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Campioni internazionali

A tu per tu con Martina Trevisan: “Parigi? Un traguardo e un inizio”

Al rientro in Italia l’azzurra si racconta e rivive il percorso che l’ha portata fino a quarti di finale al Rolad Garros e tra le prime 100 del mondo. “Mi ispiro a Flavia Pennetta anche se il mio tennis assomiglia di più a quello della Vinci”. “Adesso lo Slam sogno di vincerlo”. Un augurio che ha anche tatuato sulle braccia…

di | 11 ottobre 2020

#sorridere. La prima volta che Martina Trevisan si trova di fronte al plotone delle interviste è all’insegna di quel suo modo unico di tirare i colpi che l’ha portata fino a quarti di finale del Roland Garros. Servizi, diritti e rovesci tirati con il sorriso sulle labbra in un crescendo fantastico che dalle qualificazioni l’ha fatta salire tra le prime otto del campionato mondiale su terra battuta. E quando le chiedono un’hastag che la rappresenti la sua risposta è istantanea: #sorridere.

Il punto d’incontro è la sede milanese di Le Coq Sportif, lo storico marchio francese col galletto che la sponsorizza, rientrato di prepotenza sul mercato italiano dopo un periodo in cui lo si era notato più che altro sulla maglia di Richard Gasquet. Lì, sulla riva sinistra del Naviglio, proprio di fronte ai campi da tennis della Canottieri Milano, Martina arriva accompagnata del coach di sempre, Matteo Catarsi. E tutto è pronto per la trafila delle interviste.

I primi sorrisi, con quegli occhi scuri brillanti dietro la mascherina, sono per le ragazze di Le Coq Sportif, che la reclamano per una foto di gruppo. Poi tocca ai giornalisti e le domande arrivano a raffica ma spesso si assomigliano. Quando non si ripetono. Lei, che a queste situazioni non è avvezza, si fa trovare pronta. Sorridente e sicura. Come in campo.

“Sono sempre stata molto agguerrita- esordisce – lo sono in tutte le cose sin da piccola. Avevo una partita in sospeso con il tennis agonistico, da quando mi fermai a 16 anni. Ora si è chiuso un capitolo del mio libro. Parigi è insieme un traguardo e un inizio”.

Con chi hai festeggiato per primo?

“Mio fratello Matteo è stato il primo che mi ha chiamato, come sempre. Ancora non ho festeggiato. Devo riprendermi”.

Come si batte l’anoressia?

“Bisogna farsi aiutare, chiedere aiuto. All’inizio mi sentivo invincibile. Poi mi sono resa conto che da sola non sarei riuscita a migliorare, a risolvere il problema”.

Come cambia ora la tua vita?

“ E’ una nuova vita. Un nuovo capitolo della mia carriera tennistica. Questo torneo ha cambiato un po’ la prospettiva. Ora con il mio team cercheremo di organizzare bene il 2021. Ci sarà da lavorare”.

Qual è il tuo punto di forza?

“La tenacia. Sono lucida in campo, mi do meno colpe e cerco di stare nel presente”.

Come mai a 16 anni avevi deciso lasciare il tennis?

“Lasciare il tennis agonistico in quel momento era la soluzione. Devo ringraziare una psicologa che mi è stata molto dietro”.

Ti definiresti coraggiosa?

“Sì”

Hai paura di poter ricadere in certe situazioni o stati d’animo?

“Paura? Esiste, ma col discorso si andrebbe troppo… all’interno”.

A chi ti ispiri?

“Per me Flavia Pennetta è fonte di ispirazione dentro e fuori dal campo. Che scelta ha fatto proprio nel giorno del massimo trionfo...”.

Qual è il tuo sogno?

“Lavorerò duro per migliorare la mia posizione. O per rimanere almeno dove sono arrivata. Visto che sono arrivata nei quarti in uno Slam, il sogno adesso è vincerne uno”.

Ti senti cambiata dopo questo Roland Garros?

“Martina non è cambiata. Non me lo aspettavo un Roland Garros così, mi sono stupita. Martina ora è molto più consapevole nel campo da tennis. Il tennis è il mio lavoro, è un posto dove mi sento bene”.

Fine della raffica. Martina Trevisan tira il fiato. Il primo set l’ha portato a casa.

