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Campioni internazionali

Osaka e Biles, il prezzo del successo nella società dello spettacolo

Le critiche alla campionessa giapponese sconfitta a Tokyo 2020 e alla regina della ginnastica artistica dopo il suo ritiro dalle finali olimpiche raccontano l'immagine sempre più distorta del successo sportivo

di | 30 luglio 2021

“La fase presente dell’occupazione totale della vita sociale da parte dei risultati accumulati dall’economia, conduce a uno slittamento generalizzato dall’avere al sembrare”. Nelle parole del sociologo e scrittore francese Guy Debord, che così sintetizzava il tratto distintivo della società dello spettacolo, c'è racchiuso tutto il senso del rapporto sempre più distorto fra i tifosi e i campioni dello sport nell'era dei social network.

Un rapporto che, come tutte le passioni, ha il suo limite. La scelta della regina della ginnastica Simone Biles di ritirarsi dalle finali, come la decisione di Naomi Osaka, il volto delle Olimpiadi di Tokyo sconfitta negli ottavi, di ritirarsi dal Roland Garros e saltare Wimbledon, lasciano intravedere quello che si nasconde dietro questo rapporto. 

Mai come prima il successo sportivo richiede apparenza, quasi più che sostanza. E questo cambia la natura della pressione a cui gli atleti e le atlete finiscono per essere sottoposti. Dentro la competizione, non si può non essere d'accordo con Novak Djokovic che ha ripreso un cliché antico e sempre attuale per cui la pressione è un privilegio. All'interno dei confini dello sport, dove conta solo la prestazione, arrivare in vetta comporta indubbiamente tensioni maggiori. 

Tensioni che possono causare la sindrome da eccessivo allenamento di cui ha parlato ai Giochi il nuotatore Simone Manuel, o le emicranie che hanno convinto un arciere olandese ad abbandonare la carriera a soli 26 anni dopo l'ultima sconfitta a Tokyo 2020.

Quello che è accaduto a Tokyo coinvolge tutti, e ci riguarda tutti. In poche ore Naomi Osaka si è trovata a rispondere a domande sulla sua salute mentale dopo una sconfitta e una pausa presa proprio per evitare di rispondere a questioni simili. Poi Simone Biles si è ritirata dalle finali per i cosiddetti "twisties". Ovvero una condizione di spaesamento, una perdita di riferimenti spaziali che può essere molto pericolosa in una disciplina come la ginnastica quando bisogna fluttuare in aria alle parallele, al corpo libero o al volteggio. Una condizione acuita dalla pressione e dallo stress, non solo legati alla competizione sportiva in senso stretto

Tokyo 2020, sorrisi (e lacrime) da medaglia

Il passaggio dall'avere al sembrare di cui parlava Godard non può non avere un ruolo. Soprattutto in una stagione in cui lo spazio pubblico invade ogni elemento anche del privato, 24 ore su 24, continuamente sospeso fra la riverenza in caso di successo e l'ostilità di fronte all'insuccesso. 

Di fronte alle sconfitte, ma ancor di più di fronte alla rivelazione di un'insicurezza mentale e non fisica, un certo numero di appassionati trasformano gli atleti in una sorta di esperimento sociologico senza regole, nell'errata convinzione che i campioni siano intoccabili, indistruttibili, che fenomeni di depressione o difficoltà di carattere psicologico non possano coinvolgere chi è premiato da ricchezza, bellezza, successo.

Questi tifosi, come l'uomo reificato di cui parlava sempre Godard in un altro passaggio della "Società dello spettacolo", "ostenta la prova della sua intimità con la merce". Si illude di una vicinanza con i campioni per cui fa il tifo solo perché può raggiungerli taggandoli in un post su Facebook o indirizzando loro un messaggio diretto su Instagram. Ma un atleta non è una merce, non è un bene. Non è qualcosa per cui paghiamo e, alla luce del prezzo, possiamo sentirci in diritto di attenderci un corrispondente standard di qualità. Pensare che il successo sia dovuto in nome della nostra passione resta una pericolosa distorsione.

Naomi Osaka a Tokyo 2020 (Foto Kopatsch/Sato/Sidorjak)

Esattamente come considerare Jannik Sinner un perdente in questo periodo difficile, come pensare che Naomi Osaka sia stata egoista quando ha deciso di non sottoporsi ai giudizi dei giornalisti dopo aver sofferto di depressione, come pensare che Simone Biles sia stata debole.

La 24enne ginnasta nera ha vinto 30 medaglie tra olimpiadi e Mondiali. Ha inventato quattro movimenti che portano il suo nome, talmente duri da eseguire che i giudici hanno dovuto inventare per lei un nuovo livello nella scala che misura la difficoltà di ogni singolo esercizio nella ginnastica artistica.

Ed è riuscita a fare tutto questo pur essendo cresciuta con una madre tossicodipendente che la lasciava spesso senza cibo e dopo una violenza sessuale subita da parte dell'ex fisioterapista della squadra di ginnastica degli USA, Larry Nassar, condannato a 175 anni di carcere a seguito della testimonianza di 140 vittime dei suoi abusi. Biles è l'unica ancora nel giro della nazionale.

Parlare di debolezza nel suo caso è non solo evidentemente fuori luogo. Suona  anchecome un retaggio antico, come l'eco di una visione dello sport come una prova di resistenza e di sopportazione. Non è più così, o almeno non dovrebbe più essere così.

Anche se c'è chi ritiene che, alla luce dei guadagni milionari, tra i requisiti di uno sportivo di successo debba esserci la capacità di sopportare tutto quello che il variegato popolo di tifosi si sente in diritto di esternare.

La disintermediazione consentita dai social aumenta la ferocia di taluni commenti, che manifestano e alimentano l'insicurezza tipica del nostro tempo in cui si scambia troppo spesso la protezione con la chiusura all'altro.

In questo contesto, vorremmo che i nostri eroi sportivi fossero tutti giovani, belli e vincenti, cavalieri perfetti senza macchia e senza paura. Osaka e Biles ci ricordano che sono solo persone, e ci vuole coraggio anche per lasciare, per tornare a scegliere e non solo a essere scelti. 

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Come ha scritto Matt Willis nell'ultima uscita della sua bella newsletter The Racquet, "dovremmo smettere di essere attratti dal fallimento ad ogni costo. E allo stesso tempo apprezzare il privilegio molto moderno per cui molte persone, non solo gli atleti professionisti, possono dare priorità alla loro salute".

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