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Campioni internazionali

Jannik, attento a Herbert, il doppista gentiluomo

Oggi alle 14.00 (diretta su Supertennis) Sinner sfida a Colonia Pierre-Hugues Herbert. Buon singolarista, al massimo numero 36 del mondo, il francese ha completato il Career Grand Slam in doppio con Mahut. La storia dell'alsaziano

di | 22 ottobre 2020

Pierre-Hugues Herbert

Pierre-Hugues Herbert

In Francia, lo chiamano P2H. La sigla riassume le sue iniziali, una P e due H: Pierre-Hugues Herbert. Capelli lunghi, fisico flessuoso da ballerino, tennis elegante, Herbert in singolare ha perso tre finali su tre e raggiunto al massimo la posizione di numero 36 del mondo l'anno scorso. Nella storia e nella vita del francese, oggi numero 82 del ranking di singolare e prossimo avversario di Jannik Sinner a Colonia, il segreto del successo sta nel numero 2. Da solo, non si basta.

Compone con Nicolas Mahut una delle coppie migliori nella storia del doppio, una delle sole otto capaci di completare il career Grand Slam. Prima dell'era Open, ci erano riusciti solo i leggendari australiani: Ken McGregor e Frank Sedgman, che vinsero tutti i major in un solo anno, nel 1951; Lew Hoad e Ken Rosewall; Roy Emerson e Neale Fraser; John Newcombe e Tony Roche. Dopo, hanno compito solo l'impresa solo gli olandesi Jacco Eltingh/Paul Haarhuis, i mitici "Woodies" Mark Woodforde/Todd Woodbridge, e i gemelli Bryan.

E' cresciuto con suo padre, presenza inseparabile che gli ha fatto da primo maestro e allenatore insegnandogli ad amare il gioco prima di affinare la tecnica. Oggi ha aggiunto allo staff Benjamin Balleret, viaggia spesso con la fidanzata e da un mese è diventato padre. Tenerissima la foto con il neonato Harper, questo il nome del bambino, che ha postato su Instagram. Per assistere alla nascita, ha rinunciato a giocare allo US Open.

E' tutto doppio nella sua storia. E' nato nella più duale delle regioni francesi, l'Alsazia. Le tracce della famiglia portano a Mittelhausbergen, che in tedesco significherebbe "la casa in mezzo alla montagna". Il padre, Jean-Roch, lo fa studiare dal lato tedesco della frontiera. Jean-Roch è un cercatore d'emozioni, un cuore d'avventura.

Un uomo che ha investito su suo figlio, come Herbert racconta per Beyond the Racquet, il profilo Instagram gestito dal tennista USA Noah Rubin che raccoglie le autobiografie di colleghi. Jean-Roch ha lasciato il suo lavoro di maestro in un club per viaggiare con Pierre-Hugues quando il figlio aveva tredici anni. "Avevamo una piccola chance di arrivare ad ottenere quello che ho adesso, e abbiamo inseguito quella possibilità" ha scritto. Il successo, però, si porta dietro la sottesa ombra della colpa per qualcosa che ha determinato ma non del tutto consapevolmente desiderato. "Ho fatto crescere mio fratello e mia sorella senza un padre. Per fortuna se la sono cavata bene lo stesso" ha ammesso. Merito anche di sua madre che ha cambiato lavoro per tenere insieme la famiglia.

Cerebrale, un po' introverso, in un'intervista per il sito dell'ATP ha ricordato come un momento fondamentale una conversazione nel 2013 con l'haitiano Ronald Agenor, ex numero 22 del mondo nel 1989. "Devi sentirti fortunato, hai un padre che vuole il meglio per te" gli ha detto Agenor, colpito dalla quantità di appunti che Jean-Roche prendeva durante le partite del figlio. L'haitiano, vedendolo giocare, capisce quello che nemmeno Pierre-Hugues aveva compreso fino in fondo. "Hai un figlio che in campo vuole esprimersi, vuole mostrare a suo padre di essere indipendente" gli ha spiegato.

"Mi ero sempre chiesto che tipo di giocatore volessi essere" ha ammesso l'anno scorso Herbert, ricordando quella lunga chiacchierata. "Sapevo fare tabte cose, dovevo trovare un equilibrio. All'inizio volevo giocare da dietro, tirare forte, come tutti. Ma non era il mio tennis. Ho capito che per diventare efficace, dovevo accettare l'idea di essere differente".

Infatti gioca un tennis generoso, autorale, classico e un po' datato, d'attacco e di tocco. Un tennis ricamato, molto pensato ma dispendioso, già a partire dal servizio che esegue con la schiena molto indietro durante il caricamento. E non lo aiuta quando si entra in lotta e la partita si allunga.

Non è un caso che abbia tendenze artistiche. Se non fosse diventato tennista, ha raccontato, gli sarebbe piaciuto diventare attore. Il volto da commedia brillante, un po' sofisticata, c'è tutto. Si accontenta, per ora, di passare il tempo studiando la squadra per il fantacalcio e suonare la chitarra. 

Lo possiamo immaginare mentre si diverte con qualche classico dei cantautori francesi, "Formidable" di Charles Aznavour, o l'intima "Comme d'habitude" del multiforme Claude François, che in diritti d'autore vale centinaia di milioni. Almeno da quando Paul Anka ha preso la musica e ci ha intessuto una meditazione sul senso della vita vissuta alle proprie condizioni, senza condizioni. L'ha scritto in inglese e l'ha affidato a Frank Sinatra, che l'ha reso immortale: è "My way". 

Pierre-Hugues Herbert e Nicolas Mahut celebrano il trionfo alle ATP Finals 2019

Come Sinatra, Herbert vive e gioca a modo suo. Ha imparato col tempo ad accettare, e un po' a mascherare, le fragilità, le debolezze che nascono dall'eccesso di generosità. E' più solido da fondo, ma sempre brillantissimo sotto rete. Il doppio con l'amico ritrovato Mahut, con cui aveva litigato ferocemente prima di Wimbledon 2019 per la sua decisione di giocare i Championships con Andy Murray, funziona.

Una volta rappacificati, hanno vinto le ATP Finals 2019 senza perdere un set e hanno ripreso quest'anno da dove avevano interrotto. Hanno anche vinto il titolo nel primo dei due tornei a Colonia la scorsa settimana. Giocando sempre a modo loro. Come d'abitudine.

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