                                                 *  *  *

Ora vengono le foto e poi finalmente, per noi, il momento di fare due chiacchiere in disparte. La chiamano “one to one”: la prendiamo come un’opportunità per rivivere insieme a lei questo percorso fantastico, questa prima im che non si aspettava. E di proiettare tutto al futuro.

Torniamo al giorno in cui hai deciso di riprendere a giocare: un momento preciso? Un pensiero preciso? Si è parlato dui una tua telefonata a Tirrenia nel febbraio del 2014…

Forse su Facebook avevo scritto “A New Beginning”. Non mi ricordo in effetti un giorno preciso. Diciamo che ci sono stati tanti giorni in cui mi pensavo sempre più vicina alla ripresa. Non c’è stato un mattino in cui ho pensato: adesso riprendo. In realtà non è stata una telefonata. Era il periodo in cui insegnavo. Stavo andando a fare una lezione a un corso adulti e quel giorno Giancarlo Palumbo, che è il responsabile del Centro tecnico FIT di Tirrenia, era venuto al Tennis Pontedera per un lavoro legato alla Macroarea. Quando me lo sono trovato lì, mi è venuto spontaneo chiederglielo. Mi ricordo che quel giorno ero stata molto sul vago: 'A titolo informativo, se mi venisse in mente di riprendere....' E’ stata una cosa che stava maturando e il caso ha voluto che quel giorno mi trovassi proprio Giancarlo Palumbo al circolo”.

Ripartire da Tirrenia viene spontaneo: il Centro è a 20 minuti da casa di Martina.

E’ un posto ottimo per noi per allenarci, con tante superfici diverse – conferma il coach, Matteo Catarsi, che è lì, silenzioso in disparte nello show-room, a osservare la sua giocatrice che brilla sotto i riflettori, alle prese con le prime performance da “centro dell’attenzione mediatica”. Ma torniamo a lei.

A proposito di ripartenza: avevi affrontato il 2020 con un programma che tradisce una certa ambizione: primo torneo a Shenzhen, poi l’Australia…Che obbiettivi avevi?

Avevo girato tanto anche nel 2019, per cercare di fare esperienza, di viaggiare. Non volevo rimanere solo in Europa. Il primo obbiettivo era entrare tra le prime 100, avevamo lavorato pensando a questo. Mancava forse un po’ di consapevolezza da parte mia, ma quello è l’obbiettivo e il sogno un po’ di tutte le ragazze che riescono ad arrivare a un certo livello. Quando sei tra le prime 200, pensare alla top 100 è naturale. Ci stavo lavorando anche come preparazione mentale”.

Agli Open d’Australia ti sei qualificata per il main draw. Era un segnale?

Sì, è stato un segnale. Da quello Slam mi sono arrivate sensazioni molto positive. Le qualificazioni erano state tre partite difficili, anche a livello emotivo. Fare il passo di riuscire a entrare in tabellone è stato importante. Nel 2018 ci ero arrivata vicino sia al Roland Garros che agli Us Open ma poi l’emotività mi aveva sempre condizionato. Aver fatto centro quest’anno era stato proprio un segno positivo”.

E al primo turno, contro Kenin, che poi avrebbe vinto il torneo, giocò il primo set assolutamente alla pari” mi sussurra il coach da dietro la mascherina.

Poi c’è stata la Fed Cup. Avete giocato bene, avete battuto tutti…

Sì è stata una settimana intensa. Il clima della squadra è bello e poi c’è Tathiana (Garbin n.d.r.) che è una persona che conosco molto bene e sento vicina a me. Anche con le altre ragazze ci conosciamo bene, Elisabetta, Jasmine, Giulia, Sara. Siamo un bel gruppo. Prima che essere colleghe siamo amiche, quandi è stato anche proprio piacevole passare una settimana insieme a loro”.

E a proposito di gioco di squadra, tu sei anche un’ottima doppista. Quando c’era da mettere giù la coppia più solida, il tuo nome c’era sempre…

Il doppio mi è sempre piaciuto, sin da piccola. Abbiamo provato con Sara Errani a Roma per due anni e abbiamo giocato molto bene. Certo, lei è una compagna di doppio desiderabile da tutto il mondo, perché ha vinto tutto. Mi ricordo che ero emozionatissima quando scendevo in campo con lei”.

