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A 34 anni, Gael Monfils ha scelto coach Gunther Bresnik, autoritario ed esigente. Ma non solo un allenatore che fa sudare i giocatori. Per il francese, una decisione ambiziosa e non scontata. L'austriaco non sarà a Melbourne.
di Alessandro Mastroluca | 25 gennaio 2021
A Dubai, durante la pre-season, una foto aveva scatenato le prime voci. Poi la scelta come allenatore a Melbourne dell'austriaco Richard Ruckelshausen, che sarà anche capitano della Francia avversaria dell'Italia e proprio dell'Austria in ATP Cup. In fondo, due indizi sono più di una coincidenza. E portano tutti verso quel che poi è diventato ufficiale. A 34 anni, Gael Monfils ha scelto come allenatore Gunter Bresnik. Due più opposti è difficile trovarli. Il francese mette un atletismo da break-dancer al servizio di un'ispirazione discontinua, l'austriaco un teorico piuttosto rigido delle virtù della quantità.
La scelta del numero 1 di Francia, che ha interrotto la collaborazione avviata nel 2018 con lo statunitense Liam Smith, non si può non definire ambiziosa. Non si sceglie un coach dal profilo così netto da sembrare intagliato nel legno. E' autoritario, esigente e non lo nega.
Mette sul piatto, e sul campo, un traguardo altrettanto impossibile da sottovalutare. L'austriaco, 59 anni, ha portato in top-100 ventisei giocatori dal 1987. Giocatori potenti come Boris Becker, raffinati come il mancino francese Henri Leconte, facili all'ira come Jeff Tarango. Ha allenato lavoratori più disciplinati, come Jakob Hlasek e Stefan Koubek.
Il suo capolavoro rimane l'esplosione di Dominic Thiem, anche se il rapporto è finito nell'amarezza delle carte bollate e delle richieste di risarcimenti. Quando era numero uno d'Austria della sua generazione, Bresnik gli ha cambiato l'impugnatura del rovescio, che a quell'epoca giocava ancora a due mani.
Thiem, però, ha sentito il bisogno di liberarsi e scegliere un coach di ben diversa estrazione e opposta visione, il cileno Nicolas Massu, che dal suo angolo ha assistito al successo più prestigioso della sua carriera: il primo Slam, lo US Open del 2020.
Coach e allievi, dal club al circuito - Le foto
Figlio di medici, ha scoperto il tennis per caso a sedici anni quando ha comprato le racchette da un suo amico. Nel tennis, ha applicato gli stessi principi che caratterizzano ogni altro aspetto della sua vita: una cosa o si fa bene o non si fa. Il tennis l'ha imparato guardandolo e ascoltando, rubando i consigli dei maestri agli altri frequentatori del suo club.
Il circuito l'ha conosciuto grazie a Horst Skoff, che gli ha chiesto di fargli da coach. La sua indole di gran lavoratore, ha raccontato all'Equipe, ha colpito Ion Tiriac, potentissimo all'epoca: due anni prima aveva lasciato Guillermo Vilas per diventare manager di Boris Becker, baby prodigio e campione di Wimbledon.
Ci tiene a precisare, però, che l'immagine di faticatore che fa solo sudare è in gran parte millantata. E non solo perché è riuscito a superare gli infiniti test da parte di John McEnroe quando allenava il fratello Patrick.
"I giocatori sono tutti diversi, e capisci presto che quanto funziona per uno, non va bene per un altro - ha detto, sempre ai colleghi francesi -. Prendete Jakob Hlasek su una serie di rovesci lungolinea: ne metteva venti sulla riga, sbagliava il ventunesimo, si arrabbiava e ricominciava da zero. Prendete Leconte sullo stesso esercizio: ne sbagliava cinque, poi ne metteva uno e diceva: ce l'ho, possiamo smettere". Bresnik ha saputo conoscere le differenti sottigliezze e in qualche modo farle fruttare per entrambi.
Non gli è riuscito solo con Ernests Gulbis, che ha definito incredibilmente esigente in tutto, nel tennis e fuori. "Ti vuole al 100%, e se non sei all'altezza del compito fa fatica ad accettarti" ha rivelato. Alla fine, quando Gulbis e Thiem hanno cominciato ad allenarsi insieme, i conflitti sono esplosi. E Bresnik ha scelto Thiem.
Monfils potrebbe diventare una delle sue scommesse più spiazzanti, un po' come scegliere Henri Leconte. Per il francese, Bresnik rappresenta probabilmente l'ultimo tentativo per non guardarsi indietro a fine carriera con il rimpianto per non averle provate tutte. Entrambi provano un certo gusto a non obbedire alle convenzioni e alle categorizzazioni. Per questo, può funzionare.
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