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Campioni internazionali

Così Roger diventò Federer: la vittoria su Sampras e il lutto che lo cambiò

Roger Federer ha annunciato che la Laver Cup sarà il suo ultimo torneo, la chiusura di una carriera straordinaria: 20 titoli del Grande Slam, 103 tornei vinti e 237 settimane consecutive da n.1 del mondo. Ripercorriamo insieme la sua storia di formazione, dai primi colpi di racchetta fino alla consacrazione dei primi trionfi, in sei capitoli quotidiani, fino a domenica 25 settembre

di | 25 settembre 2022

Roger Federer stringe la mano a Pete Sampras dopo averlo battuto a Wimbledon nel 2001 (Foto Getty Images)

Roger Federer stringe la mano a Pete Sampras dopo averlo battuto a Wimbledon nel 2001 (Foto Getty Images)

Roger Federer ha annunciato che la Laver Cup sarà il suo ultimo torneo, la chiusura di una carriera straordinaria che insieme a 20 titoli del Grande Slam, 103 tornei vinti complessivamente e 237 settimane consecutive da n.1 del mondo, ha cambiato per sempre l’immagine del tennis, diventato popolare come mai prima grazie all’eleganza del suo stile di gioco e al suo modo di comportarsi dentro e fuori dal campo. Nei giorni dell’addio all’attività agonistica ripercorriamo insieme la sua storia di formazione, dai primi colpi di racchetta fino alla consacrazione dei primi trionfi, in sei capitoli quotidiani, fino a domenica 25 settembre.

Capitolo 1: gli anni irrequieti delle elementari

Capitolo 2: calcio o tennis? Il Centro Tecnico chiama

Capitolo 3: lo junior brillante che va già in Davis

Capitolo 4: la scelta dei coach e l’incontro con Mirka

Capitolo 5: il primo trionfo e la svolta ‘zen’

 

Capitolo 6

Riprendiamo il racconto da Federer-Sampras, ottavi di finale di Wimbledon 2001. 7-6 5-7 6-4 6-7 7-5 è il punteggio di questo storico incontro, durato 3 ore e 40 minuti e concluso con un’esecuzione simbolica. Il marchio di fabbrica del tennis di Sampras è il servizio a uscire da destra, il lato dei punti pari. Sul 5-6 del quinto set, 15-40, primo match point a favore di Federer, Sampras va sul sicuro, batte forte lì. Federer è come se lo avesse sempre saputo. E’ pronto a chiudere con una risposta fulminante di diritto.

Chiudere l’era-Sampras non basta per conquistare subito il Tempio. Nei quarti Roger subisce il classico tennis ‘serve and volley’ dell’eroe di casa Tim Henman, il giocatore che gli inglesi aspettavano dagli Anni Trenta, quello che sembra in grado di conquistare un successo casalingo che manca dal 1936, il momento d’oro di Fred Perry, il campione eponimo delle magliette ancor oggi di gran voga. Henman batte Federer in quattro partite molto tirate ma poi deve cedere al talento folle di Goran Ivanisevic che vincerà il torneo (dopo aver perso tre volte in finale) e chiuderà praticamente quel giorno stesso la sua carriera.

Quella del nostro svizzero è invece appena cominciata. Uscito un po’ malconcio, problemi agli adduttori, dalle fatiche londinesi, deve rallentare prima degli Us Open, dove comunque conferma il suo avvicinamento al vertice raggiungendo gli, ottavi dove lo ferma Andre Agassi, allora n.2 del mondo. Chiude l’annata al n.13 del mondo con un solo rimpianto finale: gli sfugge ancora una volta il torneo di casa, il Davidoff Swiss Open di Basilea. A rompergli le uova nel paniere in finale, ancora Tim Henman, l’inglese che viene sempre a rete.

Il servizio di Pete Sampras, 14 Slam all'attivo, e quello di Roger Federer, 20 Slam (Foto Getty Images)

Il 2002 si apre con una vittoria, al torneo di Sydney che precede gli Open d’Australia. Una prestazione super in Coppa Davis non basta per espugnare Mosca, dove viene appositamente preparato un campo in terra battuta pensandola indigesta agli svizzeri: Roger batte Safin e Kafelnikov, nei suoi due singolari. Il terzo punto non arriva però dal doppio con Marc Rosset, nè dai due singolari di Michel Kratochvil.

Così il rapporto di Federer con l’impegno di Coppa Davis resta sempre forte ma controverso. Intanto la sua strada verso la vetta prosegue. Gli sfugge il bis al torneo di Milano che deve concedere in finale proprio a Davide Sanguinetti, che tre anni prima aveva battuto esordendo in Coppa Davis, ma arriva per la prima volta in finale al Masters Series di Miami, considerato il torneo più importante dopo i quattro del Grande Slam. Perde nel match clou con Andre Agassi ma si vendica di Henman (allora n. 6 del mondo) al secondo turno e mette sotto Hewitt (n.5) in semifinale.

È a un passo dalla top 10, l’elitario club dei primi dieci giocatori del mondo. Entra a farne parte pienamente nella seconda metà di maggio, dopo uno scivolone al Masters Series di Roma, dove perde al primo turno con l’azzurro Andrea Gaudenzi (oggi presidente dell’ATP).