Tu, da mancina, giochi a sinistra?

“Dipende. Di solito, sì. Però mi pare che qualche volta con Sara giocassi a destra. Dipende dalla situazione".

Dopo la sospensione dovuta al lockdown, eccoci a un’altra ripartenza: primo torneo i Campionati Italiani Assoluti a Todi. Sei arrivata in finale e lì ti sei infortunata. Che cosa è successo esattamente?

E’ stato un principio di stiramento al semi-membranoso della coscia destra (un muscolo posteriore e mediale n.d.r.). Per fortuna mi sono fermata subito nella partita. Mi è bastato poi una settimana e mezza di riposo, quasi due, perché non era uno stiramento vero e proprio anche se c’era un pochino di edema, qualche fibra era ‘partita’. Poi ho ripreso ad allenarmi per il Wta di Palermo”.

Il torneo della ripartenza mondiale: un buon torneo per te, sei arrivata addirittura in finale in doppio…

Sì, insieme a Elisabetta Cocciaretto. Ma anche in singolare ho giocato bene. Ho vinto due turni nelle qualificazioni e poi ho perso con la slovena Juvan, una giocatrice rispettabilissima che al primo turno del tabellone principale ha battuto la Vondrusova, n.18 del mondo”.

Avevi cominciato a battere giocatrici vicine alle 100: hai dato 6-2 6-0 alla russa Gracheva, che era n.101. Poi ci sono state le finali di Serie A. E lì è andata meno bene: con il Tc Prato avete perso il derby toscano contro Lucca.

Sì, mi è dispiaciuto ma può capitare. Mi è dispiaciuto perché il TC Prato per me è come una seconda casa, ci gioco da quando ero under 10. Comunque di scudetti ne abbiamo vinti molti…”.

Si arriva a Roma, dove perdi con la giapponese Misaki Doi, n. 80 del mondo, in tre set…

E’ stata una partita in cui ho avuto molte occasioni ma, anche lì, mi sono fatta un po’ prendere dall’emozione, dalla tensione. A livello tennistico è stata una buona partita ma non l’ho giocata come avrei voluto”.

Eccoci Parigi: come ci sei arrivata? Con che stato d’animo?

C’ero rimasta male dopo quella sconfitta con la Doi a Roma. Ho sfruttato la negatività di quel momento per migliorare. Quella partita mi è servita. Mi ha fatto arrabbiare ma di una rabbia positiva”.

Vinci tre turni in qualificazione e passi. Entri in tabellone. Un’altra piccola impresa che però ti era già riuscita in Australia….

Ero felice. Perché comunque non è una cosa scontata superare le qualificazioni in uno Slam. Sono tutte forti quelle che giocano e non è facile”.

Però tra questo e arrivare ai quarti… Al primo turno batti Camila Giorgi che si ritira nel secondo set per un infortunio.

Anche se la partita è finita in quel modo mi ha dato sensazioni importanti. Da come l’ho preparata, a come sono entrata in campo: sentivo che c’era qualcosa di diverso. Era cambiato qualcosa. Mi è dispiaciuto che non abbiamo potuto finirla però già quel giorno io mi sentivo, e mi vedevo in campo, diversa affrontando una giocatrice come Camila”.

Poi il successo così tirato contro Cori Gauff: non è stato questo il momento di svolta?

Mmm, non è che le cose svoltano in un solo momento. Credo che quando si vincono partite come quella come contro Gauff tutto dipenda da un lavoro che vien da lontano: sennò non scatta un certo modo di affrontare queste situazioni. E’ un lavoro a livello mentale cominciato tanto tempo fa, oltre all’aspetto tennistico e fisico”.

C’è stato un momento particolare di quel match, che ha lasciato un segno?

“Beh, sul 5-3, 40 pari, quella palla sua che era nettamente fuori… Però sono rimasta lì, ho accettato subito la decisione. Sono stata un po’ a discutere ma sapevo che l’arbitro ormai l’aveva chiamata ‘buona’ e c’era poco da fare. Il fatto di averlo accettato e di non essermi focalizzata su quel punto lì, a ripensarci ora, è stata la chiave. Ne ho riparlato anche con il mio maestro dopo al partita e mi domandavo: ma come ho fatto a non arrabbiarmi in quel momento, su quella palla? Perché era ‘fuori' e non sull’ 1-0 al primo set. E’ stato un momento molto particolare”.

