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Campioni nazionali

Il "Filo" conduttore: Volandri e il boom italiano

Il direttore tecnico del Centro di Tirrenia ci aiuta ad analizzare i grandi risultati dei tennisti italiani in questa edizione degli Internazionali BNL d'Italia. Un exploit che viene da lontano, dai rapporti tra la Federazione e i coach privati e dall'attenzione a ogni dettaglio...

di | 19 settembre 2020

Filippo Volandri con Lorenzo Musetti

Filippo Volandri con Lorenzo Musetti

Da giocatore ha spesso trascinato l'Italia a traguardi importanti, anche al Foro Italico, dove nel 2007 riuscì a battere addirittura Roger Federer spingendosi poi fino alle semifinali. Da direttore tecnico del Centro di Tirrenia, sta mettendo la sua esperienza al servizio dei tanti giovani rampanti della nuova valanga azzurra. Nessuno meglio di Filippo Volandri può valutare i progressi degli italiani, nessuno meglio del livornese può spiegare il record di otto bandierine tricolori piazzate al secondo turno degli Internazionali BNL d'Italia, diventate poi quattro negli ottavi (eguagliando il record del 1979) con Berrettini approdato nei quarti.

Lorenzo Musetti

Filippo, questo evidentemente non è un risultato che arriva a sorpresa, ma il frutto di un lavoro di anni.
“Assolutamente sì, del resto un exploit del genere non si forma per caso da un giorno all'altro. Avere otto giocatori al secondo turno con alcune vittorie davvero straordinarie è il culmine – per ora – di un percorso iniziato tanto tempo fa, un percorso in cui la Federazione ha creduto molto e che adesso sta dando frutti in maniera costante. Il merito va diviso fra tante persone, è un insieme di forze che unite portano a risultati fuori dall'ordinario”.

Quale risultato va catalogato come il più sorprendente?
“Direi quello di Lorenzo Musetti, per la sua prestazione e per il valore degli avversari battuti. Magari non saranno stati il miglior Wawrinka o il miglior Nishikori, ma Lorenzo ha dimostrato grandi qualità. Durante la pausa ha lavorato molto anche sotto il profilo fisico, e quello che stiamo vedendo in queste settimane dopo la ripresa è un giocatore diverso rispetto a quello che avevamo lasciato. Più forte e più consapevole dei suoi mezzi”.
Quanto è stato difficile, per lui come per gli altri, lavorare durante il lockdown?
“Quello che abbiamo fatto di buono è stato creare subito una pagina Instagram dove in collaborazione con i preparatori mentali abbiamo impostato un lavoro costante, tentando di tenere tutti sul pezzo. Pure i preparatori atletici hanno lavorato tantissimo, e un esempio è proprio Musetti. L'ultima settimana di maggio l'ho rivisto dopo mesi e mi sono sorpreso di quanto fosse cambiato il suo fisico”.

Nell'ultimo turno delle qualificazioni, Musetti ha vinto un bel derby con Giulio Zeppieri. Anche chi non è entrato in tabellone, dunque, esce da Roma con un bel carico di fiducia.
“Di giovani forti ormai ne abbiamo talmente tanti... Giulio è uno di loro, anche se rispetto agli altri ha potuto lavorare meno di recente per via di un'operazione alle tonsille che lo ha bloccato per un certo periodo. Quando è rientrato ha subito mostrato un'ottima condizione, e le vittorie contro Norrie e soprattutto contro Dellien, che sulla terra è un osso durissimo, testimoniano la sua crescita. Di sicuro è uno con mezzi importanti, che ha margini ulteriori di progresso. Peccato che lui e Musetti si sono affrontati all'ultimo turno, mi sarebbe piaciuto vederli con avversari diversi e vederli magari entrambi in tabellone”.

Lorenzo Musetti e Giulio Zeppieri (foto Sposito)

In ogni caso, guardando l'età media, bruciamo le tappe rispetto al passato...
“Ci siamo passati noi direttamente da questo problema di arrivare tardi al vertice, e vogliamo velocizzare questo processo di approdo alla maturità che normalmente l'italiano medio impiega più tempo a completare. Abbiamo professionisti importanti che collaborano con la Fit per darci tutti i dati necessari e per permetterci di lavorare al meglio. Adesso c'è un sistema, ed è un sistema che funziona. Poi vincere aiuta a vincere”.

