Chiudi
L’amore del maggiore degli Zverev verso Alexander durante l’ATP Cup rilancia il significato nello sport di un fratello maggiore che fa da traino, da cavia e da esempio. Lo spiega anche un libro
di Vincenzo Martucci | 05 febbraio 2021
Michail Aleksandrovic “Mischa” Zverev che soffre dannatamente a bordo campo nell’ATP Cup per il fratello minore Aleksandr Aleksandrovic “Sascha”, di più, molto di più di quanto soffrirebbe giocando lui, fa davvero tenerezza. Chi non ha un fratellino non può capire che storia c’è dietro quella struggente partecipazione emotiva, forte almeno quanto quella di un padre per il figlio, una reazione che viene dal sangue, ma anche dalla frequentazione, dal senso di responsabilità, dalla conoscenza profonda dell’essere umano. Che, nel caso specifico, almeno dall’esterno, così simpatico non è, ma viene addolcito nei tratti proprio da Mischa, un brav’uomo, condannato in secondo piano dal suo vecchio stile “servizio-volée” e da un animo meno pugnace.
Alezander Zverev con il genitori Alexander Senior e Irina e il fratello Mischa (foto Getty Images)
Storia della rivalità fra le sorelle Williams
Quando le prime immagini che ci sono arrivate della nuova stagione tennistica da Melbourne, nel tie-break del terzo set contro Shapovalov, il tedesco di grandissime speranze ha recuperato con la facilità che gli è propria, sfruttando il servizio-bazooka, Mischa è esploso, straordinariamente felice, intimamente euforico per il bene del fratello, esprimendo un sentimento dolcissimo. Perché lui sa i problemi che il fratellino sta attraversando, tecnicamente, nella gestione delle sue straordinarie capacità, ma soprattutto umanamente nella incapacità di sopportare le redini di un super-coach e con le vicende delle violenze domestiche di cui è stato accusato dall’ex fidanzata.
Da 23 anni, Mischa ha un rapporto particolarissimo con Sascha, di dieci anni più giovane (classe ’97 contro ’87): è consulente, allenatore, sparring-partner, confessore, spartiacque, parafulmine, vittima. Come Venus Williams per Serena, con la soddisfazione di vedersi superare alla grande dalla sorellina in tutto e per tutto: solo calcolando gli Slam delle ex numero 1 del tennis, la quarantenne Venus s’è aggiudicata 7 Majors, la 39enne Serena 23.
In “The Best: come sono fatti i campioni”, il professor Mark Williams della Università di Utah spiega che il “piccolo effetto dei fratelli” è un valore scientifico sensibile e decisivo a favore del successo nello sport dei fratelli minori. Questo sostiene uno studio specifico su 33 sport in Canada ed Australia secondo cui 1.04 dei migliori atleti ha un fratello maggiore e lo 0.61 non ha fratelli.
Una percentuale che sale fra le donne, al punto che tre quarti delle giocatrici che hanno gravitato nell’ambito della nazionale Usa di calcio hanno un fratello maggiore, a cominciare dalle star Megan Rapinoe, Mia Hamm ed Alex Morgan. E se il calcio, ancora a forte matrice maschile, può sembrare poco indicativo per la nostra tesi, l’analisi di Frank Sulloway e Richard Zweigenhaft su 700 coppie di fratelli che hanno giocato nella Major League di baseball sottolinea come i fratelli minori sono stati più forti dei maggiori 2.5 volte, e hanno anche giocato più a lungo (2.5 anni).
La molla è l’antagonismo con il fratello maggiore e la considerazione dei genitori, soprattutto del papà. Così ha spiegato Michael Jordan nel suo riuscitissimo docu-film “The Last Dance”. Larry, fratello maggiore di undici mesi era considerato un giocatore migliore di Air, lo batteva sempre nell’uno contro uno sotto casa: “Non credo che sarei arrivato dove sono arrivato senza il continuo confronto con mio fratello, ha soffiato dentro di me quel fuoco, anche per avere l’attenzione di mio padre. Così la mia determinazione è aumentata per essere bravo, se non migliore, di mio fratello”.
Restando nel tennis, è successo lo stesso fra i fratelli scozzesi, Jamie ed Andy Murray, come suggerisce mamma Judy che ha forgiato entrambe: “Avere un fratello maggiore ha aiutato Andy a diventare più competitivo, Jamie era un po’ più grande e un po’ più forte fisicamente di lui durante la maggior parte degli anni formativi. E tutto quello che ha sempre voluto fare è stato battere Jamie”.
Crescere accanto al fratello maggiore accelera e affina le caratteristiche psicologiche per adattarsi e quindi superare le difficoltà. Così come aiuta l’atteggiamento dei genitori, in genere più permissivi verso i secondi nati, tanto da concedergli attività ed atteggiamenti più pericolosi. Esperienze che poi si riflettono nell’attitudine nello sport, come testimonia sempre lo studio del nostro libro.
Rimanendo nella stessa disciplina, inoltre, anche i genitori “hanno acquisito una certa dimestichezza col sistema e l’ambiente di quello sport, conoscono i club migliori, i coach, l’impegno necessario sono più informati in generale e hanno più esperienza invece di andare avanti un po’ al buio”, sottolinea la coautrice Melissa Hopwood. L’esperienza diretta è un valore aggiunto decisivo per valutare quel che ha funzionato e quel che non ha funzionato col primogenito, come dice la storia dei Murray: Jamie è stato lasciato alle strutture federali inglesi, invece Andy s’è fatto le ossa in Spagna.
Nell’atletica, il caso emblematico è quello degli Ingebrigtsen. Tre dei fratelli norvegesi hanno vinto l’oro agli Europei nei 1500 metri, il minore, Jakob, è l’unico ha vinto l’oro anche nei 5000. “Sia Filip che io abbiamo imparato dai nostri errori - racconta il primogenito Henrik - Ogni anno abbiamo cercato di ottimizzare i programma e Jakob ne ha usufruito al meglio”.
Chissà quante cose potrebbe raccontare Mischa il buono sul fratellino Sascha, che buono proprio non sembra, anzi, ma che anche per questo ha già superato, e da tempo, il fratello maggiore salendo fino al numero 3 del mondo (oggi è 7) e conquistando 13 titoli ATP Tour, contro la classifica-record di 25 e l’unico titolo vinto dal fratello sul circuito pro.
Pensando ai mancini come Mischa, il mancino del tennis per eccellenza, John McEnroe, non è stato così magnanimo col fratellino Patrick.
Non ci sono commenti