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Campioni nazionali

“Io, nuovo Bonadio: motivato, aggressivo e vegano"

In quarantena le letture di psicologia dello sport e di alimentazione, il passaggio alla dieta vegana (“Non senza sacrifici”) e il ritorno in campo con una marcia in più. Il 27enne friulano, finalista nel challenger Atp di Trieste, adesso punta dritto alle ‘quali’ Slam: “Solo così si fa il salto”

di | 04 settembre 2020

Riccardo Bonadio, nato il 13 luglio 1993

Riccardo Bonadio, nato il 13 luglio 1993 (foto via Instagram @rbonny93)

Un libro ti cambia la vita. Nel caso di Riccardo Bonadio, una manciata di libri. Quelli letti in quarantena: tanta psicologia dello sport, concetti di mental training e perfino di alimentazione. “Avevo tanto tempo libero, troppo, e così ho deciso di rispolverare una passione dell’adolescenza, la lettura”.

Il 27enne friulano da San Vito al Tagliamento, da anni di base per gli allenamenti in Lombardia, prima a Milano e oggi a Pavia (oltre a una piccola parentesi torinese), ha cambiato il suo approccio al gioco. Al modo di vederlo e di viverlo, pure fuori dal campo.

“Mi sono incuriosito molto leggendo testi come ‘il Cervello tennistico’ e autori come Pietro Trabucchi, poi dopo aver letto Eat and Run di Scott Jurek ho deciso di cambiare alimentazione diventando vegano e facendomi cucire su misura un piano alimentare".

"Una cosa del tutto nuova che ha comportato anche rinunce e sacrifici perché a me, per dirne una, la carne piace”. Però una volta tornato in campo i risultati dal punto di visita fisico si sono visti: “Non mi sono mai sentito così bene atleticamente in tutta la carriera, qualcosa vorrà pur dire”.

Tanto bene che a Trieste, a fine agosto, ha centrato la prima finale a livello Challenger in carriera. “Non avevo mai vinto più di tre partite consecutive a questo livello prima - racconta - e il fatto di essermi qualificato ed essere arrivato subito in fondo mi dà tanta fiducia”.

Anche perché sulla strada verso la finale, Bonadio ha superato due Top 200 (Jurij Rodionov, austriaco n.166, e Mario Vilella Martinez, spagnolo n.183), oltre a un ex Top 50 come il tedesco Maximilian Marterer, battuto una seconda volta una settimana più tardi nel torneo di casa di Cordenons.

Tra Riccardo e il primo titolo nel circuito Atp si è infilato lo spagnolo Carlos Alcaraz Garfia, il predestinato del momento. Quello che in molti affiancano (un po’ a ragione, un po’ a torto…) a Rafael Nadal individuandolo come suo erede designato. “Si intuisce che ha tutto per poter diventare un grande giocatore, da qui a un anno non ce lo vedo più nei Challenger”.

Sarà uno da tour, insomma, e in fretta: “Per quel poco che lo conosco posso dire che è un ragazzo molto tranquillo, posato, per nulla arrogante nonostante tutta l’attenzione che lo circonda. E poi si allena con Juan Carlos Ferrero, uno che è stato numero 1 sa che cosa bisogna fare per arrivare in alto”.

Come per continuare a crescere adesso sa cosa serve anche l’azzurro, attualmente n.285 del ranking Atp. La versione 2.0 di Bonadio è in via di sviluppo alla Motonautica Pavia, uno dei circoli più attivi e in salute della Lombardia. Nel suo angolo ci sono Mattia Livraghi, prima suo capitano in Serie A e dall'inizio del 2020 allenatore a 360 gradi, e il preparatore atletico Alessio Firullo. Nell’orbita del team ruota pure Uros Vico, con cui aveva già lavorato a Milano e il cui talento fu coltivato ai tempi da Riccardo Piatti.

“Sto lavorando molto bene a Pavia, cercando di consolidare i punti forti e di cambiare un po’ l’atteggiamento per diventare più aggressivo, sia come approccio sia dal punto di vista delle abilità tecniche necessarie per poterlo fare; il gioco di volo, per esempio”.

