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Come nel 2015 contro Nadal, Fognini firma una rimonta da due set a zero sotto, guadagnandosi il secondo turno contro l’Extraterrestre del tennis. Memorie della grande rimonta di quell’anno a New York in prospettiva del 18esimo faccia a faccia: se quel diritto lungolinea dovesse funzionare ancora…
di Vincenzo Martucci | 31 agosto 2022
Da Rafa a Karatsev e ritorno, dalla straordinaria rimonta contro Nadal degli Us Open 2015 a quella, contro Karatsev degli US Open 2022 che lo ripropone alla sfida contro Nadal sembra che il tempo si sia fermato. Certo, Fabio Fognini è un po’ più lento e un po’ più segnato dal tempo, come tutti, oggi che ha 35 anni e una famiglia sulle spalle, oltre a 700 singolari e 400 doppi in 18 stagioni da professionista. Ma, a tratti, da campione a singhiozzo, inventa tennis come allora e si esalta come pochissimi altri. Figurarsi com’è eccitato dalla prossima sfida contro l’Extraterrestre del tennis.
NIGHT SESSION
Allora, in quegli indimenticabili US Open di 7 anni fa che sono passati alla storia per la finale tutta italiana fra le amiche Flavia Pennetta e Roberta Vinci, “Fogna” si regalò i primi ed unici ottavi nell’ultima prova stagionale dello Slam che lui troppo lungo ha creduto tabù perché si disputa sul cemento, superficie che ha a lungo sottovaluta. Per compiere la sua impresa cercò un avversario straordinario, la sua antitesi, il campione della regolarità e dell’impegno totale, Rafa Nadal da Manacor, che conosce benissimo come sua moglie Flavia e che ha battuto ben tre volte sulla superficie prediletta da entrambi, quella che ha reso immortale il mancino di Spagna. Di più: per far impazzire il famoso avversario e la feroce folla della Grande Mela, aveva fatto ricorso alle condizioni estreme: sotto le mille luci della città che non dorme mai e si esalta proprio nelle Night Session del suo Slam, e sotto di due set a zero.
RIMONTA
I comuni mortali vedevano quel 3-6 4-6 contro il Maciste di Maiorca come una montagna ormai inarrivabile, peraltro contro un avversario così roccioso che solo una volta, nella finale di Miami 2005, contro Roger Federer, aveva perso avanti due set a zero.
Non c’era alcun segnale che gli alti e bassi di Fabio si trasformassero in continuità di punteggio e quindi in una partita equilibrata. L’italiano strappava qualche applauso per le sue fiammate, lo spagnolo si prendeva le fette di torta. La gente non sapeva, non poteva sapere che quel diavolo di Arma di Taggia nasconde da sempre dentro di sé la forza e la sfrontatezza del suo talento, il timing diverso, le soluzioni imprevedibili, il diritto longilinea che tanto dà fastidio ai mancini come la resistenza e la tecnica nella diagonale di rovescio, eppoi, oltre a questo bagaglio naturale, la super-fiducia nei propri mezzi dopo i due successi stagionali a Rio e Barcellona contro il più forte terraiolo di sempre che avrebbe battuto anche a Montecarlo.
Così, all’improvviso, nella bellissima notte di tennis di New York, quando la luce azzurra sembrava doversi spegnere inesorabilmente, si era invece prima ravvivata e poi accesa sempre più fino ad abbagliare Rafa e tutto il pubblico, schierato per il favorito durante tutta quella dura battaglia di 3 ore e tre quarti del 4 settembre 2015.
ALL’ARMA BIANCA
All’improvviso, come per miracolo, Fabio aveva smesso di alternare sullo stesso colpo errori madornali e vincenti micidiali, aveva preso a dominare gli scambi di media durata (50-33 da 5 a 8 colpi), aveva fatto lui la partita, con 57 errori ma anche 70 vincenti e, soprattutto, s’era buttato a rete a più non posso, ottenendo 39 punti su 54 discese.
Felice poi all’inverosimile: “E’ una delle mie vittorie più belle. Forse proprio la più bella. Ho cercato di restare sempre concentrato al massimo e di pensare al mio tennis. E’ stata una gran bella vittoria pure dal punto di vista mentale, ho gestito bene le sensazioni, le emozioni in campo, i momenti delicati. Una goduria”.
Dopo di che, come a Rio e a Barcellona, aveva perso la partita successiva e, negli anni, ha replicato la parte, da interprete ideale di dottor Jekyll e mister Hyde del tennis, ripetendosi ancora e ancora, in negativo come in positivo. Perché, con quella con Karatsev di martedì, le sue rimonte da due set a zero sotto sono arrivate a 9. La prima al Roland Garros 2010 contro Gael Monfils (al terzo turno perse subito dopo in 3 set con Wawrinka) e, sempre in quell’anno, a Wimbledon con Michael Russell (subito dopo finì ko con Benneteau), ancora a Wimbledon 2014, recuperò contro Kuznetsov, agli Australian Open 2020 ha rimontato Opelka, in coppa Davis nel 2017 beffò Guido Pella, e agli US Open si è esaltato altre due volte rovesciando match ormai più che compromessi contro Roger Vasselin nel 2012 e contro Gabashvili nel 2016.
DA RAFA A RAFA
Tutti notano di più l’attitudine in campo e certe reazioni negative davvero troppo evidenti, ma Fabio è un ragazzo, buono e sensibile, ed è talmente orgoglioso che due anni fa si è operato ad entrambe le caviglie per poter vivere al meglio qualche altro scampolo di carriera, all’altezza dei giovani rampanti del Rinascimento italiano, puntando anche a vincere un’altra coppa Davis, ora che la squadra si è finalmente allargata a più personaggi di livello mondiale, da Berrettini a Sinner da Musetti a Sonego.
Ultimamente, ha sofferto molto la mancanza di risultati e quindi di stimoli. Che per lui sono ancor più fondamentali, a 35 anni, con una famiglia a casa che l’aspetta. Per cui sarà carico a mille in vista del remake con Rafa, col quale ha perso 13 vuole su 17, ma che può vantarsi di aver battuto 4 volte, 3 su terra, una sola sul cemento proprio in quella favolosa notte di New York del 2015.
Allora come adesso Rafa è motivatissimo e anche particolarmente sotto pressione: nel 2015, dopo 10 anni di fila, avrebbe voluto continuare la serie di trionfi di almeno uno Slam l’anno, che invece fu costretto ad interrompere. Adesso, pur in condizioni fisiche approssimative dopo i problemi agli addominali che si aggiungono a quelli cronici al piede e agli stress di una carriera lunga e di un gioco particolarmente usurante, vorrebbe risalire ancora una volta al numero 1 del mondo e allungare nella corsa al record Slam che guida con 22 titoli, con Djokovic a 21 e Federer a 20. Anche se, umile ma anche intelligente, da agonista ideale ed esempio di tutti, non lo ammetterà nemmeno sotto tortura.
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