Si rifà infatti la settimana successiva ad Amburgo, l’ultimo Masters Series prima dell’appuntamento con il Roland Garros di Parigi. Vince, cogliendo il primo successo in questa fascia di 9 tornei di assoluta elite, ma soprattutto gioca quella che sente essere la più grande partita della sua vita (fino a quel momento) annientando letteralmente un fenomeno come Marat Safin, allora n. 4 in classifica. 6-1 6-3 6-4: se la terra battuta doveva essere la superficie più indigesta all’emergente Roger, quella fenomenale dimostrazione di forza fu un campanello d’allarme per tutti gli aspiranti al primato.

Roger Federer e Marat Safin protagonisti della finale dell'ATP Masters 1000 di Amburgo nel 2002 (Foto Getty Images)

Dopo Amburgo Roger Federer è n. 8 del mondo. I major, cioè gli Slam, gli sbattono però ancora la porta in faccia. A Parigi è l’imprevedibile genietto del tennis marocchino, Hicham Arazi, a disorientarlo, eliminandolo al primo turno.

A Wimbledon è vittima, ancora al primo turno, del diciottenne gigante debuttante Mario Ancic, altro grande talento di Croazia. Non gli rimase che prepararsi per la stagione americana sui campi duri in vista degli Us Open.

Ma proprio mentre perdeva al primo turno del Masters Series di Toronto contro l’argentino Guillermo Canas (che avrebbe poi vinto il torneo) arrivava dal Sud Africa una notizia drammatica che avrebbe cambiato per sempre la sua visione del mondo e della vita. Peter Carter, il suo allenatore di tutta l’età giovanile, quello che gli era stato vicino da quando aveva 8 anni fino alla partenza per l’avventura professionistica, era morto, vittima di un incidente stradale durante la sua luna di miele in Sud Africa.

Il tecnico australiano Peter Carter con Roger Federer

Quando negli spogliatoi Roger ebbe la notizia rimase folgorato. Oltre al legame affettivo con quell’australiano misurato ma solare, conosceva bene la sua storia e l’ingiustizia del destino pareva insopportabile.

Carter si era innamorato di Sylvia von Arx, impiegata al Paradise Indoor tennis di Basilea, ma poco tempo dopo la nascita del loro legame a Sylvia era stato diagnosticato un tumore al cervello. Per fortuna dopo una difficile e lunga battaglia nel 2001 il male pareva sconfitto. I due si sposarono, decidendo di rimandare all’anno successivo il viaggio di nozze, quando Sylvia sarebbe stata nel pieno delle forze.

Così fu, ma la sorte che aveva risparmiato la moglie si accanì con il marito. La jeep coperta solo da un telo su cui viaggiava si ribaltò, nel disperato tentativo di evitare l’impatto con un minibus che viaggiava in senso contrario all’interno del Kruger National Park. Carter e l’autista non ebbero scampo.

Roger Federer e la squadra rossocrociata con la tuta di Peter Carter in occasione di Marocco-Svizzera di Coppa Davis nel 2002

La vicenda fu davvero uno choc per il giovane Federer. La vita e il tennis gli ripassarono tutti davanti agli occhi in quei giorni in cui decise di abbandonare i tornei americani per tornare a casa, per andare al funerale di Carter. Se un anno prima aveva deciso autonomamente di tenere un altro comportamento in campo, quello che seguì alla perdita di una persona così vicina e così importante fu la sua definitiva maturazione come uomo.

Reagì concentrandosi sulla sua crescita tennistica con maggiore consapevolezza e responsabilità, quello che Carter gli aveva sempre chiesto e cercato di insegnare. E volle salutare a suo modo il suo primo allenatore, al tempo team manager della squadra svizzera di Coppa Davis. Fu leader supermotivato della formazione che a fine settembre dovette andare a disputare il play off per rimanere nella massima divisione a Casablanca, contro un Marocco fortissimo sulla terra battuta grazie ai suoi migliori tennisti di sempre Youness El Aynaoui, n.19 del mondo in quel momento, e Hicham Arazi (best ranking n.22 ATP).

Federer e Marc Rosset scesero in campo con un solo nome ricamato sulle spalle della tuta: Carter. E Roger, come in trance, concesse solo sei miseri game in tre set di partita ad Arazi nel primo singolare; in doppio con George Bastl ne lasciò per strada nove e nella terza giornata El Aynaoui non potè mettere assieme che altri sei game in tutto. Una prestazione impressionante.

Peter Carter sarebbe però rimasto sempre nei suoi pensieri. Da allora, ogni anno in cui ha partecipato agli Open d’Australia, compresa la straordinaria edizione del suo ritorno grande ritorno agonistico nel 2017, Roger ha voluto ritrovarsi con i genitori di Peter Carter, Bob e Diana, e ogni anno in dicembre ha fatto avere loro biglietti aerei, prenotazione alberghiera, voucher per le courtesy car e biglietti per tutta la durata del torneo in modo da poterli rivedere e poter passare più tempo possibile con lor).

Il Federer che poi vinse il torneo di Vienna e si qualificò per la prima volta per la Tennis Masters Cup, il torneo di fine stagione che mette a confronto gli otto giocatori più forti del mondo, era davvero un'altra persona. A Shanghai vinse tutte le partite del girone prima di perdere una semifinale tiratissima con il solito Lleyton Hewitt (7-5 5-7 7-5).

Alla partenza della stagione 2003 si sarebbe presentato come n.5 del mondo. E lì cominciava davvero tutta un’altra storia. O meglio una leggenda, impreziosita da 20 titoli del Grande Slam, il primo dei quali nel tempio del tennis di Wimbledon. (Fine)

Peter Lundgren, Roger Federer, Lynette Federer (mamma di Roger), Mirka Vavrinec, Pavel Kovac (fisio) con il trofeo di Wimbledon 2003 (Foto Getty Images)

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