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Tredici anni dopo, il racconto della magica notte di Washington 2006, quando Andrea Stoppini, da qualificato numero 246 del mondo, rovinò la penultima tappa del Farewell Tour di Andre Agassi. Si sarebbe accontentato di non perdere 6-0 6-0, invece firmò un’impresa che vale una carriera. Con le racchette customizzate da solo, nell’officina meccanica di papà.
di Marco Caldara | 31 luglio 2019
Nell’autobiografia-capolavoro Open, scritta per Andre Agassi dalla penna da premio Pulitzer di J.R. Moehringer, gli italiani citati sono due. Uno è Andrea Gaudenzi, descritto come «macho» nella sfida fra i due negli ottavi delle Olimpiadi di Atlanta ’96, che Agassi vinse in rimonta per 2-6 6-4 6-2. L’altro è Andrea Stoppini, il semisconosciuto che il 1° agosto di 13 anni fa, da numero 246 della classifica ATP, rovinò la penultima tappa del tour di addio della leggenda statunitense, regalandosi una vittoria entrata nella storia del tennis italiano. Quella sera, a Washington, doveva essere la festa di Agassi, pronto a salutare tutti al successivo Us Open, invece si trasformò nel sogno di una notte di mezza estate di un – allora – 26enne di Riva del Garda, figlio di un meccanico e di un’insegnante elementare, con la sua t-shirt Australian tutta stropicciata e una sola vittoria in carriera nel circuito ATP, giusto il giorno precedente.
Agassi, nel suo libro da milioni e milioni di copie, quella sconfitta l’ha ricordata così: «Vado a Washington e gioco con un italiano che viene dalle qualificazioni, di nome Andrea Stoppini. Mi batte come se a venire dalle qualificazioni fossi io, e provo vergogna. Pensavo di aver bisogno di una messa a punto per gli Us Open, ma questa messa a punto mi ha lasciato scosso».
La gente gli tifava contro, aspettava solo i suoi errori per gioire, ma Stoppini non ci fece nemmeno troppo caso. In quello stadio, ad applaudire per lui, c’erano due mani sole, quelle di Leonardo Caperchi, che aveva accompagnato negli Stati Uniti un giovane Fabio Fognini e Gianluca Naso. «È l’unico – continua – col quale condivido i ricordi magici di quella serata. Lo guardavo ai cambi di campo, e mi veniva da ridere. Ero il primo a non rendermi conto di cosa stesse succedendo. Poter affrontare Agassi era già qualcosa di incredibile, tanto che avrei accettato tranquillamente una sconfitta. L’unica priorità era non perdere 6-0 6-0». Una situazione che, vinto il primo game, lo aiutò a giocare con spensieratezza, senza paura, diventando benzina per quel tennis che sembrava costruito ad hoc per il cemento americano. «Prima del match – ricorda il trentino – Caperchi mi disse ‘vedo un set e poi torno in hotel’, invece è rimasto fino alla fine». Impossibile andarsene prima, anche perché l’incontro durò appena 62 minuti, con un break sul 5-4 del primo set a far capire a Stoppini che si poteva fare, e un altro nel secondo game del secondo, accompagnato dalla Head Radical disintegrata da Agassi sul Decoturf. «A rete gli ho detto ‘è stato un onore’, lui mi ha risposto ‘buona fortuna’. Mi sarei portato via volentieri quella racchetta, ma Agassi la regalò a un ragazzino, nel pubblico». Pazienza.
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A proposito di racchette, in quel match Stoppini impugnava delle Fischer, dalla storia del tutto particolare. Quell’anno gliene spedirono un carico sbagliato, dal manico più lungo rispetto a quello che utilizzava abitualmente, ma guai a rimandarle indietro. «Andai in officina da mio padre, una sera, e insieme, con una sega circolare, tagliammo un centimetro da ogni manico. Poi le ho bilanciate io, da solo. Con una di quelle racchette ho battuto Agassi». Un ricordo che aggiunge magia a una serata storica documentata da qualche articolo di giornale, alcune foto sui siti delle agenzie e poco altro. Le telecamere c’erano, la produzione tv anche, ma non fu trasmesso e a tredici anni di distanza non ce n’è traccia, nemmeno su YouTube. Neppure Stoppini è mai riuscito a rivederlo, ma forse è meglio così. L’assenza di immagini gli permette di conservare dei ricordi tutti suoi, da chiudere in un cassetto e rispolverare un giorno, per raccontarli ai nipotini. O ancor prima al figlioletto Mattia, nato un paio d’anni fa, quando la carriera di papà era già terminata da un pezzo, col ritorno nella sua Riva del Garda e il passaggio alla guida della scuola tennis del Circolo Tennis Rovereto, insieme al fratello Luca, anche lui ex professionista.
Oltre all’impresa da copertina contro Agassi, della carriera ATP di Stoppini resta qualche highlights qua e là, specie nel 2009, il suo anno migliore. A gennaio si qualificò all’Australian Open, facendo un’ottima figura sulla Rod Laver Arena, contro il campione uscente Novak Djokovic. A febbraio a San Josè gioco il suo miglior match in carriera contro un Del Potro che quell’anno avrebbe trionfato allo Us Open, perdendo due tie-break. A maggio vinse il suo unico titolo Challenger a Smirne (Turchia) e a luglio arrivò al best ranking, al numero 161 ATP. Troppo poco per i suoi mezzi? Le dieci vittorie contro i top-100 in ventuno incontri dicono di sì, ma “Stoppo” ci ha messo una pietra sopra e ha voltato pagina con serenità. Le emozioni di quella notte magica a Washington valgono un’intera carriera.
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