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Da picchiatore che spacca tutte le palle a giocatore che sa gestire le situazioni e le interpreta. Il russo che domina i tornei 500 ringrazia coach Vicente: "Mi sta insegnando a fare in campo la scelta giusta"
di Vincenzo Martucci | 08 marzo 2021
Non è stato facile mettere le briglie ad Andrey Rublev. A vederlo oggi a Rotterdam così costante nell’infilare il successo consecutivo numero 20 nei tornei “500” e il quarto titolo, dopo Amburgo, San Pietroburgo e Vienna, l’ottavo in carriera, sembra tutt’altro giocatore rispetto agli inizi.
Lui, con quegli occhi spiritati e la mascella serrata, nega, ma dicono che mamma Marina, coach anche di Anna Kournikova allo Spartak Mosca, fosse molto dura con lui. Di certo non lo era meno di papà Andrey senior, ex pugile, che l’ha spinto sul ring per farsi le ossa e, in alternativa, sul campo di basket, per abituarsi ai contatti più duri, magrolino com’era. E comunque sono stati i nonni paterni ad occuparsene, cinque volte la settimana mentre i genitori lavoravano tutto il giorno.
Gli amici dei tempi juniores, dove ha sempre vinto - dal Bonfiglio di Milano all’Orange Bowl di Miami al Roland Garros 2014 -, ricordano perfettamente le sue follie, la tendenza al tutto o niente, schiantare l’avversario di vincenti sulle righe o perdere malamente suicidandosi di errori gratuiti, e poi piangere e sbraitare come un ossesso. A Milano lo ricordano ancora cavallo pazzo alle NextGen Finals 2017 quando perse di nervi sotto il traguardo contro Hyeon Chung, tirando qualsiasi palla a più non posso contro le leggi della fisica e della geometria: ma chi aveva sentito mai quel rumore secco all’impatto con la palla di chi la sfera gialla la vuole proprio spaccare?
Per crescere, Andrey, la grande speranza mondiale sul quale il colosso Nike ha puntato subito le sue fiches finanziandolo in tutto e per tutto, è emigrato a Barcellona, alla “4Slamtennis”, l’Accademia degli pro spagnoli Fernando Vicente e Galo Blanco.
Il primo, ex grande promessa che amava troppo la vita, è tuttora il suo coach e gli ha ripetuto una litania che Rublev ha imparato a memoria: “Avrei potuto tranquillamente diventare top 10, invece mi sono accontentato”.
Il problema principale di Andrey non era tennistico, perché i fondamentali erano già solidi di partenza ma gestire, equilibrare, rafforzare testa e fisico. Così, coordinazione, resistenza ma anche potenza, allenamento e allenamento e ancora allenamento, in campo e in palestra per meccanizzare i comportamenti da attuare poi in partita, sotto stress, sono diventati il suo pane quotidiano. Finché, pian pianino, Bum Bum Andrey ha capito come convogliare nel modo giusto il sacro fuoco interno, la smodata ambizione che l’ha fatto evadere dai grigi e freddi casermoni di Mosca dov’è cresciuto, segnando su un quadretto i segreti dei campioni che guardava alla tv: il servizio di Raonic, il gioco di piedi e il fisico di Nadal, il gioco di volo e il dritto di Federer.
Gli inizi pro sono stati particolarmente difficili: in piena crescita, s’è anche fatto male alla schiena, è andato molto a singhiozzo, facendo temere che non sarebbe mai sbocciato e reagendo in modo scomposto anche in campo. Tanto che, nel 2015, è salito alla ribalta per un fattaccio che ricorda gli esordi dell’amico Daniil Medvedev. Al torneo Challenger di Mosca del 2015, è stato denunciato di aver tenuto un atteggiamento intimidatorio, con una serie di minacce, sul campo, da parte dell’argentino Renzo Olivo.
Accuse che, alla luce della carica agonistica delle sue partite, non sembrano impossibili ma il ragazzo ha imparato a convogliare altrove la sua rabbia, a cominciare dalla musica Metal: “Ho sempre avuto una passione per le canzoni, ho cercato di suonare la chitarra, ho anche partecipato a una cover degli One Direction, ho cantato “Steal My Girl” (60mila visualizzazioni su You Tube, ndr). Ma era solo per divertimento, la mia vita è il tennis, al 100%, anche se durante la quarantena Covid ho ripreso lezioni di chitarra e ho imparato a costruire delle canzoni. Mi ispiro agli Avicii”.
Comunque sia, sul web, campeggia ancora una foto del 2019: come premio per aver battuto Roger Federer a Cincinnati, l’amico di musica, l’ex campione di Wimbledon Pat Cash l’ha portato al concerto degli Iron Maiden, dove il solista Bruce Dickinson gli ha morso il braccio, scherzosamente, per vendicare Il Magnifico.
Sistemato il fisico, dopo la frattura da stress alla schiena del 2018 e i problemi al polso del 2019, risistemata la gestione dei nervi, sotto il profilo tecnico, sul campo da tennis, Rublev è migliorato nel servizio, nel rovescio e ultimamente anche nel gioco al volo, quantomeno nella propensione a rete, perché la volée resta ancora un po’ avulsa dal suo Dna.
Ora sta lavorando sulla continuità, sul dosaggio delle energie psico-fisiche, anche se neanche lui sa quanto può ancora pescare nel pozzo della fantasia, della varietà, del talento puramente detto, per poter puntare ai grandi tornei, agli Slam, al vertice della classifica, facendo un altro salto di qualità dal numero 8, dai 3-4mila punti ATP di distanza dal poker Djokovic-Nadal-Medvedev-Thiem.
Andy Murray, che è uscito forzatamente dai Fab Four per colpa dei problemi all'anca, ci ha appena perso nettamente a Rotterdam e scommette sul futuro di Rublev: “Resterà al top per molto tempo perché ha un gran culto del lavoro ed è un ottimo giocatore. Ci avevo giocato in Australia quand’era molto giovane, già allora mi rimandava forte la palla ma s’è costruito fisicamente e ha lavorato duro su molte cose. Mi ci sono allenato spesso e, sin dalla prima palla tira fortissimo proprio come fa in partita: perciò sta ottenendo tanto successo”.
Il coraggio per crescere ancora glielo dà Rafa: “L’unico giocatore della storia che, in qualsiasi modo si senta e qualsiasi problema abbia, anche nel suo giorno peggiore, trova sempre le soluzioni per vincere. C’è riuscito per tutta la carriera”.
Guardando Nadal, allenandosi con Nadal, imparando da Nadal, Andrey sta affrontando l’obiettivo più difficile: “Fare la scelta giusta in campo è quello che mi sta insegnando coach Vicente, lui ha un occhio fantastico, ce l’aveva anche da giocatore, quand’era top 30. Negli ultimi tre anni mi ha già trasformato da uno che picchiava solo forte tutte le palle a uno che gestisce le situazioni perché cerca di vederle prima ed interpreta i momenti del match. Ma devo ancora imparare molto”.
Non è stato facile mettere le briglie ad Andrey Rublev.