

Roger Federer ha raccontato la sua storia in un video per BecomingX, società fondata dall'icona del survivalismo Bear Grylls con l'obiettivo dichiarato di aiutare il pubblico a capire cosa serve per avere successo. "Se dai il massimo, sarai fiero di quello che hai raggiunto" spiega lo svizzero
di Alessandro Mastroluca | 11 novembre 2020
"Se hai passione per qualcosa, continua a crederci e circondati delle persone giuste. Non sprecare il talento. Nello sport puoi sempre controllare la mente, il livello di preparazione, l'impegno che ci metti. Se dai il meglio in tutto questo, sarai intanto fiero di quello che hai ottenuto e non ti guarderai indietro con rimpianto". Parola di Roger Federer.
Lo svizzero ha raccontato la sua storia come esempio di successo in un video per BecomingX, la compagnia fondata da Bear Grylls, icona del survivalismo e volto di "Man vs Wild", per aiutare le persone a realizzare il proprio potenziale. Anche attraverso questi video in cui chi ha avuto successo si racconta direttamente al pubblico.
Federer racconta i suoi inizi in Svizzera dove "la scuola veniva prima e lo sport non era considerato come qualcosa che puoi fare per vivere. Ma io sognavo di vincere Wimbledon quando tiravo una pallina contro il muro, quando giocavo in doppio con i miei genitori o con i miei genitori. Capivo che il tennis era molto di più che colpire una palla".
Ripercorre gli effetti della sconfitta 60 60 subita nella sua prima partita giocata, che l'ha portato ad allenarsi più duramente, giocare più tornei, acquisire una certa fama almeno all'interno dei confini nazionali. Dopo essere diventato campione svizzero, ricorda, "per scherzare ho appeso un cartello sul muro che diceva: "Il campione del mondo junior vive qui". L'ho tolto il giorno dopo".
La sua strada per il successo è passata anche attraverso due momenti decisivi. Prima i due anni al Centro tecnico nazionale, dai 14 ai 16. "E' stato duro per i primi nove mesi - spiega - avevo nostalgia di casa, sono peggiorati i risultati, non avevo fiducia, non parlavo la lingua. Poi i risultati sono arrivati. Non è stato facile, ma quei due anni sono quelli che hanno avuto l'influenza maggiore per me".
E' una fase di responsabilità, di presa di contatto con la realtà. "Mi ricordo una volta andai dal dentista e mi chiese: 'Che fai nella vita?'. 'Il giocatore di tennis'. 'Sì, e che altro?'. 'Beh, nient'altro. Solo il tennista. Ho iniziato a farmi delle domande: giocare solo a tennis è davvero abbastanza?"
L'altro è la morte del mentore Peter Carter, scomparso in un tragico incidente stradale mentre era in luna di miele in Sudafrica. "Il mio mondo si spezzò, la notizia della sua morte mi ha scioccato e in un certo senso risvegliato. In quel momento ho capito che dovevo essere molto serio riguardo al tennis. Non volevo essere uno spreco di talento. Mi mancherà per sempre".
Orgoglioso della possibilità di essere un'ispirazione, vista l'importanza che ha dato ai suoi eroi sportivi (cita Stefan Edberg, Boris Becker, Pete Sampras, Michael Jordan), Federer non cambierebbe tanto della sua vita e delle sue scelte. Ha vinto 20 Slam, è stato numero 1 del mondo per 310 settimane, "e non è qualcosa a cui nel mio mondo potevi puntare. In Svizzera non sogniamo così in grande" ammette.
Insiste soprattutto sul valore del tempo, sull'importanza di saperlo gestire per non doversi guardare indietro rimpiangendo quel che si è lasciato per strada. "Senti che va tutto molto veloce - spiega -. Vuoi vincere domani, vuoi vincere adesso, vuoi imparare qualcosa di nuovo anche di molto lontano da quello che sai fare bene. Ma vuoi anche passare più tempo con gli amici, con la famiglia e non pensare di averli sacrificati troppo".
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