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Lopez, 40 anni, dal 2019 è direttore del Masters 1000 di Madrid, ma non ha fretta di lasciare il circuito. Tanto che oggi, dopo una stagione così così che lo ha visto uscire dai top 100, prova a restare a galla ripartendo dal circuito minore. L'ennesima dimostrazione della sua passione verso questo sport
24 ottobre 2021
Ha la stessa età di Roger Federer, 40 anni compiuti, e come Roger è ancora un giocatore in piena attività. Feliciano Lopez, tuttavia, ha già cominciato la sua seconda carriera rimanendo nel mondo del tennis come direttore del Masters 1000 di Madrid, uno degli eventi principali del calendario primaverile sul rosso.
Quest'anno, il venticinquesimo (!) nel Tour, 'Feli' sul campo non ha combinato granché: un terzo turno agli Australian Open (battendo Lorenzo Sonego al termine di un match dall'andamento particolare) e un quarto di finale sull'erba di Maiorca, dove il suo serve&volley è risultato ancora efficace come un tempo. Ma per il resto poco o nulla, tanto che il ranking attualmente lo vede al di fuori dei top 100 (precisamente al numero 109), dopo aver vissuto quello status ininterrottamente dall'8 luglio 2002 al 29 aprile 2019. Una vita.
Proprio in virtù di questa discesa, Lopez ha avuto bisogno di tornare a giocare i Challenger, ma non si è fatto troppo pregare ed evidentemente non gli è parso un problema. Anzi, si è messo d'impegno come dovesse giocare un 'Mille', pur senza ottenere risultati apprezzabili: a Segovia ha raggiunto i quarti di finale, mentre ad Alicante si è arreso agli ottavi dopo aver battuto Roberto Marcora.
Qualcuno potrebbe obiettare che vederlo rischiare la sconfitta contro tal Julio Cesar Porras, argentino 23enne numero 1079 Atp, non è un bello spettacolo, ma in Feliciano prevale – di gran lunga – la passione per il gioco, quella che in fondo sta spingendo anche il suo collega Federer a fregarsene beatamente della propria carta d'identità.
“Mi piace ancora viaggiare – ha spiegato 'Feli' al sito dell'Atp – e mi sento un privilegiato a poterlo fare per lavoro. L'unica cosa che adesso mi pesa è dover aspettare tanto tempo negli aeroporti. Allora, da un po' di tempo a questa parte, cerco di arrivare con meno anticipo possibile. Quando parto da Madrid, la mia città, arrivo allo scalo di Barajas un'ora prima del volo e questo mi basta: so perfettamente dove passare per non trovare code, così riesco a evitare perdite di tempo. Durante i voli cerco di dormire più possibile, per arrivare fresco a destinazione e poter cominciare ad allenarmi senza problemi. Mentre per superare il jet lag cerco di stare sveglio più possibile, fino a quando non cala la notte. È un consiglio che, vista la mia esperienza, mi sento di dare”.
L'esperienza di un quarto di secolo passato nel circuito, evidentemente, serve. E serve anche quando si mette al servizio dei colleghi, dall'altra parte della barricata. L'esperienza del 40enne nato a Toledo come direttore di Madrid è cominciata nel 2019, e non è stato facile per lui – come per nessuno al mondo – gestire i problemi in mezzo alla pandemia.
“Restare nelle 'bolle' – ha spiegato – è stato ed è necessario, ma non è certamente la condizione ideale per esprimersi al meglio. Dobbiamo essere consapevoli che questa situazione andrà avanti ancora per un po', e cercare di adeguarci nel modo migliore possibile. Tanto da giocatori, quanto da organizzatori. Per questo, rimanere nel Tour come atleta può aiutare, serve a capire meglio le esigenze di chi cambia città ogni settimana”.
“Negli ultimi mesi, già la situazione è migliorata parecchio, e da quando abbiamo cominciato a rivedere il pubblico sulle tribune, si è avuta la sensazione di un graduale ritorno alla normalità".
"Ma bisogna avere ancora altra pazienza, bisogna capire che ognuno ha un ruolo importante e che c'è una responsabilità personale nella risoluzione del problema. Non possiamo sempre pensare che debbano pensarci gli altri”.
Con sette titoli Atp conquistati in carriera, con il numero 12 come best ranking e con quattro quarti di finale negli Slam (tre dei quali a Wimbledon), Feliciano potrebbe tranquillamente dire basta in ogni momento, e avrebbe mille motivi per poter essere pienamente soddisfatto della sua carriera. E invece continua, pur avendo già disegnato il suo futuro.
“Non avrei mai pensato di poter essere ancora qui oggi, alla mia età. Già dopo i 30, ho cominciato a pensare al mio post carriera, ma quando ho vinto il primo Queen's a 35 ho capito che non era stato un caso, che mi sentivo perfettamente in forma per andare avanti ancora. Certo che quando giochi contro ragazzi che non erano ancora nati quando hai cominciato, qualche domanda te la fai...”.
Più delle domande, tuttavia, valgono le sensazioni positive che permangono. Come i numeri da record (78 Slam consecutivi, oltre 500 match giocati nel Tour) che gli danno la consapevolezza di aver compiuto un percorso importante. Un percorso che ha ancora qualche step da aggiungere, prima dell'addio e di un approdo definitivo al ruolo di manager. Sempre col tennis come attività principale.
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