dovrebbe "attaccarsi allo sport”. L’ex tennista ora giornalista Andrea Leand ha risposto: “Ci sono sempre quelli che preferiscono atleti professionisti solo che “giocano il gioco”. La buona notizia è che Naomi, una giovane donna propositiva, invece svilupperà la sua voce mentre si espande anche nel gioco”. E Katrina Adams, ex atleta ed ex presidente USTA, molto ascoltata anche come donna afroamericana, ha detto: “Gli atleti sono individui che possono svolgere il loro lavoro e parlare come un avvocato ed essere umani sostenendo una causa e avere successo in entrambi i campi”.
Sensibile e intelligente com’è, Naomi Osaka ha anche senso dell’umorismo. Alla Azarenka che le faceva i complimenti e si augurava di ritrovarla presto in una finale, ha detto sincera e birichina: “Mi complimento con te, ma no, grazie, me lo eviterei volentieri, è stato troppo duro giocare con te stavolta”. E commentando il fatto di essersi accasciata sul campo dopo il trionfo, ha spiegato maliziosa: “Ho pensato a tutte le volte in cui ho visto i grandi giocatori crollare a terra e guardare in alto verso il cielo. Ho sempre voluto vedere quello che hanno visto loro”. Per lei c’era molto di più, c’erano anche i volti di Breonna Taylor, Elijah McClain, George Floyd, Ahmaud Arbery, Trayvon Martin, Philando Castile e Tamir Rice che le sorridevano. Senza mascherina.
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