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Il 19enne murciano a Valencia per guidare la squadra spagnola nelle Davis Cup Finals, è ormai leggenda. Tutti voglioso sapere tutto su di lui e sulla sua mentalità vincente. Per esempio come ha fatto a darsi la carica prina della finale degli Us Open
di Enzo Anderloni | 14 settembre 2022
Cinque set contro Marin Cilic negli ottavi, cinque set (e un match -point annullato) contro Jannik Sinner nei quarti, cinque set contro Frances Tiafoe in semifinale. Come ha fatto Carlos Alcaraz ad arrivare ancora così carico il giorno della finale degli Us Open contro Casper Ruud? Lo racconta il giornalista cileno Sebastian Varela, molto ben introdotto nel team dello spagnolo: Carlos ha passato la serata sul divano di camera sua con il fratello maggiore Alvaro guardando “300”, il famoso film di Zack Snyder che racconta lo strenuo combattimento dei 300 spartani che fermarono l’esercito persiano alle Termopili nel 480 a.c.
Ed eccolo così, il giorno dopo, eroico sull’Arthur Ashe a condurre il suo combattimento vincente contro Casper Ruud. E’ uno che ha bisogno di far crescere l’emozione dentro di sé, Carlos Alcaraz. Uno che ha bisogno di sognare e di divertirsi nelle sue battaglie sul campo.
E l’ispirazione la trova anche davanti allo schermo, insieme ai suoi famigliari che lo conoscono bene e gli danno i suggerimenti giusti: anche “Il gladiatore” di Ridley Scott è passato in tv nelle serate libere di Carlos, che è arrivato comunque a New York con lo spirito giusto, liberatosi nell’estate americana di un peso che stava cominciando a opprimerlo. Quello delle aspettative. La pressione di dover vincere ora che non era più il nuovo grande talento sbocciante ma uno dei primi giocatori del mondo che tutti si aspettavano di veder trionfare con la vitalità e il tennis spumeggiante che gli aveva procurato i primi grandi successi: Miami, Barcellona, Madrid.
Il grande mentore dell’accademia Equelite Antonio Martinez Cascales, fondatore insieme a Juan Carlos Ferrero, racconta di aver colto un momento, in un torneo delle Us Open Series, in cui dopo una splendida volée vincente Carlos invece di esultare aveva abbassato la testa e sbuffato. E aveva mandato la foto di quell’attimo allo stesso Carlos e a Ferrero. Non si poteva reagire così’ dopo un colpo del genere. Carlos doveva ritrovare il suo vecchio (si fa per dire) se stesso, divertirsi, entusiasmarsi ed entusiasmare come in primavera. Sorridere.
La stessa cosa gli ha detto papà Carlos prima della finale degli Us Open:”Vai e divertiti, certo che è un match importante ma è comunque una partita di tennis e non saremo sempre dalla tua parte comunque vada”.
E Carlito ha ricominciato a sorridere. Aveva ripreso a farlo e a divertirsi sin dal primo turno a New York. Aveva ritrovato quella serenità e quell’atteggiamento che lo fanno sempre essere così carico. Voglioso di creare tennis e rincorrere ogni palla.
Carlito il gladiatore
Divertirsi e compiere imprese eroiche, da spartano o gladiatore: ecco il fuoco che arde dentro il più giovane numero uno di sempre, perlomeno da quando esiste la classifica computerizzata. A poco più di 48 ore dal trionfo newyorkese c’è un’altra grande causa per cui battersi da condottiero: la Coppa Davis. Alcaraz è già sbarcato ieri a Valencia dove era atteso come il messia non solo per il trionfo americano ma anche perché la quadra iberica, priva di Rafael Nadal e di Pablo Carreno Busta, ha bisogno assoluto di lui per superare il girone e qualificarsi per la fase finale di novembre a Malaga. Deve trascinare Roberto Bautista Agut alla vittoria contro una squadra solida come la Serbia, pur priva di Novak Djokovic già nel match di esordio di oggi. E poi ci saranno i confronti con il Canada di Felix Auger-Aliassime e la Corea del Sud operaia che quasi quasi ieri faceva il colpaccio con i canadesi.
Il Padiglione comunale Fuente de San Luis, con i suoi 9000 posti, non è come le Termopili. Krajinovic, Kecmanovic e Lajovic non sono l’esercito persiano. Carlos Alcaraz però continua a sognare, come nei film.