Il rovescio, la solidità e una forte predilezione - seppur non in via esclusiva - per la terra rossa sono le certezze sulle quali il friulano fonda la sua ricerca della felicità nel tennis. “Il nostro sport è difficile, è uno sport per pochi. Non basta e non serve essere nei primi 400-500 del mondo, devi fare un balzello in più se vuoi considerarti un professionista vero, intendo dire una persona che guadagna col proprio lavoro e non ci rimette dei soldi”. Il problema è noto e di difficile soluzione:  chi sta nei tornei Futures troppo a lungo va sotto economicamente.

 
“Bisogna giocare i Challenger con continuità e poi puntare alle qualificazioni degli Slam, è quello il salto di qualità, anche economico, che comincia a fare la differenza. Adesso mi sembra di cominciare ad avere quel livello”. Riccardo ha cominciato a giocare nel primo gradino del circuito Atp con continuità nel 2019 e nel 2020 era ripartito bene e in fiducia. “A inizio anno stavo bene, giocavo e vincevo parecchie partite, poi il lungo stop è stato duro da gestire. A essere sincero avevo anche paura di come sarei rientrato in campo, perché in passato dopo lunghi periodi di stop il ritorno al match non era stato semplice”.

Da inizio 2020 Riccardo Bonadio si allena alla Motonautica Pavia (foto via Instagram @rbonny93)

Sì, perché Bonadio sa che cosa vuol dire stare fermo a lungo e sa che cosa sono gli infortuni. Nel 2017, soprattutto, ne ha passate di tutti i colori. “I guai sono iniziati con un problema all’anca che poi, a cascata, ha causato tanti altri problemi”. Tra cui soprattutto due distinti strappi muscolari alla fascia addominale: “Quelli sono stati i più seri, anche perché ti condizionano in tutto, in primis sul servizio, ma ho avuto male anche a spalla e gomito”.

Insomma, è stata dura: “Però ne sono uscito, grazie soprattutto al percorso che avevo intrapreso a Milano con Alessandro Buson, il preparatore atletico che mi seguiva quando mi allenavo al Bonacossa”.

In quegli anni anche un paziente lavoro di cesella tecnica con Fabio Colangelo e, sempre con Buson, una prima infarinatura di lavoro mentale. “È stata una fase molto importante perché da lì in poi gli infortuni mi hanno lasciato in pace, toccando ferro…”.

Non solo, in quello stesso periodo è scattato un altro clic, quello che riguarda gli obiettivi: “Mi sono accorto che è più funzionale avere obiettivi di tipo prestazionale che di classifica”.

Riccardo Bonadio ha cominciato a giocare con papà Marco al Tennis Fiume Veneto (foto via Instagram @rbonny93)

Non lo sentirete, per questo, dire che il target è entrare nei primi 200 al mondo entro tot mesi, no: “Ora ragiono in un altro modo, gli obiettivi riguardano quante partite giocare o come fare a migliorare costantemente, il resto ho capito che è una conseguenza”.

Sì, vincere partite è la conseguenza diretta, perché in fondo nel tennis conta solo quello per portare a destinazione il viaggio con racchetta iniziato dai primi colpi da piccolino sui campi del Tc Fiume Veneto, in provincia di Pordenone, con papà Marco, professore di disegno tecnico alle scuole medie e maestro di tennis da 40 anni.

“In realtà ho cominciato verso i 16 anni a pensare che il tennis potesse essere per me qualcosa di più di un passatempo, prima facevo lo scientifico e pensavo che la mia vita avrebbe seguito quei binari lì. I primi tre anni li ho fatti normalmente, poi quando ho cominciato ad allenarmi mattina e pomeriggio ho completato il percorso di studi da privatista fino al diploma”.
Adesso il viaggio continua. Dopo Trieste, un’altra buona settimana a livello Challenger sui campi di Cordenons. “Un posto speciale per me, è la terra rossa su cui ho cominciato a fare sul serio da ragazzino col tennis, mi ci allenavo con Mosè Navarra. Giocare su questi campi profuma sempre di casa”. Il nuovo Bonadio, che si fa il mazzo a Pavia e che punta Parigi, Melbourne e New York, parte anche da qui.
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