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Nuovo appuntamento con i "Miti del Foro", il viaggio di SuperTennis nella storia degli Internazionali BNL d'Italia. Ripercorriamo gli anni d'oro dell'argentina Gabriela Sabatini, amatissima dal pubblico di Roma
di Alessandro Mastroluca | 04 maggio 2022
Nel 1987, dopo otto anni, le grandi donne del tennis mondiale tornano a Roma. Finiti gli anni delle edizioni separate a Perugia o a Taranto. È una bella scommessa per gli organizzatori. Una giovanissima Steffi Graf si lamenta dell'attenzione eccessiva, dei giornalisti e dei fotografi che la inseguono mentre fa shopping. È il segno dell'attenzione che cresce per il tennis femminile anche in Europa. Per anni, il circuito WTA ha fatto breccia soprattutto negli Stati Uniti.
Ma in quel 1987 Roma riscopre le stelle del tennis, che si presentano simili alle star del cinema degli anni Cinquanta. Icone belle e fragili, con padri e madri troppo presenti, ragazze che hanno spesso lasciato la scuola e imparato a non dire una parola fuori posto nelle conferenze stampa.
Ragazze che devono reggere una pressione sempre più alta, come Gabriela Sabatini che in semifinale sorprende Martina Navratilova. Da quel momento, il Foro Italico si è trasformato in “Gabylandia”. Così recitava uno striscione diventato segno di un'epoca.
Ha una carriera da predestinata, Gabriela Sabatini. Nel 1985, a quindici anni, è già semifinalista al Roland Garros e top 10. A Roma, il suo apparire sulla scena fa scattare una corrispondenza d'amorosi sensi. È un intreccio di destini sulle terrazze del Foro. In tanti invidiano Eugenio Rossi, che l'ha frequentata per una stagione e certo non solo come allenatore. Quella semifinale al Foro contro Navratilova è l'inizio di una storia d'affetto ricambiato mai davvero finita.
“E' stato un grande risultato, era anche la prima volta che battevo Martina. Tra l'altro, quell'anno abbiamo giocato anche il doppio insieme. Affrontarla era sempre una grande sfida, ma per qualche motivo io sentivo di esprimermi bene contro di lei. Ovviamente quel giorno c'è stato davvero tutto: quella vittoria rimane molto speciale per me” ha raccontato nell'intervista per il libro “I gladiatori della Terra Rossa” che la Federazione Italiana Tennis ha curato sulla storia degli Internazionali BNL d'Italia (Giunti Editore).
Ma perderà in finale contro Steffi Graf davanti al futuro governatore di Buenos Aires. Ma dalle tribune c'è chi le grida “Vai amore!”. “Da argentina, e un po' italiana, quella passione la capisco, mi ci identifico molto. I tifosi italiani poi sono molto coinvolti nel tennis, e sicuramente lo sono stati nel mio caso. Io, come detto, adoro l'Italia. Mi piace la lingua, mi piace naturalmente il cibo italiano. E mi sono sempre trovata bene con i tifosi italiani. Erano molto appassionati, calorosi, venivano anche sotto l'albergo. In campo sentivo i cori per me, poi mi ricordo quel famoso striscione, “Gabylandia”: è stato molto bello” ha aggiunto nella stessa intervista.
Gabriela Sabatini ha conquistato Roma per la prima volta nel 1988. Ha battuto in finale Helen Kelesi, tignosa canadese figlia di genitori cecoslovacchi emigrati dall'altra parte del mondo dopo la primavera di Praga. La chiamano “Uragano” ma non può nulla per arginare l'argentina. “Gli Internazionali d'Italia hanno sempre rappresentato un torneo speciale per me. Vincerlo la prima volta, sulla terra rossa che è la mia superficie preferita, è stato una grande ispirazione. Mi ha fatto capire che potevo battere anche le migliori” ha detto ancora Sabatini.
Nel 1989 si conferma campionessa contro Arantxa Sanchez Vicario, incoraggiata da mamma Marisa che le organizza la vita in ogni dettaglio, con cui poi interromperà ogni contatto per questioni di soldi. Soldi che a suo dire le spetterebbero e non ha mai ricevuto.
La famiglia Sanchez sta rivoluzionando il tennis spagnolo. Ma come suo fratello Emilio nel 1986, Arantxa si ferma a un passo dal titolo. Sabatini sfodera il meglio del suo stile, come farà nei due anni successivi. Quello stile, come si diceva allora, da ragazza perfetta, con la camminata alla John Wayne.
Sabatini ha testimoniato anche la bruciante scalata di Monica Seles, che proprio nel 1990 è diventata la più giovane campionessa agli Internazionali BNL d’Italia. Sarà l'unica rivale che le resterà accanto nel 1993 quando Gunther Parche, tifoso di Steffi Graf, la accoltella ad Amburgo, è lei l'unica rivale che le resta accanto. L'unica a insistere perché Monica Seles possa rientrare da numero 1 del mondo.
Seles, diventata nel 1990 la campionessa più giovane nella storia del torneo, ha perso due volte di fila in finale contro Sabatini, nel 1991 e nel 1992. In tutti gli altri tornei, l'argentina l'ha sconfitta una volta sola. Lungo il percorso, Sabatini ha superato Mercedes Pas, Nicole Bradke, Nathalie Tauziat, testa di serie numero 7, e Mary Joe Fernandez, arrivata con poche energie all'incontro con l'argentina più amata d'Italia. Anche Seles ha raggiunto la finale senza perdere un set, con gli occhi della gioventù e una forza di volontà che è la sua corazza e sarà la sua sconfitta. È la settima volta nell'era Open che a Roma le prime due teste di serie si giocano il titolo.
L'avvento di Seles e del “power tennis” ha convinto Sabatini a cambiare allenatore. Ha voluto accanto un ex tennista brasiliano, Carlos Kirmayr, che le ha insegnato a giocare ogni partita come fosse l'ultima. Con lui ha conquistato fiducia e fluidità di movimenti. I gesti diventano più naturali, i riflessi più brillanti anche sotto rete. L'argentina aumenta i dubbi della rivale, mentre dipinge quadri ogni volta diversi in campo. Roma è ancora sua. È al centro del mondo, ma le manca andare a un concerto di Madonna o di Roger Waters. Le manca andare a vedere un museo. Vorrebbe, come Virginia Woolf, una stanza tutta per sé, per coltivare interessi e passioni. Il suo legame col tennis è forte almeno quanto è ondivago il suo feeling con la popolarità, stretta com'è fra l'amore e la ripulsa. Sospesa fra due epoche, senza appartenere davvero a nessuna.
La sua ultima finale la gioca, e la perde, nel 1993. è il primo dei quattro trionfi consecutivi di Conchita Martinez da Monzon, prima campionessa spagnola a Roma dal 1930, quando Lili de Alvarez, con i suoi completi provocatori per l'epoca, vinse a Milano la prima edizione del torneo. Conchita Martinez ha sempre amato Roma, i ristoranti di piazza di Spagna, gli hotel del centro. Il pubblico l'ha rispettata, l'ha incitata ma non l'ha mai amata.
Il pubblico di Roma ancora rimpiangeva la sua Gaby, che poi diventerà cittadina italiana a tutti gli effetti. L'Italia l'ha amata perché in lei si rispecchiava nel suo lato nostalgico, da “Grande Bellezza”, nel suo cullare il passato come consolazione per la paura del futuro.
Gabriela Sabatini si è sentita a casa al Foro, perché come la Roma di Ennio Flaiano è “inconoscibile, si rivela col tempo e non del tutto. Ha un'estrema riserva di mistero e ancora qualche oasi”.
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