Quanto è importante avere, oltre alla qualità, tutta questa abbondanza?
“Importantissimo, soprattutto per loro, per i giocatori. Io ai miei tempi avevo molta pressione perché eravamo in pochi a poter sostenere il movimento e ogni partita assumeva un peso molto superiore a quello che aveva in realtà. Quando io sono arrivato in alto, c'era solo Davide Sanguinetti che poteva fare certi risultati. Oggi gli stessi Fognini e Berrettini possono stare parecchio più tranquilli perché non hanno sulle loro spalle l'intera responsabilità delle sorti tennistiche del Paese”.

Matteo Berrettini (foto Fioriti)

Stefano Travaglia - Foto Sposito

Nel frattempo, anche gli stimoli per superarsi a vicenda aumentano.
“Non c'è dubbio. Da quando Fognini, che stava già trainando il movimento da tempo, ha vinto a Monte-Carlo, molte cose sono cambiate. Vedere un connazionale che raggiunge certi traguardi dà delle motivazioni extra che sono il miglior carburante per tutti coloro che vogliono emularlo. Non a caso, poco dopo la vittoria di Fabio nel Principato sono arrivati tanti altri exploit in rapida successione. Speriamo possa essere così anche in futuro, in modo che Sinner, Musetti, Zeppieri e tutti quelli che già sono tra i top 100 possano condividere con delle new entry la responsabilità di portare in alto l'Italia”.

Un tratto in comune dei ragazzi che stanno brillando al Foro Italico è il fatto di avere alle spalle dei coach e dei team esperti e di valore.
“Aggiungo che questi team collaborano ormai da tempo in maniera molto redditizia con la Federazione. Vincenzo Santopadre, per Matteo Berrettini, e Gipo Arbino, per Lorenzo Sonego, hanno aperto la strada grazie a una sensibilità non comune che ha permesso loro di valutare positivamente il progetto. Adesso con tutti gli allenatori c'è un rapporto costante che aiuta i giocatori ad avere dei punti di riferimento e tutte le risorse a disposizione. Del resto il lavoro che abbiamo intrapreso negli ultimi anni andava proprio in questa precisa direzione: la collaborazione con le varie realtà del territorio che già seguono da tempo i loro allievi”.
Peccato solo che quest'anno non ci sia stato nessuno sugli spalti ad applaudire.
“Sono stato a Roma qualche giorno e vederla così fa male al cuore, con i viali vuoti quando di solito c'è ressa e non si riesce a trovare spazio per passare da un campo all'altro. È un peccato, ma se devo trovare per forza un lato positivo – ed è davvero l'unico in un tema particolarmente doloroso per chiunque ami il tennis – è che forse qualcuno dei nostri può giocare più sciolto senza la pressione del pubblico. Gli appassionati a Roma sono sempre molto partecipi ed entusiasti, per qualcuno questo è un vantaggio ma su altri procura una pressione non sempre facile da gestire. Detto questo, speriamo sia la prima e ultima volta che si vede il Foro Italico vuoto”.

Abbiamo parlato dei giovani, ma in realtà c'è una generazione di mezzo che sta facendo faville: da Caruso a Travaglia passando per Sonego e Cecchinato.
“Di questi, credo che Cecchinato sia quello che ha più margini per tornare in alto. Certo un'altra semifinale Slam sarà complicata da raggiungere, ma Marco ha le qualità per giocare bene come ha dimostrato battendo Edmund al termine di un gran match. Aveva bisogno di una scossa e di tornare a lavorare come aveva fatto in precedenza, quando era riuscito a fare il salto di qualità entrando fra i top 20”.

Uno come Caruso, una ventina d'anni fa, lo avremmo trovato a questo livello?
“Probabilmente no, perché lo avremmo perso prima nel percorso molto difficile che si deve affrontare per approdare al professionismo. Caruso magari può avere meno mezzi di altri, ma ha lavorato tantissimo e la Federazione ci ha creduto sostenendo il progetto che aveva col suo coach. Deve essere un esempio per tanti, come era stato tempo fa Paolo Lorenzi. Sono quei giocatori che aiutano a creare un gruppo di valore ed è comunque molto importante che arrivino a esplorare i loro limiti, senza fermarsi alle difficoltà che inevitabilmente prima o poi arrivano”.

Il futuro, a Roma e non solo?
“Siamo contenti, ma non abbiamo ancora la pancia piena”.

Salvatore Caruso


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