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Il 23enne che sempre sul cemento Usa ha vinto il suo secondo torneo ha un gioco solido di stampo yankee ma un’indole fantasiosa e una passione profonda per il Magnifico
di Vincenzo Martucci | 14 gennaio 2021
Winston Salem 2019-Delray Beach 2021. Sulla rotta dei due titoli ATP sul cemento Usa, quando la globalizzazione era ancora il pane di questo mondo, il 23enne polacco Hubert Hurkacz è transitato per le Next Gen di Milano 2018. C’era arrivato a sorpresa, era silenzioso e attento, già granitico nel suo tennis essenziale e nelle convinzioni: "Con coach Pawel Stadniczenko ho fatto un grosso passo avanti, ora sono più sicuro in partita, non ho quei violenti alti e bassi, ho alzato il livello e batto finalmente anche i più forti”.
Superava a sorpresa il nuovo figlio di Spagna, Munar, perdeva con Tiafoe e Tsitsipas, non sembrava uno del gruppo, eppure era uno del gruppo: gli altri sapevano che era stato finalista agli Australian Open 2015 di doppio, sapevano che il ragazzone di Cracovia di 1.96 era un grandissimo lavoratore, un professionista serio e coscienzioso, un prospetto magari tecnicamente prevedibile e dalle mani ruvide ma estremamente ambizioso.
Sapevano anche, i coetanei, che aveva la passione della cucina, che significa ospitalità, generosità, ma anche creatività, curiosità, desiderio di sperimentare e di migliorarsi. Così non si sono stupiti quand’è diventato vegano, per alleggerire e velocizzare quel fisico possente, e ha preparato ai colleghi colazioni rigogliose con fragole e mille ingredienti yankee.
Tantomeno si sono meravigliati a Indian Wells 2019 quand’ha ingaggiato come coach un vecchio volpone come Craig Boynton, già guida di Jim Courier e John Isner: prima di quel tornei nei Masters 1000 non aveva vinto un match in due esperienze, quella volta in California ha superato tre top 30 di fila, fermandosi solo contro Federer nei quarti. E, subito dopo, a Miami, ha fatto anche meglio infilando Matteo Berrettini e Dominic Thiem.
“Lavoriamo nello specifico, su ogni colpo, in tutte le situazioni, meccanizzo i momenti che poi ritrovo in partita, sto facendo un lavoro prezioso”. Il ragazzo semplice, con la faccia pulita, ha le idee chiarissime: aveva iniziato il 2018 al n. 238 ATP l’aveva chiusa con la promozione fra i migliori under 21 del mondo di Milano, come numero 79, deluso da se stesso: “Ho scalato 159 posizioni in classifica, ma sinceramente, dopo aver vinto il primo Challenger a Poznan, a giugno, pensavo di entrare prima nella Top 50. Devo arrivarci in fretta”.
Ci ha impiegato un anno, nel maggio 2019, dopo i colpacci sul cemento Usa che tanto gli piace, stabilizzandosi fra i top 30, orgoglioso portabandiera del tennis maschile polacco come primo del suo paese ad aggiudicarsi un titolo ATP, a Winston Salem 2019, dal pioniere Wojtek Fibak nel 1982. “Spero proprio che tanti altri ragazzi seguano il mio esempio e che io stesso vinca ancora. Per me questo trofeo significa tantissimo”.
Determinato al massimo, sulla scia dei successi di vertice di Aga Radwanska, ha cominciato alla grande il 2020, sorprendendo nella neonata ATP Cup chi ancora non lo conosceva, ha rimontato da un set sotto Schwarzman (14 del mondo) e Thiem (n. 4) e ha lasciato appena quattro games a Coric (28), per poi arrivare alle semifinali ad Auckland.
Il Covid ha fermato il suo slancio, svelandone lati inediti, come quelli social media di un surreale video su Instagram nel quale si alza dal letto ma, saltando da un comodino e un sofa, un puff e un tavolo, non tocca mai terra. “Guardatemi su hubihurkacz, e provateci anche voi”, scherza ma non troppo, con quella espressione da mimo che nasconde pensieri profondi, almeno oggi come oggi, per il volitivo avversario sotto il traguardo di Delray Beach, Sebastian Korda. Ancor un po’ acerbo per il polacco che fa tutto giusto, magari senza fantasia, ma sempre con coraggio e sicurezza dei propri mezzi.
“E’ davvero bello essere polacchi”, afferma Hubi con malizia, felice delle tribune coperte di colori bianco-rossi e dell’inno del suo paese intonato dai connazionali, sia pur con una capienza del 25% degli spalti. “E’ stupendo rappresentare la mia Polonia e richiamare tanti tifosi di casa nei vari tornei dove gioco in giro per il mondo. Li ritrovo dappertutto e sono felice di avere accanto gente che viene a sostenermi”.
L’impresa dell’anno scorso dell’amica Iga Swiatek gli ha dato un’ulteriore spinta: “Quello che ha fatto al Roland Garros è incredibile ed è di enorme ispirazione. Vincere uno Slam senza essere testa di serie e giocare come ha fatto lei è un traino importantissimo per tutta la Polonia. Non vedo l’ora di farle le congratulazioni di persona quando la vedo agli Australian Open. Anche se sinceramente spero di salire presto in classifica per evitarmi già ai primi turno Rafa (Nadal) e Novak (Djokovic)”.
A Melbourne non ci sarà il suo idolo, Roger Federer: “Dopo che ci ho giocato a Indian Wells, mi ci sono allenato più volte, mi ha colpito per la sua disponibilità. Non che gli altri non lo siano, ci salutiamo tutti, tendenzialmente c’è una buona atmosfera, la maggior parte dei giocatori vanno d’accordo, di solito hai attorno persone positive e con una mentalità aperta. Ma certo la maggior parte dei tennisti è affascinata da Roger Federer: non costruisce barriere, anche se teoricamente avrebbe le credenziali per farlo, sin dal primo torneo in cui ci siamo incrociati, ho potuto parlare senza problemi con lui. È un uomo aperto e modesto. Mi piace davvero tanto il suo carattere”.
Un altro valido motivo per proporsi come mina vagante al primo Slam 2021.
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