Ti sei resa conto che sorridevi? Colpivi sorridendo, persino mentre contestavi quella palla avevi un mezzo sorriso?

“Ma, non saprei (ride n.d.r)”

Ci sono le foto…

Ci credo, ci credo. Ripeto: è un lavoro che ho cominciato un bel po’ di tempo fa. Cerco di non colpevolizzarmi per quello che succede dentro il campo e di non focalizzarmi su una singola pallina ma di pensare invece che in una partita ce ne sono tante di palline. Cerco di alleggerire la situazione perchè è già pesante di per sé”.

Il maestro Michelangelo Dell’Edera, che ti conosce molto bene e conosce altrettanto bene le campionesse della generazione precedente, ti ha paragonato a Roberta Vinci, come tennis. Se ci mettiamo anche la grinta e l’esplosività, forse c’è anche qualcosa di Sara Errani. Tu come ti vedi?

Essere paragonata a campionesse come la Vinci o la Errani non mi può fare che molto piacere. Io ho una forte stima per le ragazze che ora non giocano più ma che hanno fatto delle cose incredibili per il tennis. E mi immagino che per arrivare a fare quello che hanno fatto devono aver lavorato tantissimo su tutti gli aspetti di questa vita. Io sono mancina, quindi mi vedo anche un po’ atipica rispetto a loro. In effetti posso ricordare un po’ il tennis di Roberta perché aveva molte variazioni. Non ho il suo back di rovescio ma qualche volta lo gioco…”.

C’è qualche giocatrice o giocatore, guardando a livello internazionale, cui ti senti simile?

No, non in particolare. Mi sento una che gioca come… Martina”.

E’ un momento in cui il tennis femminile non ha una leadership chiara. Tante giocatrici ad alto livello esprimono soprattutto un tennis basato sulla potenza. Il tuo è un tennis ricco, completo, vario. Dove la tecnica è al servizio della tattica, ci sono tante variazioni. E c’è la tua personalità. Non pensi che potresti essere, adesso che sei più consapevole, un elemento nuovo in questo scenario a livello assoluto?

Perché no? E’ probabile. Il tennis di oggi è fatto molto di potenza. Di servizi potenti seguiti da un primo colpo molto potente. E anche da fisicità molto performanti: giocatrici alte, muscolose. E se non muscolose comunque molto alte. Io non avendo questo tipo di fisico devo cercare di giocare un tennis con più astuzia, furbizia. Ho sempre lavorato su questa variazione di colpi. Ora sto lavorando tanto sulla smorzata, sul venire in avanti in controtempo. Come sto lavorando comunque molto anche sul servizio, per renderlo più incisivo. Con il mio corpo devo cercare di sopperire alla forza, alla potenza che tante mettono grazie al fisico”.

Nel tennis ora però ci sono anche gli Schwartzman, un metro e 70, non solo gli Alexander Zverev da un metro e 98…

Di Schwartzamnn tra gli uomini ce ne sono pochi. Ce ne sono di più tra le donne, dove l’altezza non è ancora un fattore di dominio assoluto. Comunque, con un grande lavoro anche a livello fisico, 'ci si può fare'. Sicuramente”.

Per l’ultima domanda, una curiosità più personale: hai dei tatuaggi sulle braccia. Due disegni e una scritta: ‘ad maiora’. Che significato hanno?

A me piacciono molto i tatuaggi. Piccolini, nelle braccia. Sul sinistro ho il disegno di un cuore, nella sua forma anatomica. Sul destro quel cuore si trasforma in una rosa. “Ad maiora” me lo feci scrivere nel periodo in cui lavoravo al tennis come maestra. Avevo ripreso con la racchetta. Ero rientrata nel mondo del tennis. Era una specie di augurio che mi ero fatta, verso cose migliori. Verso cose più grandi”.

 Un augurio o un presagio? Il tatuaggio resta. Il meglio deve ancora venire. #Sorridere.

 

 

 

 

 

 

 

 


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