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Parla Davide Vavassori, padre e coach di Andrea - numero 52 Atp e vincitore a Santiago del Cile insieme ad Andrea Pellegrino - ma anche del fratello Matteo, 18 anni. "Per entrambi - spiega - ho cercato di essere un allenatore attento, senza oltrepassare certi limiti di buonsenso"
06 marzo 2023
Crescere un giovane aspirante tennista è una vicenda complessa. Crescerlo nel ruolo di padre e al contempo di coach, lo è ancora di più. Crescerne non uno, bensì due, è un'impresa per pochi. Se Andrea Vavassori è quello che è, ossia numero 52 al mondo in doppio (è stato 51) e 216 in singolare (best ranking 176), il merito lo può dividere con papà Andrea. E in occasione del successo di Santiago del Cile, colto insieme ad Andrea Pellegrino, è il caso di approfondire questo legame che può essere da esempio per tante situazioni simili. Anche se, meglio dirlo subito, quella dei Vavassori è una storia per certi versi unica, difficilmente riproducibile. Una storia dove quello di Andrea, 27 anni, è il progetto più interessante, ma dove c'è anche Matteo, appena maggiorenne, a cercare di seguirne le orme.
“Con Andrea ho sempre avuto un bellissimo rapporto – spiega il padre – perché è un ragazzo dalle qualità incredibili. È intelligente, disciplinato ed è sempre stato facile allenarlo, fin da quando era piccolo. Abbiamo sempre avuto un bel rapporto in famiglia, tra genitori e figli ci capiamo al volo e cerchiamo di venire incontro alle rispettive esigenze. Andrea è un ragazzo normale, ha mantenuto le amicizie di sempre, quelle della scuola. Io allo stesso modo ho cercato di fare il papà più normale possibile, cercando di essere un allenatore esigente ma senza andare oltre certi limiti. Non ho mai voluto a tutti i costi che facesse il professionista. Ci siamo arrivati per gradi, ci siamo trovati a un certo livello e abbiamo dovuto fare delle scelte. Oggi siamo qui vicini ai top 50 di doppio, e non siamo nemmeno arrivati dove vorremmo. Le premesse, tuttavia, sono molto buone”.
Le difficoltà non sono mancate, in un ruolo così delicato. Ma sono state superate in maniera brillante, grazie all'elasticità di tutti i protagonisti. “Un buon allenatore – prosegue Davide – ha poche certezze e tanti dubbi. Dobbiamo essere decisi in alcuni momenti sul portare avanti ciò che abbiamo deciso di fare, ma dobbiamo essere anche dei buoni osservatori, continuare a guardarci attorno. Io cerco di imparare sempre, mi piace osservare allenatori, giocatori, continuare a documentarmi leggendo libri e articoli di giornale. In sostanza, voglio prendere nuovi spunti e portarli in campo".
"Per esempio, Davide all'inizio faceva il rovescio a due mani, poi è passato a una: è stato un periodo difficile, poi ha metabolizzato il lavoro e ha portato in campo bene questa novità. La cosa incredibile è che parliamo di un giocatore in costante evoluzione. Continua a migliorare e aggiungere pezzi al suo bagaglio tecnico. Sono molto contento anche perché chi lo vede giocare sottolinea come abbia ancora dei margini importanti di miglioramento. Quando hai queste sensazioni, e il giocatore in questione ha 27 anni, è un dato decisamente positivo”.
Ora si tratta di cercare di replicare quella strada con l'altro figlio, Matteo, che di recente ha centrato il suo primo successo a livello internazionale proprio accanto ad Andrea. “Non si può dire – continua Vavassori padre – che ci sia una strada ideale o che una sia meglio di un'altra. In alcune situazioni, cominciare giovanissimi a girare il mondo ha funzionato, mentre in altre questo approccio non ha funzionato assolutamente. Dipende tanto dalle persone che si hanno attorno nel periodo di formazione: si creano team orientati sul bene del giocatore, altri dove interagiscono forze che portano a un risultato molto alto subito ma non nel lungo termine. A volte non si ha la capacità di essere lungimiranti, attratti dai risultati immediati. Il percorso di Andrea, invece, è quello che ti porta a goderti appieno vittorie ed esperienze in un'età nella quale puoi assaporarle a dovere. Essere troppo precoci può portare a usurarsi fisicamente e mentalmente. Cominciando a fare sul serio più avanti, la carriera può essere più lunga e più, diciamo così, matura. Ti godi maggiormente i viaggi e le situazioni”.
Ma in sostanza, dove può arrivare Andrea Vavassori, dopo questo exploit accanto all'ennesimo compagno diverso? “Intanto può arrivare a giocare anche fino ai 38-40 anni, nel doppio ci si arriva e non ci vedrei nessuna stranezza. Parliamo di ulteriori 12-13 anni di carriera davanti. Poi come detto i margini di crescita sono importanti, e sarà interessante scoprire fino a dove si potrà spingere. Di certo posso dire che è dura. Io sto girando di più con lui attualmente e non è facile stare lontani da casa: ho una bella famiglia, una moglie di cui sono molto innamorato, un cane che adoro e non vedo l'ora di rivedere e riempire di coccole... Non è facile per un coach, vivere da nomade, ma per un giocatore lo è ancora meno, perché ci sono vittorie e sconfitte da gestire ogni settimana. Per quanto riguarda Andrea, tuttavia, sono tranquillo: lui si sta godendo questa vita e la sua carriera sarà più lunga rispetto alla media”.